Amoris laetitia: norma, misericordia e coscienza

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Dalla pubblicazione di Amoris Laetitia (AL) ci siamo ritrovati subito a riflettere ed avere a che fare con la parola chiave dell’Esortazione menzionata nel capitolo 8, ossia il “discernimento”, insieme con altre due parole importanti che sono l’accompagnamento e l’integrazione.

Scorrendo il cap. 8 di AL si può constatare che papa Francesco offre ed indica a tutta la Chiesa un percorso lungo senza abolire la dottrina, invitando le comunità cristiane ad essere capaci di integrazione ed avere una considerazione più unitaria delle diverse situazioni che possono originare irregolarità familiare (cfr. AL 297).

Il Pontefice scrive: «la Chiesa avverte la necessità di dire una parola di verità e di speranza. (…) I grandi valori del matrimonio e della famiglia cristiana corrispondono alla ricerca che attraversa l’esistenza umana. Se constatiamo molte difficoltà, esse sono (…) un invito a liberare in noi le energie della speranza traducendole in sogni profetici, azioni trasformatrici e immaginazione della carità» (AL 57).

Pertanto, alla luce della parabola del seminatore (cfr. Mt 13, 3-9), «il nostro compito è di cooperare nella semina: il resto è opera di Dio. Non bisogna nemmeno dimenticare che la Chiesa che predica sulla famiglia è segno di contraddizione, ma gli sposi apprezzano che i Pastori offrano loro motivazioni per una coraggiosa scommessa su un amore forte, solido, duraturo, capace di far fronte a tutto ciò che si presenti sulla loro strada. La Chiesa vuole raggiungere le famiglie con umile comprensione, e il suo desiderio è di accompagnare ciascuna e tutte le famiglie perché scoprano la via migliore per superare le difficoltà che incontrano sul loro cammino» (AL 200).

Leggendo con attenzione il capitolo 8 si evince un accento nuovo nell’agire pastorale che è quello per cui la Chiesa deve sapersi fare carico delle circostanze in cui si può trovare chi ha fallito il matrimonio e ha intrapreso una nuova unione. Si tratta di fare un cammino di discernimento tale per cui questi fedeli si dispongano a comprendere l’indissolubilità del matrimonio non come un “giogo” imposto agli uomini, bensì come un “dono” fatto alle persone unite in matrimonio (cfr. AL 62).

In questa prospettiva si coglie come il discernere «della e nella Chiesa abbraccia la cura della verità della singola coscienza assieme al bene della verità del matrimonio come bene prezioso cui nulla preferire»[1].

Dal primato della legge a quello della misericordia e della coscienza

In tal senso si comprende come l’accompagnamento pastorale delle varie fragilità matrimoniali può e deve continuare alla luce delle indicazioni del cap. 8 di AL nei confronti di situazioni matrimoniale difficili[2], complesse o irregolari[3]. Come comportarsi, ad es., nei confronti dei divorziati risposati e dei matrimoni irreversibilmente falliti?

Data la complessità dell’argomento, papa Francesco sin da subito ribadisce che «battezzati che sono divorziati e risposati civilmente devono essere più integrati nelle comunità cristiane nei diversi modi possibili, evitando ogni occasione di scandalo. La logica dell’integrazione è la chiave del loro accompagnamento pastorale» (AL 299). Certamente occorre discernere con prudenza fra situazioni diverse. «Se qualcuno ostenta un peccato oggettivo come se facesse parte dell’ideale cristiano, o vuole imporre qualcosa di diverso da quello che insegna la Chiesa, non può pretendere di fare catechesi o di predicare, e in questo senso c’è qualcosa che lo separa dalla comunità (cfr. Mt 18,17)» (AL 298).

Una cosa ben diversa «è una seconda unione consolidata nel tempo, con nuovi figli, con provata fedeltà, dedizione generosa, impegno cristiano, consapevolezza dell’irregolarità della propria situazione e grande difficoltà a tornare indietro senza sentire in coscienza che si cadrebbe in nuove colpe» (AL 298). Il Signore può agire con le sue grazie attuali anche nelle situazioni che, non realizzando pienamente l’ideale cristiano del matrimonio, si presentano più o meno imperfette e questi fedeli possono avere doni da mettere generosamente al servizio della comunità ecclesiale.

