Abusi – linee guida: il percorso compiuto e da fare

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La lettura sinottica delle linee guida sugli abusi della Conferenza episcopale italiana, del 2012, 2014 e quelle approvate nel 2019 (L. Prezzi, Assemblea CEI: nuove linee sugli abusi) è indicativa sul cammino compiuto da parte dell’episcopato italiano e delle attese, più o meno percorribili, che rimangono. A partire dal titolo che, nelle prime due edizioni, suona «Linee guida per i casi di abuso sessuale nei confronti di minori da parte di chierici», mentre nella terza, pubblicata il 24 giugno di quest’anno, si dice «Linee guida per la tutela dei minori e delle persone vulnerabili» (CEI-CISM, Linee guida per la tutela dei minori e delle persone vulnerabili).

Cambia il tono

In generale è diverso lo sviluppo del testo (molto contenuto nei primi due casi, assai più ampio nel terzo), diversa la proporzione fra l’attenzione ai profili canonistici e penalistici e le intenzionalità pastorali (queste ultime molto più esplicite nel terzo), diverso il tono complessivo: da un approccio sostanzialmente impaurito e difensivo si passa a un diverso stile di accoglienza e di impegno.

Di particolare rilevanza i principi guida (ed. 2019) che sottolineano «l’assoluta determinazione» della Chiesa italiana per contrastare il fenomeno, il coinvolgimento di tutte le comunità credenti («Tutta la comunità è coinvolta nel rispondere alla piaga degli abusi non perché tutta la comunità sia colpevole, ma perché di tutta la comunità è il prendersi cura dei più piccoli»), «il giusto e dovuto ascolto alle persone che hanno subito un abuso», come anche il «dovere morale di una profonda conversione personale» degli abusatori.

Viene invocata una grande prudenza nei criteri di ammissione ai seminari e una altrettanta grande attenzione alla formazione permanente del clero. I preti devono avere una solida identità e il senso autentico dell’autorità di servizio. In ogni caso, «nessun silenzio o occultamento può essere accettato in tema di abusi». C’è una cultura della prevenzione da sviluppare e una fattiva collaborazione con l’autorità civile da sperimentare «nel rispetto della reciproca autonomia e della normativa canonica, civile e concordataria».

Le comunità cristiane hanno diritto di essere informate relativamente agli indirizzi ecclesiali, alle prassi e ai protocolli adottati. Nei casi concreti la giusta informazione va ponderata con la segretezza di alcune fasi del procedimento e con la tutela della buona fama e la riservatezza di tutti i soggetti coinvolti.

Eventi mondiali

Fra il 2012 e i 2019 sono esplosi a livello mondiale ripetuti scandali di vaste proporzioni. Ricordo il caso del fondatore del Sodalizio di vita cristiana, Luis Fernando Figari (Perù), quello di don Fernando Karadima (Cile), del card. Theodore McCarrick (USA) e del card. George Pell (Australia; il caso non è ancora giunto a conclusione), il rapporto finale della Royal Commission in Australia, di diversi rapporti in Irlanda, il documento del Gran Giurì della Pennsylvania (USA). Oltre ai documenti di denuncia degli stessi episcopati come quello tedesco, polacco e canadese.

Sono anche gli anni in cui si moltiplicano negli episcopati l’elaborazione di linee guida e di prassi di accompagnamento delle vittime a seguito della lettera della Congregazione della dottrina della fede del 2011. Benedetto XVI e poi Francesco hanno perseguito con determinazione sia le denunce sia gli incontri con le vittime.

Di particolare rilievo l’istituzione della Commissione pontificia per la tutela dei minori, i testi normativi per i vescovi accusati e per i ricorsi e le due lettere al popolo di Dio (quella ai cattolici cileni e quella all’intero popolo di Dio dell’agosto 2018). Nel febbraio 2019 si è celebrato a Roma l’incontro dei rappresentanti di tutti gli episcopati sul problema (L. Prezzi, Abusi: l’incontro e le decisioni). Uno dei frutti maggiori è il motu proprio Vos estis lux mundi che ricapitola prassi e procedure nei casi di abuso sessuale, a cui si aggiungono gli abusi di coscienza e di potere.

Elementi di novità

La Conferenza episcopale italiana si è mossa in tale contesto. Pur non essendosi ancora verificata nel nostro paese una sequela di eventi e di scandali di proporzioni eclatanti, l’attenzione è di molto cresciuta. È stato costituito un Servizio nazionale per la tutela dei minori con la volontà di istituire corrispettivi organismi a livello regionale/interdiocesano e a livello diocesano (con almeno un referente).

Nella scrittura delle linee guida del 2019 si avverte la mano di gente esperta e professionalmente coinvolta. Da qui, oltre che dalle recenti disposizioni vaticane, alcune novità. Alle vittime va dato ascolto, accoglienza e accompagnamento, con un sostegno terapeutico, psicologico e spirituale. Nella lotta agli abusi è coinvolto «chiunque opera nelle comunità ecclesiali» alla cui formazione provvederanno i diversi servizi nazionali, regionali e diocesani.

Per quanto riguarda i seminaristi e il clero: ai primi è chiesta l’attestazione civile che escluda qualsiasi precedente e una valutazione specialistica, ai sacerdoti si suggerisce un aggiornamento sistematico. Per i religiosi che entrano in diocesi si chiede ai superiori informazioni scritte, veritiere e complete. Nuova è anche la determinazione su cosa si intenda per abuso, minore e persona vulnerabile.

