La formazione e l’accompagnamento nella vita nello Spirito sono le pietre miliari del ministero del padre spirituale. Un servizio plurisecolare che, in forme diverse, ha contribuito al bene umano e spirituale di tanti credenti e, nel suo complesso, dell’intera comunità ecclesiale. Anche per questo la figura del padre spirituale è stata istituzionalizzata in alcuni ambienti significativi: seminari, collegi, e case di formazione alla vita consacrata.
Tradizionalmente il servizio del padre spirituale è considerato come «foro interno» e papa Francesco ha recentemente ricordato che «foro interno non è un’espressione a vanvera: è detta sul serio! Foro interno è foro interno e non può uscire all’esterno [e se questo accade] è un peccato contro la dignità della persona» (Udienza ai partecipanti al Corso sul Foro interno promosso dal Tribunale della Penitenzieria Apostolica, 29 marzo 2019).
È proprio questa affermazione ciò che mi è tornato in mente quando ho letto l’ultimo motu proprio di papa Francesco Vos estis lux mundi che entrerà in vigore il prossimo 1 giugno. All’articolo 3, §1 si legge «Ogni qualvolta un chierico o un membro di un Istituto di vita consacrata o di una Società di vita apostolica abbia notizia o fondati motivi per ritenere che sia stato commesso uno dei fatti di cui all’articolo 1, ha l’obbligo di segnalare tempestivamente il fatto all’Ordinario del luogo dove sarebbero accaduti i fatti o ad un altro Ordinario». A questo obbligo non è sottoposto il confessore che riceva l’informazione nel sacramento della riconciliazione; e il padre spirituale?
Cogliendo il desiderio del papa «che questo impegno si attui in modo pienamente ecclesiale, […] e aperto ai contributi di quanti hanno a cuore questo processo di conversione» (introduzione al motu proprio) ritengo che sia auspicabile approfondire il servizio del padre spirituale in questo contesto, ciascuno secondo le proprie competenze e sensibilità.
A me interessa innanzitutto sollevare domande in merito alle implicanze pedagogiche e spirituali legate alla questione.
Un padre spirituale può essere utile solo se riesce a guadagnarsi la fiducia dell’altro permettendogli di aprire la propria coscienza nella certezza che ciò di cui parlerà resterà sotto segreto, a priori. Se il motu proprio andasse in direzione opposta a questo presupposto quale vantaggio si otterrebbe? Immagino l’assoluta chiusura di coscienza! Ciò non solo non aggiungerebbe nulla alla sacrosanta battaglia alla pedofilia ma creerebbe altre difficoltà. Ad esempio, i chierici pedofili o rinuncerebbero a usufruire del dono di un padre spirituale o – qualora costretti ad averne uno – parlerebbero di tutto tranne del vero problema, creando un ulteriore squilibrio interiore. Seguendo questa scia, anche l’esperienza di paternità, nell’accompagnamento spirituale, andrebbe a mutare in modo significativo.
Potremmo anche domandarci se il padre spirituale che riceva la confidenza di un abuso debba segnalare l’abusatore chierico anche qualora la vittima non voglia che l’abuso venga reso noto.
Concludo esprimendo sin d’ora l’auspicio che il motu proprio e le sue eventuali modifiche, possa contribuire con efficacia alla piaga degli abusi sessuali nella Chiesa e che questo mio contributo possa favorire un fruttuoso confronto.