AL facendo perno sui tre verbi: “accompagnare, discernere e integrare” ribadisce la necessità di coniugare la verità con la carità e la misericordia, senza le quali la verità è un capestro. Il collirio della misericordia, secondo Francesco, consente di avere lo sguardo giusto per affrontare le varie situazioni di fragilità e di imperfezione. Per tal ragione Francesco senza modificare la dottrina, chiede un nuovo approccio pastorale, aprendo a nuove prassi pastorali rispetto al passato.

Francesco riconosce come le situazioni irregolari siano molto diverse e complesse, proprio per questo non esistono semplici ricette adatte ad ogni situazione. Per tal ragione «La strada della Chiesa è quella di non condannare eternamente nessuno; di effondere la misericordia di Dio a tutte le persone che la chiedono con cuore sincero (…). Perché la carità vera è sempre immeritata, incondizionata e gratuita! Pertanto, sono da evitare giudizi che non tengono conto della complessità delle diverse situazioni, ed è necessario essere attenti al modo in cui le persone vivono e soffrono a motivo della loro condizione» (AL 296).

A fronte della molteplicità delle situazioni dette “irregolari”, papa Francesco fa propria la presa di posizione generale dei padri sinodali: «In ordine ad un approccio pastorale verso le persone che hanno contratto matrimonio civile, che sono divorziati e risposati, o che semplicemente convivono, compete alla Chiesa rivelare loro la divina pedagogia della grazia nella loro vita e aiutarle a raggiungere la pienezza del piano di Dio in loro, sempre possibile con la forza dello Spirito Santo» (AL 297).

Pertanto, «Se si tiene conto dell’innumerevole varietà di situazioni concrete (…) è comprensibile che non ci si dovesse aspettare dal Sinodo o da questa Esortazione una nuova normativa generale di tipo canonico, applicabile a tutti i casi. È possibile soltanto un nuovo incoraggiamento ad un responsabile discernimento personale e pastorale dei casi particolari, che dovrebbe riconoscere che, poiché il grado di responsabilità non è uguale in tutti i casi, le conseguenze o gli effetti di una norma non necessariamente devono essere sempre gli stessi. I presbiteri hanno il compito di accompagnare le persone interessate sulla via del discernimento secondo l’insegnamento della Chiesa e gli orientamenti del Vescovo» (AL 300).

Da questo testo si evince che il papa da un lato non ha voluto proporre un cambiamento nella normativa canonica ma dall’altro ha fortemente incoraggiato il discernimento personale e pastorale quale chiave di lettura e applicazione delle singole situazioni che, essendo diverse tra loro, vanno vagliate con un intelligente discernimento pastorale in vista del bene possibile.

Francesco propone un discernimento pastorale e personale su tutte le situazioni matrimoniali essendo consapevole che «il grado di responsabilità non è uguale in tutti i casi, le conseguenze o gli effetti di una norma non necessariamente devono essere sempre gli stessi» (AL 300). Di conseguenza, lo stesso criterio non può essere applicato (in modo indistinto) a ciascuna e a tutte le situazioni. Poi in una nota a piè pagina, facendo riferimento a Evangelii Gaudium (EG) nn. 40 e 47, spiega come la pastorale dell’integrazione includa tutto quanto concerne la disciplina sacramentale: «dal momento che il discernimento può riconoscere che in una situazione particolare non c’è colpa grave» (AL 300, nota 336).

A tal proposito è stato evidenziato come in questa specifica asserzione risieda: «la novità di AL rispetto al magistero precedente: la possibilità che, in alcuni casi, da valutare uno per uno e dopo un adeguato cammino di verifica con i pastori, vi possa essere l’eventuale possibilità di ammissione alla riconciliazione sacramentale e alla comunione eucaristica. Fondamentale, in questo ambito, è la distinzione tra condizione oggettiva e condizione soggettiva di peccato e la diversa valutazione di responsabilità morale per i singoli casi; un’asserzione che ha  fatto e fa tutt’oggi tanto discutere, ma che corrisponde in definitiva alla dottrina tradizionale della Chiesa sui condizionamenti e i fattori attenuanti dell’atto morale»[4].

