Come può un prete, al servizio di Cristo e della sua Chiesa, arrivare a causare tanto male? Come può aver consacrato la sua vita per condurre i bambini a Dio, e finire invece per divorarli in quello che ho chiamato un sacrificio diabolico, che distrugge sia la vittima sia la vita della Chiesa?… Si tratta di una mostruosità assoluta, di un orrendo peccato, radicalmente contrario a tutto ciò che Cristo ci insegna. Gesù usa parole molto severe contro tutti quelli che fanno del male ai bambini: «Chi invece scandalizza anche uno solo di questi piccoli che credono in me, sarebbe meglio per lui che gli fosse appesa al collo una macina girata da asino, e fosse gettato negli abissi del mare» (Mt 18,6)… Abbiamo dichiarato che è nostro dovere far prova di severità estrema con i sacerdoti che tradiscono la loro missione, e con la loro gerarchia – vescovi o cardinali – che li proteggesse, come già è successo in passato (papa Francesco, dalla Prefazione del libro di Daniel Pittet, La perdono, Padre, Edizioni Piemme, Milano 2017, pag. 8).
Ho letto e meditato con attenzione la “Lettera al popolo di Dio” di papa Francesco del 20 agosto 2018[1] sullo scandalo che lui stesso, incontrando privatamente a Lima i gesuiti del Perù il 18 gennaio 2018, ha definito come «la desolazione più grande che la Chiesa sta subendo».[2]
Come è noto, l’occasione della lettera è la pubblicazione, in data 14 agosto 2018,[3] del corposo report (1.400 pagine circa) del Gran Giury dello Stato della Pennsylvania (USA) in cui si descrive dettagliatamente l’esperienza di almeno mille persone che, negli ultimi settant’anni, sono state vittime di abusi non solo sessuali, ma anche di potere e di coscienza, da parte di 301 preti e persone consacrate di otto diocesi dello Stato americano.
Immagino però che la lettera sia stata scritta sia a motivo dei molti paesi coinvolti dal fenomeno (dal Brasile al Cile, dall’Honduras agli Stati Uniti d’America, dall’Irlanda alla Germania, dall’Australia alle Filippine, dalla Francia alla Svizzera, dalla Spagna al Messico)[4] sia in considerazione dell’estensione ai vari gradi e livelli degli ecclesiastici coinvolti: dal semplice prete al noto monsignore, dall’educatore in oratorio al fondatore carismatico di ordini religiosi.
Un documento analogo era stato scritto il 31 maggio 2018 da Francesco «al popolo di Dio pellegrino in Cile»[5] e il 19 marzo 2010 da Benedetto XVI «ai cattolici d’Irlanda».[6]
Nella lettera di Francesco gli «abusi sessuali, di potere e di coscienza» perpetrati da chierici e da persone consacrate a danno di «minori e adulti in situazione di vulnerabilità» sono qualificati non solo come «errori» ovvero come «ferite che non vanno mai prescritte», ma anche come «crimini», «delitti» e «atrocità» che richiedono giustizia, prevenzione e riparazione. La solidarietà nei confronti delle vittime comporta, da un lato, la denuncia di «tutto ciò che possa mettere in pericolo l’integrità di qualsiasi persona», dall’altro, «la lotta contro ogni tipo di corruzione, specialmente quella spirituale».
Due i contenuti della lettera che mi hanno maggiormente colpito.
Compito che ci riguarda e ci coinvolge tutti
Il primo è l’invito che Francesco rivolge con insistenza al popolo di Dio, quale soggetto teologico, «di farsi carico in maniera globale e comunitaria» di un «crimine che genera profonde ferite di dolore e di impotenza, anzitutto nelle vittime, ma anche nei loro familiari e nell’intera comunità».
Secondo Francesco, «è necessario che ciascun battezzato si senta coinvolto nella trasformazione ecclesiale e sociale di cui tanto abbiamo bisogno» per «sradicare la cultura di morte» che sta alla base delle «atrocità» commesse e sostituirla con la «cultura della protezione e del mai più verso ogni tipo di abuso».
«L’unico modo che abbiamo per rispondere a questo male che si è preso tante vite è – insiste il papa – viverlo come un compito che ci coinvolge e ci riguarda tutti come popolo di Dio».
In assenza di un tale coinvolgimento, tutto ciò che si fa per sradicare la cultura dell’abuso dalle nostre comunità «non riuscirà a generare le dinamiche necessarie per una sana ed effettiva trasformazione» in ambito sia ecclesiale che sociale.
