La Chiesa dell’Amazzonia si indigna contro la politica governativa del presidente Bolsonaro, denunciando una colpevole indifferenza.
Sono scesi in campo due grossi calibri della gerarchia brasiliana: l’arcivescovo di Manaus nell’Amazzonia brasiliana, Leonardo Steiner, e il card. Hummes, già arcivescovo di San Paolo, relatore al sinodo sull’Amazzonia, presidente della Rete Ecclesiale Pan amazzonica (REPAM). Steiner ha detto che «la situazione è drammatica. La gente sta morendo in casa». È del tutto «fuori controllo», coinvolge le periferie e i territori degli indigeni, circa 35 mila gruppi nei dintorni della megalopoli amazzonica.
Il virus si sta diffondendo a macchia d’olio e preoccupa i migranti haitiani e venezuelani, che non dispongono della documentazione necessaria per poter accedere ai sussidi che offre il governo.
Al 1° maggio – secondo REPAM – si sono registrati 20.445 casi di epidemia, con 1.322 morti. La regione panamazzonica comprende il 43% del territorio del Sudamerica, 9 Paesi e più di 33 milioni di persone.
Ha detto Hummes: «La Rete Ecclesiale Amazzonica è molto preoccupata ed esige più attenzione da parte dei governi nei confronti della regione panamazzonica a causa della pandemia del coronavirus, che si sta diffondendo sempre più». È una regione non certo preparata ad affrontare l’epidemia perché abbandonata dai rispettivi governi e anche – soggiunge il cardinale – «distrutta e repressa nella lotta per i suoi diritti e per la sua vita».
Il tasso di mortalità sta aumentando a dismisura, soprattutto nelle grandi e medie città. Nella capitale Manaus, il principale focolaio del contagio e dei morti, i dati divulgati dalle autorità dicono che fino al 1° maggio si sono avuti 3.491 contagiati e 357 morti, certamente non credibili perché si registrano 140 sepolture al giorno, quando normalmente nella città se ne contano 30. È da supporre che nella città di Manaus il numero s’aggiri sui 2.000 decessi. Molti muoiono nelle case, senza nessun tipo di cure mediche.
Duro il grido di allarme di Hummes: di fronte a questo scenario di pandemia, le autorità pubbliche non mettono in atto strategie di attenzione ai settori della popolazione più vulnerabili, soprattutto i gruppi indigeni.
E la Chiesa? «Deve indignarsi, come dice papa Francesco, e denunciare queste grandi necessità e le ingiustizie che il popolo di questa regione soffre, specialmente i più poveri e vulnerabili, i popoli originari, i quilombo (schiavi di origine africana) e altri». La Chiesa sta dalla parte dei popoli indigeni nella loro vita quotidiana: «È una Chiesa che è un’alleata che consola, dà forza e prega al loro fianco, rafforzando in loro la speranza e la volontà di lottare per più giustizia, solidarietà e mezzi per sopravvivere». Forte il richiamo a mettere in atto subito quanto detto nel sinodo dell’Amazzonia che, per la verità, incontra non poche difficoltà e resistenze ad essere capito: passare da una Chiesa di visita ad una Chiesa di presenza.