A riguardo il papa dichiara: «non è più possibile dire che tutti coloro che si trovano in qualche situazione cosiddetta “irregolare” vivano in stato di peccato mortale, privi della grazia santificante» (AL 301). E poi spiega «A causa dei condizionamenti o dei fattori attenuanti, è possibile che, entro una situazione oggettiva di peccato – che non sia soggettivamente colpevole o che non lo sia in modo pieno – si possa vivere in grazia di Dio, si possa amare, e si possa anche crescere nella vita di grazia e di carità, ricevendo a tale scopo l’aiuto della Chiesa» (AL 305).

Inoltre, altrettanto fondamentale è la nota 351 in calce al paragrafo 305 appena citato, dove facendo riferimento a EG nn. 44 e 47, il papa scrive: «In certi casi, potrebbe essere anche l’aiuto dei Sacramenti. Per questo, ai sacerdoti ricordo che il confessionale non dev’essere una sala di tortura bensì il luogo della misericordia del Signore […] Ugualmente segnalo che l’Eucaristia non è un premio per i perfetti, ma un generoso rimedio e un alimento per i deboli».

Con l’espressione “in certi casi, potrebbe essere anche l’aiuto dei Sacramenti”, si nota l’effetto restrittivo dell’espressione in certi casi[5] che non significa accesso incontrollato ai sacramenti della penitenza e dell’eucarestia dei fedeli divorziarti risposati. Tuttavia, a mio avviso, papa Francesco usando tale espressione ha voluto sbarazzare il campo da possibili interpretazioni “lassiste” che aprano l’accesso ai Sacramenti a chiunque si ponga in un cammino di discernimento[6] personale e pastorale.

Ogni singola persona ha una propria storia e fa il proprio percorso, pur dentro a criteri comuni. Non si tratta dunque di un “permesso” da accordare a chiunque, ma di un “percorso” da ritagliare su misura per ogni singolo fedele: e l’esito potrebbe anche non portare a vivere di nuovo i sacramenti della Riconciliazione e dell’Eucaristia.

Compito dei pastori e degli operatori pastorali

Nel solco di quanto sin ora esposto si comprende quanto sia importante per i pastori e gli operatori pastorali accompagnare i fedeli divorziati che vivono una nuova unione ad accettare cammini prolungati di verifica che li orienti alla presa di coscienza della loro situazione davanti a Dio e siano disposti ad intraprendere un sincero itinerario di discernimento, di conversione e di fede.

In questo percorso di accompagnamento sarà fondamentale suscitare nei fedeli le disposizioni e il desiderio di assecondare la volontà di Dio e di voler percorrere un serio itinerario di accompagnamento e di discernimento, più che ricevere una sorta di “certificazione” di regolarità da parte degli altri fedeli. Sarà necessario, dunque, “discernere nel foro interno[7] (cfr. AL 300), in ogni caso personale, la parte di colpa e la parte di condizionamento subito, in modo da adattare per ognuno l’aiuto materno della Chiesa nel suo accompagnamento pastorale, anche sacramentale”[8].

Pertanto, il lavoro del discernimento dovrebbe essere un itinerario per aiutare i fedeli a scoprire la volontà di Dio nelle circostanze in cui si trovano e a cercare di assecondarla. Non è (e non dovrebbe essere) soltanto un espediente con delle tappe o dei compiti da svolgere per ottenere la riammissione ai sacramenti. «(…) l’essere ammessi alla comunione non è per niente un dato immediato o tanto meno scontato. Non solo è un’eventualità ristretta a casi specifici, ma suppone un itinerario strutturato di maturazione, comprensivo del coinvolgimento in foro interno da mettere a confronto con i pastori della Chiesa, così da sottrarlo al mero soggettivismo o condurre a pensare a una doppia morale nella Chiesa»[9].

Si comprende che il papa richieda che davanti ad una situazione particolare si esige un discernimento particolare, il quale tuttavia non può essere elevato a norma universale; il che darebbe luogo a una casistica interminabile e metterebbe a rischio proprio i valori che si voleva salvaguardare. Il problema è allora di evitare la semplice applicazione della norma morale e far prevalere la logica della misericordia pastorale.