La mala pianta del clericalismo
Mi ha poi fatto molto riflettere la seguente affermazione di Francesco: «Dire no all’abuso significa dire con forza no a qualsiasi forma di clericalismo».
La denuncia del clericalismo torna spesso nel magistero di Francesco. Basti citare la lettera del 19 marzo 2016 al card. Marc Armand Ouellet, presidente della Pontificia commissione per l’America Latina.
Il clericalismo «non solo annulla la personalità dei cristiani, ma tende anche a sminuire e a sottovalutare la grazia battesimale che lo Spirito Santo ha posto» nel loro cuore. «Il clericalismo porta ad una omologazione del laicato; trattandolo come mandatario, limita le diverse iniziative e sforzi e, oserei dire, le audacie necessarie per poter portare la Buona Novella del Vangelo a tutti gli ambiti dell’attività sociale e soprattutto politica».
Richiamando proprio la lettera al card. Marc Armand Ouellet, Francesco ricorda che, quando si cerca di «soppiantare, mettere a tacere, ignorare, ridurre a piccole élites il popolo di Dio», l’autorità nella Chiesa diventa sinonimo di clericalismo, «quell’atteggiamento che non solo annulla la personalità dei cristiani, ma tende anche a sminuire e a sottovalutare la grazia battesimale che lo Spirito Santo ha posto nel cuore della nostra gente».
Il clericalismo, infatti, sia quando è imposto dai presbiteri sia quando è alimentato dalla passività delle persone battezzate, «genera una scissione nel corpo ecclesiale» destinato a fomentare e a reiterare molti dei mali denunciati.
Una domanda
Dopo la lettura della lettera, la mia prima reazione è consistita nel pormi la seguente domanda: ma che cosa centro io con i crimini purtroppo commessi da un numero così elevato di preti con la complicità omertosa di non pochi vescovi e in che modo posso farmene carico?
Domanda alla quale ho faticato a rispondere, non sentendomi responsabile di una situazione di immane gravità che, a causa di questo fenomeno, sta attraversando la Chiesa cattolica in varie parti del mondo.
L’invito di Paolo «se un membro soffre, tutte le membra soffrono insieme» (1Cor 12,26), richiamato da Francesco all’inizio e alla conclusione della lettera, mi è stato di aiuto per tentare di reagire responsabilmente,[7] esplicitando considerazioni e proposte di iniziative utili perché, nella comunità cristiana come nella società civile, venga promossa, affermata e consolidata «una cultura capace di evitare che tali situazioni non solo non si ripetano, ma non trovino spazio per essere coperte e perpetuarsi».
Due ringraziamenti
Lo scandalo degli abusi è devastante. A farne le spese sono i tanti presbiteri bravi, dal comportamento esemplare, operosi, impegnati a trasmettere la bellezza del Vangelo di Gesù,[8] a irradiare con zelo una vita autenticamente cristiana e a far crescere il popolo di Dio in una fede che divinizza e umanizza. Il male non deve oscurare il tanto bene che quotidianamente e per lo più nel silenzio da essi viene fatto in ogni parte del mondo a favore dei poveri e di bambini e adolescenti in stato di abbandono. Ad essi, che hanno fatto della loro vita un capolavoro di servizio e di amore, va la solidarietà, la stima, l’affetto, la riconoscenza e il ringraziamento di tutto il popolo di Dio.
Contemporaneamente il ringraziamento sincero va alle vittime che, con le loro testimonianze, hanno abbattuto il muro di silenzio che, in ambito ecclesiale, ha soffocato per tanto tempo scandali e sofferenze. Nella convinzione che vada decisamente stigmatizzato l’errore, tipicamente clericale, di pensare e affermare che coloro che rendono pubbliche le miserie che avvengono all’interno della Chiesa sono suoi nemici.
Tre considerazioni
Tante potrebbero essere le riflessioni che la lettera di Francesco suscita. Ne voglio esplicitare sole tre.
In primo luogo, mi sembra assolutamente evidente che, con Francesco, la Chiesa non solo sta uscendo definitivamente dall’omertà in fatto di abusi sessuali su minori o su adulti in situazione di vulnerabilità, ma sta anche dimostrando di essere determinata a contrastarne con rigore e a prevenirne, al suo interno, la piaga, mettendosi in sincero e rispettoso ascolto delle vittime.[9]
Soprattutto Francesco ha contribuito a far sì che, oggi, nella Chiesa non si parla eufemisticamente e ipocritamente di «condotte inappropriate», ma con franchezza e senza reticenze di «delitti» e di «atrocità» penalmente perseguibili.
