Dell’assemblea CEI svoltasi il 12-15 novembre sono emersi, a giudicare dal riscontro sui media, l’ammonimento dell’introduzione riguardo al rapporto fra Italia ed Europa e la decisione circa la forma del Padre nostro raccolta nel comunicato finale. Praticamente assente la questione degli abusi del clero e l’insufficienza delle disposizioni in merito.
Dall’Assemblea CEI di novembre
Il card. Gualtiero Bassetti, presidente della Conferenza episcopale e vescovo di Perugia, in un breve passaggio dell’introduzione aveva ammonito: «Se l’Italia rinnega la sua storia e soprattutto i suoi valori civili e democratici, non c’è un’Italia di riserva. Se si sbagliano i conti, non c’è una banca di riserva». Così, se si rinuncia all’Europa, «non c’è poi un’Europa di riserva e rischiamo di ritornare a tempi in cui i nazionalismi erano il motore dei conflitti e del colonialismo».
Il comunicato finale, dopo aver ricordato l’approvazione della terza edizione del Messale romano a conclusione di un percorso durato 16 anni, ricorda la nuova versione del Padre nostro («non abbandonarci alla tentazione») e dell’inizio del Gloria («pace in terra agli uomini, amati dal Signore»). Per la variegata e ampia discussione su Padre nostro rimando a http://www.settimananews.it/bibbia/padre-nostro-la-tentazione-2/ , http://www.settimananews.it/lettere-interventi/vescovi-tedeschi-sul-padre-nostro/, http://www.settimananews.it/teologia/padre-nostro-la-tentazione/ e Testimoni 3/218 p. 13.
L’argomento abusi
Minore attenzione è stata riservata alle decisioni relative agli abusi del clero. Si possono così sintetizzare: nuove Linee guida, un Servizio nazionale e la nomina nelle diocesi di uno o più referenti da avviare a un percorso di formazione in merito.
Le Linee guida attualmente in vigore sono del 2014. La Commissione della CEI per la tutela dei minori e degli adulti vulnerabili le ha riviste proponendo il testo alla discussione dell’assemblea, nella consapevolezza «che la priorità non può essere data a una preoccupazione difensiva né al tentativo di arginare lo scandalo morale ed ecclesiale, bensì ai ragazzi feriti e alle loro famiglie». Il testo andrà ora alla Commissione per la tutela dei minori della Santa Sede e presentato per l’approvazione alla prossima assemblea generale di maggio 2019.
Più precise le indicazioni sul Servizio nazionale per la tutela dei minori e delle persone vulnerabili che avrà «un proprio statuto, un regolamento e una segreteria stabile, in cui laiche e laici, presbiteri e religiosi esperti saranno a disposizione dei vescovi diocesani». Il suo compito sarà di avviare percorsi di formazione e prevenzione, di consulenza e di supporto nei procedimenti processuali canonici e civili.
La seconda proposta approvata riguarda le Conferenze episcopali regionali. «Si tratta di individuare diocesi per diocesi, uno o più referenti da avviare a un percorso di formazione specifica».
Lavoro apprezzabile quello della Commissione, stretta fra l’urgenza dei problemi e la lentezza di diocesi e vescovi, affaticati dai singoli casi e ancora al riparo da spinte civili e mediali non più arginabili, come è successo a molti altri episcopati europei e nord-americani (ma anche il Cile e l’Australia).
Dietro le quinte, c’è un lavoro di collegamento, di sostegno economico e di ampliamento della decina di comunità di cura. Fra queste una comunità promossa dai vescovi lombardi, una per le religiose e una da parte di un istituto religioso.
Il 22 ottobre una trentina di operatori si sono ritrovati per riflettere sul rapporto fra modelli terapeutici e spiritualità, fra responsabilità di cura e ricostruzione della fede, fra responsabilità del terapeuta e ruolo del padre spirituale.
Ma, nell’insieme, vi è la percezione di un’insufficienza. Mancano luoghi dove le vittime possono denunciare o parlare (se non in pochissime diocesi), sono assenti le celebrazioni penitenziali in merito, le vittime non hanno posto nelle assemblee ecclesiali ed episcopali, non c’è un lavoro di documentazione né di informazione. Il servizio nazionale non sembra aver poteri in proprio. Lontanissima l’idea di una commissione indipendente.
Si va a tentoni anche per i casi che, dopo un adeguato percorso rieducativo, si affacciano di nuovo a responsabilità ministeriali.
Il processo di demotivazione in atto nel clero (altrove si parla di “clerofobia”) non sviluppa un aperto confronto e l’assunzione di responsabilità nel presbiterio stesso.
Le comunità cristiane, pur direttamente coinvolte, non hanno modi e strumenti per esprimersi. Una situazione critica che non credo possa durare a lungo.