«Pertanto, un Pastore non può sentirsi soddisfatto solo applicando leggi morali a coloro che vivono in situazioni “irregolari”, come se fossero pietre che si lanciano contro la vita delle persone. È il caso dei cuori chiusi, che spesso si nascondono perfino dietro gli insegnamenti della Chiesa (…) La legge naturale non può dunque essere presentata come un insieme già costituito di regole che si impongono a priori al soggetto morale, ma è una fonte di ispirazione oggettiva per il suo processo, eminentemente personale, di presa di decisione» (AL 305).

Per cui non è escluso che, a motivo dei condizionamenti o dei fattori attenuanti, sia possibile che «entro una situazione oggettiva di peccato – che non sia soggettivamente colpevole o che non lo sia in modo pieno – si possa vivere in grazia di Dio, si possa amare, e si possa anche crescere nella vita di grazia e di carità, ricevendo a tale scopo l’aiuto della Chiesa» (AL 305).

Da questo testo di AL si comprende la delicatezza del discernimento che si colloca in uno spazio intermedio in cui sono in gioco sia l’oggettività della norma e la situazione vissuta, sia la soggettività dei singoli e delle loro coscienze. Perciò, il compito del discernimento, a cui sono chiamati i ministri e gli operatori pastorali verso le situazioni di crisi e di irregolarità coniugale, sarà quello di trovare strade possibili di risposta a Dio e di crescita.

«Non basta perciò l’applicazione fredda o letterale delle leggi morali; si esige un ascolto attento dei singoli casi, con la capacità di mettere in atto itinerari adeguati di discernimento, mostrando sempre ai coniugi divorziati e risposati in seconda unione il volto misericordioso della Chiesa»[10], ma sempre compiendo una verifica seria della situazione complessiva entro cui si trovano i divorziati risposati al fine di concedere (caso per caso), l’assoluzione sacramentale e la comunione eucaristica[11].

Alla luce di quanto espresso, appare utile precisare che ministri e operatori pastorali prima di iniziare un discernimento sul bene possibile in relazione alle situazioni di matrimoni irreversibilmente falliti, dovranno verificare l’eventuale nullità del matrimonio. Può darsi anche che, per un certo numero di coppie, il loro matrimonio irreversibilmente fallito è anche un matrimonio che non è mai diventato sacramento. E poi valutare con molta attenzione in relazione al primo matrimonio fallito che non ci siano scandali, ingiustizie o situazioni conflittuali e in relazione alla seconda unione la complessiva qualità cristiana.

Questo discernimento è assolutamente indispensabile per evitare che l’indicazione del bene possibile diventi ambigua o problematica se non motivo di scandalo, tanto da indurre a pensare che l’indissolubilità del matrimonio non faccia più parte degli insegnamenti della Chiesa cattolica. Dunque come è stato evidenziato in dottrina: «AL apre alla Penitenza e all’Eucarestia per i fedeli che vivono in un’unione “non legittima”, dopo un matrimonio canonico, a patto che essi realizzino una doppia condizione: il desiderio di cambiare la situazione, coscienti della sua “non legittimità”, e nello stesso tempo l’impossibilità di realizzare tale proposito, dal momento che l’abbandono dell’unione non legittima provocherebbe “una grave lesione affettiva”[12] verso il partner e/o difficoltà educative nei confronti dei figli»[13].

Pertanto se prima di AL di fronte al fallimento del matrimonio il primato veniva concesso alla difesa della norma dell’indissolubilità; le ragioni, i dubbi e le perplessità dei fedeli coinvolti restavano in secondo piano. Con AL avviene un passaggio delicato, controverso e complesso: si passa dal primato della norma al primato del discernimento particolare e della coscienza. Ma attenzione, questa coscienza andrà sempre formata ed aiutata a trovare mediante un attento discernimento (in dialogo in foro interno con un sacerdote: cfr. AL 300) del bene possibile, da intendersi come ciò che quella persona o quelle persone possono ragionevolmente attuare nel contesto in cui vivono. La coscienza non è un modo di evadere la responsabilità, ma di assumerla[14].

Il richiamo alla coscienza non significa cadere in un relativismo, soggettivismo o disimpegno pensando di poter fare quello che meglio si ritiene in nome della propria coscienza, sapendo che se si sbaglia alla fine c’è la misericordia di Dio che perdona tutto.