La trafila classica che si avvia dopo ogni segnalazione e cioè l’indagine previa, l’avvio del processo (con informativa a Roma) e la condanna o assoluzione non tollera «nessun clima di complice e omertoso silenzio», né alcun ostacolo rispetto alla denuncia all’autorità dello stato. L’ascolto deve avvenire in ambienti accessibili, protetti e riservati e ai segnalanti non può essere imposto il segreto.

Tribunali ecclesiastici e magistratura

Nel procedimento canonico l’interesse primario da tutelare è quello del minore o della vittima. Per garantire il corso della giustizia l’accusato può essere allontanato dal ministero. Se vi è il pericolo di reiterazione, le censure posso diventare pubbliche.

La conclusione dell’indagine previa, che attesti la verosimiglianza dei fatti delittuosi, comporta la segnalazione alla Congregazione della dottrina della fede e l’avvio del processo (primo grado; il secondo grado è della Congregazione per la dottrina della fede). Le sanzioni canoniche possono arrivare fino alla dimissione dallo stato clericale.

Va comunque riconosciuta agli accusati la presunzione di innocenza e non devono essere lasciati soli. Si ricorda che la responsabilità del delitto è personale. Nelle linee guida precedenti la sottolineatura della non responsabilità della Santa Sede e della Conferenza episcopale era fortemente evidenziata.

Diversa è anche la disponibilità ai rapporti con la magistratura e le autorità civili. Se le vittime sono d’accordo, c’è la possibilità di una segnalazione all’autorità giudiziaria fin dall’inizio e si riconosce «l’obbligo morale di procedere all’inoltro dell’esposto all’autorità civile qualora, dopo il sollecito espletamento dell’indagine previa, sia accertata la sussistenza del fumus delicti». A meno di una giustificata opposizione della vittima. Si consiglia di non sovrapporre i procedimenti canonici con quelli giudiziari civili.

Le false accuse devono essere punite. «La persona falsamente accusata di aver compiuto abusi ha il diritto di vedere tutelata e ripristinata la sua buona fama e onorabilità».

Nuova è l’attenzione data all’informazione e alla comunicazione. A partire dalla comunità ecclesiale «informata e resa consapevole di ciò che avviene in essa e che necessariamente la coinvolge». Strumenti informativi sono indicati per i siti diocesani. Ci dovrà essere un portavoce ufficiale per poter «rispondere alle legittime domande di informazione, senza ritardi o silenzi incomprensibili».

Si dà, infine, pubblico riconoscimento ai servizi ecclesiali nazionali, regionali e diocesani a tutela dei minori, prevedendo le verifiche e la revisione delle stesse linee guida.

Per il futuro?

Fino a qui, quanto è stato deciso e si sta avviando nelle diverse Chiese locali italiane. Si può fare di più? Ci sono attese non compiute?

Guardando alle altre Chiese nazionali, si possono elencare alcune iniziative che hanno avuto un significativo impatto sulle comunità cristiane e civili.

Anzitutto, le celebrazioni penitenziali, spesso solenni e di carattere nazionale. Anche nell’incontro romano del febbraio scorso si è dato spazio alla preghiera.

In secondo luogo, le audizioni collettive. Sia a livello diocesano, sia per le conferenze nazionali dei religiosi e religiose, sia per le conferenze episcopali questi incontri con le vittime hanno sempre avuto riscontri rilevanti in ordine alla consapevolezza dei pastori. Non raro è anche uno studio complessivo a livello nazionale, compiuto sulla base di diversi decenni, con i numeri delle vittime e degli abusatori.

Alcune conferenze hanno nominato un referente nazionale fra i vescovi con un gruppo o una cellula di lavoro, con il compito non solo di aiutare le diocesi ma anche di ricevere segnalazioni in proprio. Altre hanno voluto un’autorità indipendente per il compito di un’indagine generale.

La parola più radicale l’ha pronunciata un vescovo tedesco, Heiner Wilmer, di Hildesheim, che ha denunciato come «l’abuso di potere sia insito nel DNA della Chiesa. Non possiamo più sbrigarlo come marginale, ma dobbiamo ripensarlo in maniera radicale. Finora però non abbiamo alcuna idea delle conseguenze che ciò deve avere per la teologia» ( Joachim Frank, Mons. Wilmer: L’abuso di potere è nel DNA della Chiesa). Si tratta di confessare la fede in una Chiesa santa, ma riconoscere anche che la Chiesa è peccatrice e trarne le conseguenze nell’approccio pastorale e anche nel sistema di governo: «Abbiamo bisogno di una distinzione dei poteri, di un sistema di Checks and Balances (controlli e contrappesi) come nel sistema democratico».

Papa Francesco nella lettera al popolo di Dio ha scritto: «Guardando al futuro, non sarà mai poco tutto ciò che si fa per dar vita a una cultura capace di evitare che tali situazioni non solo non si ripetano, ma non trovino spazio per essere coperte e perpetuarsi. Il dolore delle vittime e delle loro famiglie è anche il nostro dolore, perciò urge ribadire ancora una volta il nostro impegno per garantire la protezione dei minori e degli adulti in situazione di vulnerabilità».

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