«I fatti raccolti nella mia inchiesta dimostrano che non posso collegare mons. Lacroix alla querela della denunciante. Allo stesso modo non gli posso imputare la responsabilità dei fatti che gli sono stati attribuiti. Gli elementi raccolti nel corso della mia inchiesta rendono poco plausibile che i fatti di cui viene accusato il cardinale si siano prodotti. Non ho elementi sufficienti per giustificare un processo canonico contro il card. Lacroix. È questa la conclusione che ho formulato a papa Francesco».
È la sentenza del giudice André Denis che, in conformità alle nuove regole canoniche, ha indagato sulle accuse all’arcivescovo di Québec e primate del Canada. Dunque, cade ogni ipotesi di giudizio canonico contro il vescovo di Québec (Canada).
Procedure canoniche e civili
Questo non significa che, in sede civile il giudizio nei suoi confronti e nei confronti dell’intera diocesi promosso da un’azione collettiva di 147 vittime, si interrompa. Esso continua, ma la conclusione a cui arriva l’indagine di André Denis, ex giudice della Corte superiore del Québec, condizionerà l’esito della denuncia che una donna ha fatto nei confronti del gerarca: quella di “toccamenti” in due occasioni (1987-1988) di cui sarebbe stata vittima a 17 anni, in presenza dei suoi genitori e durante degli incontri biblici.
Il giudice Denis ha trovato totale collaborazione da parte della diocesi e di tutti coloro a cui ha chiesto ragione dei comportamenti del pastore in quegli anni. Non ha però trovato alcuna disponibilità da parte della vittima che non ha fornito nessuna data, luogo o dettaglio in relazione ai denunciati abusi. Essa ha anche rifiutato di permettere al giudice di leggere le sue dichiarazioni allegate alla denuncia.
Il giudice, nella sua indagine, non ha trovato alcun elemento per supportare l’accusa: nessuna testimonianze diretta o indiretta che rendesse plausibile una ulteriore indagine, nessun dato che confermasse gli incontri biblici di Lacroix negli anni indicati (era occupato in altre attività pastorali) e, tanto meno, che in essi ci sia stato l’incontro con la ragazza in presenza dei genitori.
La mancata collaborazione della vittima è un’assenza di peso in ordine alla completezza dell’indagine che risulta per questo non “piena”. E, tuttavia, per la modalità molto severa dell’indagine e la credibilità del giudice, è difficile pensare che emergano elementi tali da rovesciare il suo giudizio.
Azione giudiziaria collettiva
Come si diceva, le accuse al cardinale rientrano nell’azione giudiziaria collettiva guidata da un paio di studi di avvocati. La diocesi è consapevole che fra i 147 denunciandi ci sono casi veri, alcuni già acclarati e altri largamente conosciuti anche dai media. Il sistema giuridico canadese permette di arrivare a una conclusione “amabile” che, d’accordo coi denunciandi, chiuda il processo attraverso una transazione economica. È già avvenuto per altre diocesi.
In un contesto in cui l’attenzione ecclesiale alle vittime e i modelli di comportamento come il sistema complessivo di tutela dei minori è arrivato a determinazioni molto particolareggiate e condivise, quella conclusione è l’auspicio di molti. In particolare, per le vittime, che vedono prolungarsi molto un giusto, anche se inadeguato, risarcimento e per quanti, fra gli accusati, risultassero innocenti. La non disponibilità degli avvocati e delle vittime comporterà un prolungamento di anni del processo e l’eventuale ricorso alla Corte suprema significherà attendere per più di un decennio.
Il card. Gérard Cyprien Lacroix al momento della denuncia nei suoi confronti (febbraio scorso) si è autosospeso dall’attività pastorale diocesana, continuando altri tipi di impegni, come la partecipazione al collegio dei nove cardinali che aiutano il papa nella riforma della curia (cf. qui). Quando ha saputo dell’esito dell’indagine, ha prolungato la decisione in attesa che l’azione giudiziaria collettiva possa chiudersi in tempi ragionevoli.
Convinto sostenitore della necessità di denunciare gli abusi e di rispondere delle attese anche finanziare delle vittime, il porporato così commentava nel momento della diffusione della notizia: «Avverto la collera (delle vittime). Essa mi “abita” e mi spinge a fare il possibile per favorire il loro cammino verso la pace interiore. Siamo determinati a prenderci cura gli uni degli altri, a vigilare e a impedire che si riproducano situazioni di abusi».
Prosciolti
La Chiesa cattolica in Canada, come altre comunità religiose del paese, è sotto pressione da anni. Alle prese con le nuove accuse relative ai comportamenti nei collegi degli aborigini e per le denunce al card. Marc Ouellet, già prefetto del dicastero dei vescovi. Se il caso Lacoix risultasse infondato anche in sede civile, sarebbe una buona notizia per le comunità cattoliche e si collocherebbe al seguito di esiti similari dei casi Bernardin (USA), Barbarin (Francia) e Pell (Australia).