Il fedele divorziato risposato non può pensare che il suo divorzio e il nuovo matrimonio vengano amnistati dalla misericordia di Dio attraverso la misericordia della Chiesa; ma deve “discernere” con e nella comunità, cioè riflettere sul perché è avvenuto, come è avvenuto, quale responsabilità ha avuto nella rottura, qual è la situazione attuale con l’ex coniuge e i figli e se il matrimonio finito non è mai incominciato.

E alla luce di queste riflessioni ed aiutato da chi nella Chiesa è in grado di aiutarlo, può prendere con l’aiuto della grazia e della Chiesa le decisioni sul cammino da intraprendere per tornare a vivere l’amore “per sempre” anche in questa nuova situazione.

Per una cultura dell’incontro

Papa Francesco con AL e il cap. 8 ha voluto proporre un atteggiamento di graduale e prudente apertura al fine di favorire il desiderio dei fedeli in situazioni di fragilità, di ritornare alla fede, di accompagnare per integrare questi nostri fratelli nella comunità cristiana.

«Questo comporta per i pastori la capacità di leggere la storia personale di ognuno alla luce della Parola e nell’ampio contesto della misericordia di Dio. Il papa li invita “ad ascoltare con affetto e serenità, con il desiderio sincero di entrare nel cuore del dramma delle persone e di comprendere il loro punto di vista, per aiutarle a vivere meglio e a riconoscere il loro posto nella Chiesa” (AL 312)»[15].

L’accento nuovo che si evince da questo capitolo 8 è quello per cui la Chiesa deve sapersi fare carico delle circostanze in cui si trovano gli uomini. Si tratta di fare un cammino tale per cui queste coppie, comprendano che il matrimonio cristiano è un evento di straordinaria importanza e si dispongano a viverlo con sempre più forza e si dispongano a fare un cammino di ritorno che deve essere favorito dall’autorità pastorale. In questo cammino tutto deve mirare ad un ritorno pieno alla vita della Chiesa, per cui, senza far riferimento alla Comunione, il papa parla della possibilità di un’integrazione piena, alla fine di un cammino di accompagnamento e di discernimento, non vissuto in modo generico, ma caso per caso[16].

A riguardo è importante ricordare quanto lo stesso Pontefice ha ribadito nella Conferenza stampa, del 17 febbraio 2016, di ritorno dal viaggio apostolico in Messico, dicendo che integrare nella Chiesa i divorziati non significa dare la comunione. Egli così si esprimeva: «Integrare nella Chiesa non significa “fare la comunione”; perché io conosco cattolici risposati che vanno in chiesa una volta l’anno, due volte: “Ma, io voglio fare la comunione!”, come se la comunione fosse un’onorificenza. È un lavoro di integrazione… tutte le porte sono aperte. Ma non si può dire: da ora in poi “possono fare la comunione”. Questo sarebbe una ferita anche ai coniugi, alla coppia, perché non farà compiere loro quella strada di integrazione»[17].

Si coglie bene allora che la comunione eucaristica non può essere un premio, un diritto o un ticket da staccare. Il Pontefice ci invita a compiere un percorso e un’avventura di una Chiesa accogliente, che cammina a fianco della sofferenza delle persone, senza tradire in alcun modo o rinunciare a proporre la bellezza dell’amore e della famiglia (Cfr. AL 58; 297; 307).

Si ribadisce, infine, che il fine dell’accompagnamento, discernimento ed integrazione voluto da papa Francesco: «non è immediatamente l’accesso o meno ai sacramenti, ma più globalmente il proprio cammino di fede, il proprio rapporto col Signore nella Chiesa: moralità e santità. Tutto ciò esige quindi la proposta (della Chiesa) e l’adesione (di questi fedeli) ad itinerari spirituali non solo ordinari (in parrocchia), ma anche specifici (es.: percorsi prematrimoniali adatti a conviventi o sposati solo civilmente; percorsi per separati, divorziati o risposati, come già avviene in tante diocesi).