Nella lettera Francesco esprime chiaramente una connessione tra abuso sessuale, abuso di potere e abuso di coscienza. L’abuso sessuale, infatti, è spesso preceduto o accompagnato da abusi di potere e di coscienza.
L’intreccio tra abuso sessuale, di potere e di coscienza lo si ha soprattutto in contesti ecclesiali caratterizzati dal clericalismo, da intendere sia nella sua forma attiva (quando il “clero” la fa da padrone e clericalizza il laicato), sia nella forma passiva (quando il laicato immaturo, in ginocchio, chiede, per evitare di impegnarsi responsabilmente, di essere clericalizzato).[10]
Questo può succedere quando un presbitero concepisce e vive il suo ministero non come un umile servizio ma come un potere sacralizzato facilmente sfociabile in una forma di idolatria.
Purtroppo il clero non è la sola categoria di soggetti che abusano sessualmente di minori e adulti in situazione di vulnerabilità. Il numero degli abusi compiuti tra le mura domestiche, negli ambienti scolastici e/o sportivi, in strada, o addirittura nelle ong[11] è tragicamente elevato.[12]
Una prevenzione efficace presuppone la mobilitazione attiva di tutti gli attori (istituzioni statali, società civile, scuola, agenzie formative, comunità cristiana). La prevenzione della violenza contro i bambini è responsabilità di noi tutti.
In ogni caso, non bisogna mai abbassare la guardia, neppure là dove le istituzioni civili ed ecclesiali hanno messo in campo specifiche azioni. «Ci farà bene aprirci di più e lavorare insieme con diverse componenti della società civile per promuovere una cultura antiabusi a trecentosessanta gradi».[13]
Cinque proposte
Probabilmente il celibato dei presbiteri non è di per sé la causa del fenomeno degli abusi sessuali, dal momento che questi vengono perpetrati, in modo altrettanto grave, anche da parte di persone sposate.
I casi di abusi percentualmente consistenti riscontrabili tra i preti induce a ritenere che lo stato di vita celibatario imposto possa essere un fatto in qualche modo favorente. È probabile, infatti, che il celibato, se non scelto in modo veramente convinto e vissuto con equilibrio, gioia e serenità, possa esporre a questi rischi persone segnate da problematiche sessuali irrisolte.
Anche a motivo della persistente penuria di presbiteri, perché non rendere facoltativa la scelta celibataria e percorribile la strada del conferimento del presbiterato a viri probati, uomini di fede e virtù comprovate, autorevoli, rispettati e apprezzati all’interno di una determinata comunità, vedovi o sposati con figli adulti, in grado di provvedere autonomamente al proprio mantenimento?
La Chiesa continua ad essere una struttura maschilista, pensata e gestita da maschi. Per la generazione attuale che crede nella pari dignità di generi, questo risulta intollerabile.
Nella Chiesa è ora che le donne contino di più proprio là dove vengono prese le decisioni. Perché un vescovo non potrebbe inserire nel consiglio episcopale anche delle donne che notoriamente hanno una maggiore sensibilità rispetto ai maschi nelle questioni che riguardano bambini e adolescenti?
Alla luce di quanto sta succedendo oggi nella Chiesa, sembra quanto mai urgente abrogare il § 2 del canone 1340 del Codice di diritto canonico: «Per una trasgressione occulta non s’imponga mai una penitenza pubblica». Non è forse grazie a questo assurdo principio che, se chi commette un crimine tenendolo nascosto, al massimo può essere sanzionato con una punizione segreta? Con la conseguenza che un abusatore sessuale seriale, pur punito in segreto, potrebbe tranquillamente continuare, per non creare scandalo rendendo pubblico il crimine, a fare l’animatore negli oratori parrocchiali.
Per sconfiggere il clericalismo, legato anche all’analfabetismo religioso di molte persone battezzate, mi sembra quanto mai urgente che si accolga con determinazione l’invito che Francesco rivolge nella sua «lettera al popolo di Dio pellegrino in Cile»: che tutti i centri di formazione religiosa promuovano «comunità capaci di lottare contro situazioni abusive, comunità in cui lo scambio, la discussione, il confronto siano benvenuti» attraverso l’offerta di una riflessione teologica «capace di essere all’altezza del tempo presente» e di «promuovere una fede matura, adulta e che assuma l’humus vitale del popolo di Dio con le sue ricerche e i suoi interrogativi».
