La sosta in Liguria per vacanze estive è da anni un ritornello ben noto a molti, soprattutto cittadini lombardi e piemontesi, che affollano quel litorale non a caso ripetutamente ritratto da artisti famosi.
Forse ai più sono meno noti i centri storici, i loro edifici più importanti e l’entroterra che meritano di essere visitati e ammirati anche per il loro patrimonio di arte sacra.
In un caldo pomeriggio di agosto, dopo alcuni anni, torniamo nel Museo Diocesano di Albenga (SV) che festeggia i suoi “primi quarant’anni”. Un compleanno importante, e presto ci accorgiamo che è stato per tempo e ampiamente preparato.
C’è alle spalle un progetto che il vescovo (dal 2016 monsignor Gugliemo Borghetti) ha condiviso con la Sovrintendenza delle province di Imperia e Savona e la CEI. Restaurare, conservare e rendere fruibili beni artistici: un programma ampio e aperto a più competenze che restituisce dignità e valore ad artisti (anche sconosciuti) e a chi ha trovato e trova ristoro spirituale in alcuni spazi sacri o di fronte a icone e oggetti di culto.
Una gentile guida ci apre l’antica casa del vescovo in cui si snodano le otto sale del piccolo e nutrito museo sito nel bellissimo centro storico e di fianco al battistero, uno dei più importanti monumenti paleocristiani dell’Italia settentrionale.
Oltre alle opere che costituiscono la collezione permanente di questa dimora che risale al Quattrocento (bellissima la sala delle Verzure, già camera da letto del vescovo con gran parte degli affreschi originali), la Sala Rossa ospita temporaneamente la mostra “Regnavit a ligno Deus”.
Due sculture quattrocentesche – un crocifisso e un Compianto di Cristo morto composto di otto statue – restaurate e qui esposte prima della loro ricollocazione ad Alassio (SV) e a Lucinasco (IM) da dove provengono. Legno antico, lavorato da mani sapienti e altrettanto sapientemente ripulito da vernici sovrapposte nei secoli.
Per le chiese della diocesi
Materiale apparentemente povero così come quello di altre opere esposte in alcune chiese della diocesi e legate al bel progetto voluto dalla stessa diocesi e così nominato: “Pitture per illuminarsi la notte”.
Da Albenga (nella cattedrale di San Michele Arcangelo) a Imperia (Oratorio di San Pietro) passando per Toirano, Laigueglia, Andora, Civezza e altre chiese e oratori (in tutto 12), sono esposti e in alcuni momenti illuminati i cartelami. Si tratta di apparati effimeri in materiali leggeri, allestiti tra XVII e XIX secolo sia per la Settimana Santa sia per altre occasioni.
È arte popolare, quella che rimanda all’infanzia: la visione di queste sagome colorate ci ricorda i libri per bambini, soprattutto quelli in cartone con inserti mobili (alcuni sono opere di famosi designer) o album da cui ritagliare silhouette di bambole con i loro abitini.
E, quando vediamo il bellissimo Teatro istoriato nella parrocchiale di San Matteo di Laigueglia, ci immaginiamo gruppi di fedeli che lo hanno ammirato durante importanti feste liturgiche a partire dal 1835.
È un grandioso apparato (alto circa 15 metri) con sagome di cartone pensato per la stessa chiesa e oggi situato in un’ampia cappella laterale.
Il suo fondale richiama un paesaggio esotico in parte immaginario e in parte ritratto con la ricca vegetazione di quest’area ligure, quando l’altrettanto “ricca” cementificazione non era ancora sopraggiunta.
Il proscenio è neoclassicheggiante e ospita figure allegoriche (le Virtù) e bibliche in monocromo.
I colori (a olio o più spesso a tempera) ritornano nella figura dell’angelo a fianco del sepolcro vuoto – esposto nel giorno di Pasqua – e nel gruppo della Deposizione che veniva posizionato sul proscenio durante il Venerdì Santo.
Ma lo spettacolo si fa ancora più coinvolgente quando, dietro le quinte, con speciale meccanismo, vengono spostate le nubi capaci di oscurare o illuminare il sole; e così esse svelano o celano il repositorio dell’ostia. Un concetto non facile – quello della realtà eucaristica – veniva in tal modo sceneggiato e reso fruibile ai più. Viene spontaneo pensare a occhi attenti e rapiti di adulti e bambini di un tempo catturati da effetti speciali durante le celebrazioni che immaginiamo particolarmente partecipate e sentite.
Gli studiosi di cartelami (decisiva la mostra allestita a Genova nel 2013 e il catalogo a cura di Franco Broggero e Alfonso Sista) ci informano che, durante queste sacre funzioni, il messaggio trasmesso dalle immagini si arricchiva con i testi delle sacre rappresentazioni interpretati da attori presi dal popolo.
Chi recitava i ruoli dei protagonisti acquisiva poi il loro nome. E così pescatori, madri di famiglia, ambulanti venivano chiamati con “U Gesù” “U Maddalena” “U Giuda” con quella tipica cadenza dialettale che anche oggi nei vicoli e budelli liguri si può ascoltare.
A fine estate (fino al 15 settembre questi luoghi sono visitabili ma è quasi certa una proroga) gli organizzatori ci diranno quanti turisti avranno sostato in tali spazi. Ci auguriamo siano un buon numero e siano feconde le riflessioni di ciascuno.
E non solo ai fini di una necessaria e lodevole valorizzazione del patrimonio artistico locale. Crediamo infatti che la storia della devozione popolare sia un ottimo volano per nutrire anche la preghiera di oggi.
Come un vecchio libro di fiabe scoperto in un cassettone della nonna può aiutare qualunque bambino, anche il più esperto di videogiochi, a ritrovare emozioni nel racconto. Soprattutto se, grazie ad una voce capace, la narrazione sa aprire alla Speranza, quella vera.
Si ringrazia il Museo diocesano della diocesi di Albenga per aver messo gentilmente a disposizione le immagini di questo articolo – la Redazione.