Non si tratta di imporre nuovi fardelli, ma di dare serietà all’azione pastorale e di venire incontro alle domande profonde ed effettive di questi fratelli, col tempo che ciò esige. Durante questi itinerari, da calibrarsi a seconda delle situazioni e delle concrete possibilità, si pone anche la valutazione circa l’accesso ai sacramenti (Confessione e Comunione), come mezzi/aiuti nel proprio cammino di fede… che deve continuare sempre»[18].

Il tempo che stiamo vivendo è un tempo di grandi sfide che ci invita a dare inizio, tutti insieme, a nuovi processi per essere una Chiesa sempre più credibile, sinodale, madre e maestra capace di passare da una pastorale delle strutture ad una pastorale delle persone fondata “sull’ermeneutica della persona”[19] che «valuta la realtà attraverso la persona o, ancora, mette innanzi la persona e cosi valuta la realtà»[20].

In conclusione, occorre «operare perché nella comunità non ci siano figli e figliastri accettando perciò la fatica di “vederci chiaro” nella diversità delle situazioni e delle fragilità, senza cadere nella tentazione di etichettare e classificare bisogni in accettabili o da scartare. Con i sacerdoti, anche gli operatori pastorali e tutti gli altri fedeli sono chiamati a condividere lo stesso sguardo misericordioso di chi pone la propria vita a favore dei fratelli (cfr. 1Gv 3, 14-16), accompagnando con misericordia e pazienza le possibili tappe di crescita delle persone che si vanno costruendo giorno per giorno. (…) Occorre praticare la “cultura dell’incontro”, se si vuole davvero rimanere fedeli al Signore che oggi ci chiama ad accompagnare tanti fratelli e sorelle battezzati che si trovano in situazioni di fragilità nella propria famiglia e desiderano con tutto il cuore riconciliarsi con Dio nella sua Chiesa»[21].


[1] G. Zannoni, Francesco e “i dottori della legge”. Discernere, oltre la casistica, Marcianum Press, Venezia 2021, p. 148.

[2] «In questa categoria rientrano i separati e i divorziati non risposati. Gli uni, pur avendo alle spalle un valido matrimonio canonico, hanno interrotto la convivenza matrimoniale, sia di fatto sia con procedimento legale, civile o canonico. Gli altri si trovano nella medesima situazione dei separati, ma a differenza di essi, dopo la separazione legale si sono avvalsi anche della cessazione degli effetti civili del matrimonio, senza però contrarre una nuova unione civile» L. Sabbarese, «Le situazione matrimoniali difficili e irregolari», in Ibidem (ed.), Il matrimoniale canonico nell’ordine della natura e della grazia. Commento al Codice di Diritto Canonico. Libro IV, Parte I, Titolo VII, Urbaniana University Press, Città del Vaticano 20164, p. 411.

[3] In questa categoria rientrano quei fedeli che si trovano in uno stato oggettivamente contrario alla legge ecclesiale e cioè «i divorziati risposati, i conviventi e coloro che hanno contratto il solo matrimonio civile. I divorziati risposati sono quei fedeli che dopo aver celebrato un valido matrimonio canonico hanno attentato un altro matrimonio civile, permanendo valido il primo vincolo. I conviventi sono quei fedeli che conducono vita comune in una relazione di fatto senza alcun tipo di formalità, pur essendo tenuti, in quanto battezzati alla forma canonica. Nella libera convivenza può darsi anche il caso di due fedeli di cui uno o entrambi hanno un precedente matrimonio valido dal punto di vista canonico, ma sciolto civilmente. Abbiamo, infine, coloro che sono sposati solo civilmente e convivono senza che la loro unione abbia valore per la Chiesa, dato che, in quanto battezzati, sono tenuti al matrimonio canonico, e fondano la loro vita coniugale sul rito civile. Tutti questi casi che configurano una situazione matrimoniale irregolare implicano, evidentemente, che almeno una delle parti sia cattolica»: Ibid..

[4] C. Rocchetta, Una Chiesa della tenerezza. Le coordinate teologiche dell’Amoris laetitia, 217.

