Degli abusi sessuali compiuti da clero e religiosi nei confronti dei minori se ne parla (forse da noi non ancora abbastanza) soprattutto in questi giorni, mentre in Vaticano è in corso il vertice voluto da papa Francesco con i presidenti delle conferenze episcopali. Uno scandalo che ha messo in ginocchio non solo le Chiese locali, ma l’intera Chiesa cattolica, come ha ricordato papa Francesco nella Lettera dell’agosto scorso con le parole di Paolo: «Se un membro soffre, tutte le membra soffrono insieme» (1Cor 12,26).
Ma una crisi di questa portata si può superare? E ancora: può uno scandalo rivelarsi un’opportunità? Avviare un rinnovamento?… una conversione?
Joseph Moingt, gesuita francese ultracentenario, ne è convinto: «La Chiesa cattolica si trova in un momento di passaggio. È vero che ogni cambiamento ha in sé un aspetto inquietante, ma questa evoluzione sarà l’avvento di un’era nuova». Certamente un tempo di minore visibilità per la Chiesa dal volto meno legato ai culti e ai riti: «immaginare una simile evoluzione mi riempie di speranza».
E su questa linea s’inserisce anche Roberto Beretta – giornalista di Avvenire da oltre 30 anni – in un saggio, appena arrivato sugli scaffali per i tipi dell’editrice Àncora, dal titolo più che significativo Oltre l’abuso. Chiaro e diretto l’interrogativo da cui prende le mosse: lo scandalo della pedofilia farà cambiare la Chiesa? La crisi delle rivelazioni sugli abusi commessi dai preti occasione per operare un autentico cambiamento nella prassi pastorale? «Anche le peggiori malefatte, i più tremendi orrori possono e devono servire alla crescita, ad un miglioramento o – detto in termini cristiani – ad una conversione».
Beretta, affidandosi anche ad una nota espressione popolare (“Dio scrive anche sulle righe storte”), opta per un rinvio al potere “buono” degli scandali o – come scrive il vaticanista Luigi Accattoli – all’“uso cristiano degli scandali”.
Numerosi gli effetti benefici
Sgombrato il campo da accuse pretestuose nei confronti della stampa (perché meravigliarsi se i preti sono presi di mira per questioni sessuali, quando sono sempre stati loro a far la morale ai laici?), un corretto atteggiamento sarebbe semplicemente un “salutare bagno di umiltà”: «La Chiesa cattolica, forte dell’essere culturalmente e storicamente all’origine della civiltà occidentale (che si considera la più progredita del mondo), troppo spesso si è reputata la prima, più perfetta e impeccabile istituzione del pianeta».
La pretesa di possedere da duemila anni la “verità universale” evidentemente non ha esentato l’istituzione dai “crimini” compiuti dai suoi membri – nel 2005 papa Benedetto XVI aveva parlato di “sporcizia” – e la Chiesa è caduta in un peccato del sesso sul quale sovente si era trovata a dettare legge (pensiamo solo a tutte le aspre critiche che in fin dei conti si concentrano sempre e solo sul cap. VIII dell’Amoris laetitia). O, per dirla con la saggezza popolare: “Da che pulpito viene la predica…”.
Così «l’umiliazione della pedofilia è un cilicio che la Chiesa deve portare in pubblico a penitenza di tante passate superbie: non solo dei preti. Di quando – ad esempio – la Chiesa si è mostrata molto severa magistra e ben poco mater. Di quando ha sparso dall’alto anatemi e scomuniche che avrebbe potuto risparmiarsi senza danno per il Vangelo. E così via per i numerosi errori e colpe compiuti nel corso della storia, anche recente».