Nella lettera del 20 agosto Francesco, dopo aver invocato tolleranza zero contro chi compie o copre questi delitti, chiede al popolo di Dio digiuno e preghiera per sensibilizzare occhi e cuore dinanzi alla sofferenza degli altri, per vincere la bramosia di dominio e di possesso che spesso sono all’origine di questi «crimini ripugnanti»,[14] per aprire le nostre orecchie al dolore silenzioso delle vittime, per alimentare fame e sete di giustizia, per scuoterci dall’indifferenza e per impegnarci nella verità e nella carità – unitamente a tutte le persone di buona volontà e alla società in generale – a lottare contro qualsiasi tipo di abuso.
Perché non dedicare, in ogni Chiesa locale ed eventualmente in concomitanza con la “Giornata mondiale dei diritti dell’infanzia e dell’adolescenza” istituita dall’ONU nel 1954 e che si celebra il 20 novembre di ogni anno, una giornata di digiuno e di preghiera comunitaria contro il fenomeno dei crimini sessuali?
[1] In SettimanaNews.it n. 34/2018 (dal 20 al 26 agosto).
[2] Il testo della conversazione, approvato da Francesco per la pubblicazione, è reperibile in “La Civiltà Cattolica” n. 4024 del 17/feb – 3/mar 2018, pp. 322-330.
[3] Diciassette giorni dopo la comunicazione, da parte della sala stampa della Santa Sede, delle dimissioni dal collegio cardinalizio, della sospensione a divinis e dell’obbligo di dimora dell’arcivescovo emerito di Washington (USA) Theodore McCarrick.
[4] Parlando della situazione ecclesiale italiana, Hans Zollner, psicoterapeuta e teologo, presidente del Centre for Child Protection della Pontificia Università Gregoriana e membro della Commissione vaticana per la protezione dei minori, ha affermato recentemente che «sarebbe una stupidaggine pensare che in Italia non sia accaduto ciò che è accaduto in altri paesi» e che, pertanto, «sarebbe utile guardare in faccia la realtà». Se i vescovi italiani non agiscono presto, «prima o poi verranno fuori dati non verificati, una valanga di scandali e polemiche che si troveranno a dover rincorrere» (Cf. Corriere della sera, 23 agosto 2018).
[5] In SettimanaNews.it n. 23/2018 (dal 4 al 10 giugno).
[6] In www.vatican.va, “Lettera pastorale di Benedetto XVI ai cattolici dell’Irlanda”.
[7] Nella Lettera al popolo di Dio pellegrino in Cile Francesco esorta i cristiani a mostrare «la tessera di persone maggiorenni, spiritualmente adulte» e ad avere il coraggio e lo stile sinodale di dire ai loro pastori: «Questo mi piace; questo cammino mi sembra sia quello che dobbiamo percorrere; questo non va bene». Ed esorta i pastori ad imparare ad ascoltare, perché – come ricorda l’esortazione apostolica Gaudete et exsultate (n. 44) – «le domande del nostro popolo, le sue pene, le sue battaglie, i suoi sogni, le sue lotte, le sue preoccupazioni, possiedono un valore ermeneutico» che non si può ignorare.
[8] Che è «la buona notizia della dignità umana» (Francesco, È l’amore che apre gli occhi, Rizzoli, Milano 2013, pag. 199).
[9] Basti citare Alessandra Campo, coordinatrice del Centre for Child Protection, che promuove la prevenzione degli abusi su minori: «Sugli abusi sessuali su minori la Chiesa si è mossa spezzando un’omertà che ha ramificazioni più ampie dei suoi orizzonti» (La Repubblica del 3 settembre 2018).
[10] Cf. discorso di Francesco in data 22 marzo 2014 ai membri dell’associazione “Corallo”.
[11] Cf. il rapporto Sexual exploitation and abuse in the aid sector del Parlamento Britannico del 31 luglio (in www.parlament.uk)
[12] «In Europa, secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, sono 18 milioni i bambini vittime di abuso sessuale, 44 milioni vittime di violenza fisica (22,9%) e 55 milioni vittime di violenza psicologica (29,6%). In genere sono più minacciate le bambine (13,4%), rispetto ai bambini (5,7%)»: cf. Hans Zollner La tutela dei minori e la prevenzione in: Luisa Bove (a cura), Abusi nella Chiesa ? Meglio prevenire, Àncora Editrice, Milano 2017, pag. 16.
[13] È il consiglio dato da Francesco, a titolo di esempio di cose da fare, ai vescovi del Cile in occasione dell’incontro in Vaticano del 18 maggio 2018 e contenuto nella lettera loro consegnata (in www.laciviltacattolica).
[14] Così Francesco nel discorso rivolto sabato 25 agosto 2018 alle Autorità, alla Società Civile e al Corpo diplomatico, in occasione del viaggio apostolico a Dublino.