[5] A tal proposito nel documento approvato il 23 gennaio 2016 dal Consiglio Permanente della Conferenza Episcopale Tedesca sull’Amoris laetitia si precisa opportunamente: «Non tutti i credenti il cui matrimonio si è spezzato e che sono civilmente divorziati e risposati, possono ricevere i sacramenti, senza distinzione. Sono necessarie invece soluzioni differenziate che rispondano al singolo caso e che siano praticabili nei casi in cui il matrimonio non possa essere annullato. A questo riguardo, incoraggiamo tutti coloro che hanno un ragionevole dubbio circa il fatto che il loro matrimonio sia avvenuto validamente, di prendere in considerazione il servizio dei tribunali ecclesiastici in modo che eventualmente venga loro data la possibilità di un nuovo matrimonio ecclesiale»: Consiglio Permanente della Conferenza Episcopale Tedesca, La gioia dell’amore che viene vissuta nelle famiglie è anche la gioia della Chiesa. Introduzione ad una rinnovata pastorale delle nozze e della famiglia alla luce dell’Amoris laetitia, in Il Regno-documenti 62 (2017/5), 155.

[6] Appare opportuno rilevare «Il presupposto fondamentale del discernimento è che esso non riguarda un problema, ma piuttosto una vita in cammino, una persona che procede sulla strada verso Dio. Per scoprire il bene da farsi, specialmente nelle situazioni difficili, la prima domanda da porsi non è che cosa si può o non si può fare. Questa domanda-tranello porta alcuni a condannarsi in nome della verità e altri ad assolversi acriticamente in nome della propria coscienza ridotta a propensione individuale, bloccando tutti nel punto in cui si trovano, o per inibizione o per superficiale accondiscendenza. Siamo abituati al bianco e al nero, ma non siamo capaci di stare dentro il grigio della vita. È decisivo che le persone, guardando con verità, la loro storia, si chiedano che cosa fare perché si compia ciò che la grazia intende operare in loro. È una strada scomoda perché non offre soluzioni immediate ma obbliga a riflettere sul significato che ognuno dà all’avere fede, sull’immagine che ha di Dio, su ciò che per lui/lei è il nucleo del vangelo, su cosa significa sentirsi comunità di salvati»: E. Biemmi, «Lo stile dell’accompagnatore familiare secondo Amoris laetitia», in Tredimensioni 14 (2017), 298.

[7] Per alcuni criteri da seguire per questo discernimento in foro interno si rinvia a: J.M. Garriegues – A.Thomasset, Discernimento…Verso una fede matura. Amoris laetitia insegna un nuovo stile pastorale, Città del Vaticano 2019,148-150; E. Tupputi, Misericordia e giustizia. Una Chiesa in cammino: percorso di discernimento in foro interno, Trani 2022. Il testo è edito nel sito ufficiale dell’Arcidiocesi di Trani-Barletta-Bisceglie nella sezione “Servizio diocesano per l’accoglienza dei fedeli separati”, alla voce sussidi.

[8] Cfr. A. Spadaro, «Conversazione con il Card. Schönborn sull’Amoris laetitia» in Francesco, Amoris laetitia. Esortazione apostolica postsinodale sull’amore nella famiglia. Testo integrale e commento de “La Civiltà Cattolica” (=Crocevia), Milano 2016, 218.221. Cf. anche Vescovi della Regione Pastorale di Buenos Aires, «Criteri fondamentali per l’applicazione del c. VIII dell’Amoris laetitia», in AAS 108 (2016), 1071-1074.

[9] C. Rocchetta, Una Chiesa della tenerezza. Le coordinate teologiche dell’Amoris laetitia, 219.

[10] C. Rocchetta, Una Chiesa della tenerezza. Le coordinate teologiche dell’Amoris laetitia, 225.

[11] Cfr. M. Andina, Il matrimonio cristiano e il suo possibile fallimento. La difficile custodio dell’eros nella forma dell’agape, Ed. Effatà, Torino 2016.