Gilberto Borghi, teologo e psicologo, si spinge oltre: «Serve una rilettura più misericordiosa e meno giuridico-economica del peccato. L’abitudine a vederlo come qualcosa che va estirpato, allontanato da sé, o combattuto con violenza, ha prodotto l’impossibilità di “assumerlo” nel proprio cammino di fede e di poterlo anche dichiarare ecclesialmente. Ciò spinge fortemente nella direzione di un occultamento, ai propri occhi e a quelli degli altri, dei propri peccati, soprattutto se diventati ormai vizi; occultamento che non di rado arriva alla negazione, strada maestra per l’inizio di una doppia vita etica: perché ciò che mettiamo fuori dalla porta rientra dalla finestra, facendo danni».
Eppure, proprio lo scandalo «ha il pregio di illuminare una Chiesa estremamente bisognosa di misericordia», avendo tra i suoi membri (unti col sacro crisma) anche grandi peccatori alla stregua dei divorziati risposati, i gay, quanti hanno abortito o hanno praticato o cercato l’eutanasia: tutte quelle categorie che, una volta, aveva considerato come “irregolari” (ma alcuni li considerano tali ancora oggi con scarso senso della misericordia) e alle quali aveva chiuso le porte in nome della sacra “dottrina”.
«La consapevolezza di essere caduti in basso può aiutare a mettersi nei panni degli altri “peccatori” con maggior credibilità e convinzione, a sentirli davvero più prossimi e a comprenderli meglio, ben oltre le dichiarazioni di accoglienza che, a volte, sembrano obbligate», conclude l’autore.
Superare la “casta”
«Dire no all’abuso significa dire con forza no a qualsiasi forma di clericalismo» aveva scritto papa Francesco nella sua Lettera al popolo di Dio, «un modo anomalo di intendere l’autorità della Chiesa»: un’aura di (ormai solo presunta) “superiorità” spirituale e autorevolezza morale che in certi contesti circonda ancora il prete o il religioso e può favorire, soprattutto nel fedele psichicamente più debole (leggi minore, ma non solo) un rapporto di soggezione e sudditanza.
Sembra di ascoltare l’eco di quanto dichiarato con estrema umiltà la settimana scorsa (quindi successivo alla pubblicazione del testo) dal cardinale Schönborn, arcivescovo di Vienna, nel video inviato al comitato organizzatore del vertice vaticano in qualità di presidente della Conferenza episcopale d’Austria: la cosa più triste è stata apprendere dai racconti delle vittime alcune espressioni ricorrenti pronunciate da preti o religiosi abusatori allo scopo di incutere timore e indurre al silenzio: «Ricorda che se parli, fai un torto a Gesù e andrai all’inferno!». Una minaccia – commenta il cardinale – che ha tramortito le vittime «zittite non solo dalla paura nei confronti del criminale che avevano di fronte, ma anche dal “timor di Dio”». «Superare una tale paura è una delle soglie più difficili. Pertanto, è necessario che le vittime possano finalmente sperimentare l’accoglienza materna della Chiesa, l’onestà dell’ascolto e la fiducia in quanto raccontano» concludeva Schönborn nel video che è stato inserito anche sul sito diocesano.
E il legame tra clericalismo e pedofilia non sta soltanto nel rapporto di sottomissione psicologica che si instaura tra abusatore “sacro” e vittima, ma anche nell’errata concezione teologica del sacramento dell’ordine tra i credenti: sostenere – come avviene ancora – che la vocazione sacerdotale sia in qualche modo “superiore” ad ogni altra, è una concezione che, almeno implicitamente, può contribuire a favorire il clericalismo e i suoi abusi (anche se Beretta ricorda come questo sia un rischio frequente in ogni religione che abbia dei celebranti per il culto e predicare una dottrina). Sulla necessità di superare il clericalismo, fonte di enormi danni, il pontefice ha fatto riflettere a più riprese in questi anni, senza dimenticare che il clericalismo ha contagiato negli anni anche molti laici, da considerarsi quindi conniventi.
Cambiare mentalità
Non solo bagno di umiltà, non solo bando alla casta: nella seconda parte del testo, Beretta passa anche ad enucleare alcune soluzioni di diversa entità proposte dall’interno della comunità ecclesiale. In testa il ripensamento del prete. Lo storico Alberto Melloni descrive con chiarezza la situazione odierna: «In sordina si è esaurito un grande ciclo: quello del prete. Quella formidabile invenzione cinquecentesca che ha plasmato la cultura e la politica, la psicologia e la vita interiore, l’arte e la teologia dell’Occidente e delle sue antiche colonie non si è estinta (sono circa 420 mila i preti nel mondo), ma da oltre un secolo è in crisi». Occorre “smontare la piramide” e considerarci, come ha sancito il Vaticano II, tutti quanti “popolo di Dio” in cammino nella storia.
Ma si parla anche di tutto quello di cui si è discusso in questi anni: di maturità affettiva dei candidati al sacerdozio, di accettazione matura del celibato, di rapporto o meno tra omosessualità e pedofilia, di giusto ruolo delle emozioni nella vita del prete (troppo spesso represse), di una maggior presenza femminile nel cammino verso il sacerdozio (“quote rosa in seminario”) per superare il maschilismo della struttura cattolica (“parte del problema pedofilia”) fino al necessario coinvolgimento delle comunità laicali, un aiuto fondamentale in una vita celibataria.
Significative le parole dello psicologo e formatore, padre Amedeo Cencini: «Il problema nasce quando le due realtà, il sacro e il potere, s’incontrano in particolari personalità, in taluni giovani che si sentono chiamati al sacerdozio, ma che sono abbastanza fragili, con una scarsa identità o con una percezione di sé non abbastanza positiva, magari con povere possibilità di realizzazione nella vita civile, paurosi di affrontare l’esistenza normale (sentimentale, professionale, relazionale) e le sue competizioni, giovani che forse intravedono nell’altare, nel ruolo presbiterale, una possibilità di affermazione e di rivalsa, qualcosa che potrebbe essere accessibile alle loro possibilità e, al tempo stesso, fonte di prestigio e successo, magari anche di potere e dominio».
«Forse il miglior regalo che i preti potrebbero ricevere dai laici (ammesso che abbiano il coraggio di accettarlo) è quello di essere riconosciuti “persone qualunque”» conclude Beretta, sottolineando «il prete, uno di noi».
Non mancano le soluzioni “tecniche”: dalla proposta di un’authority per la Chiesa a una riforma del Codice di diritto canonico. Ma su tutto la tesi del testo è quella di compiere un passo per andare “oltre”…, perché «non finisca tutto come Tangentopoli» e l’ascolto delle vittime diventa parte integrante della soluzione e della “risurrezione”. Del resto – scrive Beretta –: «Il messaggio cardine del cristianesimo è la risurrezione dopo una morte dolorosa».
E allora, dopo il bagno di umiltà e il salutare mea culpa, se vogliamo accendere una luce in quanto cristiani, occorre ripartire dal paradosso di Paolo per aggrapparsi a radici più solide: “Quando sono debole, è allora che sono forte” (2Cor 12,10).
Papa Francesco, durante il viaggio in Cile dello scorso anno, incitava a «non dissimulare, coprire le nostre piaghe. Una Chiesa piagata è capace di comprendere e commuoversi per le piaghe del mondo di oggi, farle sue, soffrirle e accompagnarle, e muoversi per sanarle. Una Chiesa con le piaghe non si pone al centro, non si crede perfetta, non cerca di coprire o dissimulare il male, ma pone lì l’unico che può sanare le ferite e che ha un nome Gesù Cristo».
In appendice, oltre al testo della Lettera al popolo di Dio di papa Bergoglio, una cronologia essenziale della crisi.
Roberto Beretta, Oltre l’abuso. Lo scandalo della pedofilia farà cambiare la Chiesa?, Àncora, Milano 2019, pp. 144, € 16,00 (disponibile anche in ebook, € 9,99).