[12] Cfr. AL 298. Commentando questo paragrafo di AL il Card. Coccopalmerio ha scritto: «Il testo afferma che le persone delle quali si parla sono coscienti “dell’irregolarità”, sono, in altre parole, coscienti della condizione di peccato. Il testo, però, non afferma che le suddette persone hanno intenzione di cambiare la loro condizione illegittima. Non lo afferma in modo esplicito, ma certo lo presuppone in modo implicito: parla infatti nel seguito di “grande difficoltà a tornare indietro senza sentire in coscienza che si cadrebbe in nuove colpe” e “non possono soddisfare l’obbligo della separazione”. Ciò chiaramente significa che le persone di cui parliamo si pongono il problema di cambiare e quindi hanno l’intenzione o, almeno, il desiderio di cambiare la loro condizione. Al fine di meglio illustrare il testo, ricorriamo a un caso concreto, cioè al caso di una donna che è andata a convivere con un uomo sposato canonicamente e abbandonato dalla moglie con tre bambini ancora piccoli. Precisiamo che questa donna ha salvato l’uomo da uno stato di  profonda prostrazione, probabilmente dalla tentazione di suicidio; ha allevato i tre bambini non senza notevoli sacrifici; è nato un nuovo figlio; la loro unione dura ormai da dieci anni. Questa donna sa di essere in una situazione irregolare. Vorrebbe sinceramente cambiare vita. Ma, evidentemente, non lo può. Se, infatti, lasciasse la unione, l’uomo tornerebbe nella condizione di prima, i figli resterebbero senza mamma. Lasciare l’unione significherebbe, dunque, non adempiere gravi doveri verso persone di per sé innocenti. È perciò evidente che non potrebbe avvenire “senza una nuova colpa”»: F. Coccopalmerio, Il capitolo ottavo dell’Esortazione Apostolica post sinodale Amoris laetitia. LEV, 20-21.

[13] M. Chiodi, Coscienza e discernimento. Testo e contesto del capitolo VIII di Amoris laetitia, San Paolo, Cinisello Balsamo 2018, 49.

[14] A. Spadaro – L.J. Cameli, «La sfida del discernimento in “Amoris laetitia”» in La Civiltà Cattolica III/3985 (2016), 6.

[15] M. Semeraro, Il discernimento in Amoris laetita. Prolusione per l’Inaugurazione dell’Anno Giudiziario 2019 del TERP,  9 febbraio 2019, p. 4, il cui testo integrale è edito nel sito ufficiale della diocesi di Albano (www.diocesidialbano.it).

[16] «Distinguere «caso da caso» vuol dire distinguere “da persona a persona”. Non si penserà, dunque alla casuistica morale, poiché le persone non sono «casi»! Nessuna persona lo è proprio perché l’«altro» è quella “terra sacra” davanti alla quale, come ha scritto Francesco, occorre togliersi i sandali (cfr. Evangelii gaudium, 169). Ancor meno si tratta di relativismo […] Si tratta di quel «compito “artigianale”, da persona a persona”, cui Francesco accenna a proposito della famiglia e che è pure espressione dell’Ecclesia mater, da cui assume la prima forma quella pratica della fede che è l’agire pastorale»: M. Semeraro, Il discernimento in Amoris laetita. Prolusione per l’Inaugurazione dell’Anno Giudiziario 2019 del TERP, 9 febbraio 2019, p. 3-4, il cui testo integrale è edito nel sito ufficiale della diocesi di Albano (www.diocesidialbano.it).

[17] Francesco, Conferenza stampa di ritorno dal viaggio apostolico in Messico, 17 febbraio 2016, il cui testo integrale è edito nel sito ufficiale della Santa Sede (www.vatican.va).

[18] E. Zanetti, Accompagnare, discernere e integrare la fragilità. Un commento al capitolo VIII della Amoris laetitia, in Osservatore Romano, 22 aprile e 16-17 maggio 2016.

[19] Cfr. F. Coccopalmerio, Il capitolo ottavo della Esortazione Apostolica post sinodale Amoris laetitia, LEV, Città del Vaticano 2017, 47- 51.

[20] Ivi, 47.

[21] M. Semeraro, Il discernimento in Amoris laetita. Prolusione per l’Inaugurazione dell’Anno Giudiziario 2019 del TERP, 9 febbraio 2019, p. 5-6, il cui testo integrale è edito nel sito ufficiale della diocesi di Albano (www.diocesidialbano.it).

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4 Commenti

  1. Salvo Coco 21 settembre 2023
  2. Salvo Coco 21 settembre 2023
  3. Luigi Giuseppe Grossi 19 settembre 2023
  4. Gian Piero 18 settembre 2023

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