L’assemblea della Conferenza episcopale italiana (CEI), svoltasi a Roma dal 22 al 24 novembre, non ha ricevuto particolari attenzione dai media. Ma vale la pena ripercorrere i temi maggiori dell’assise.
Il sinodo, i sinodi
Si sono avviati contemporaneamente due sinodi, uno della Chiesa italiana, che si concluderà fra cinque anni, e uno della Chiesa universale che terminerà nel 2023. Per l’Italia l’idea era stata lanciata dal papa durante il convegno nazionale a Firenze (2015) e ha sonnecchiato a lungo prima che suoi interventi diretti ai vescovi, ai catechisti e ad altre categorie ecclesiastiche decidessero per l’avvio. Sono previsti due anni di ascolto prima di indicare i tempi da affrontare e su cui chiedere le eventuali riforme, in sintonia con quanto il sinodo universale avrà indicato.
È intervenuto il card. Mario Grech, segretario generale del sinodo dei vescovi, per chiedere ai vescovi italiani di dedicare questo primo anno sinodale a rispondere al quesito posto dalla Chiesa universale nel documento preparatorio, «Una Chiesa sinodale, annunciando il Vangelo, “cammina insieme”; come questo “camminare insieme” si realizza nella vostra Chiesa particolare? Quali passi lo spirito ci invita a compiere per crescere nel nostro “camminare insieme”?».
E ha ammonito circa il rischio «di voler sopraccaricare il processo sinodale di altri significati e obiettivi, di voler aggiungere cose da fare per raggiungere ulteriori risultati, oltre l’esperienza condivisa di ascolto del popolo di Dio sulla sinodalità e la Chiesa sinodale». Con due possibili difficoltà. Da un lato, di limitarsi a valorizzare quanto si fa, senza spazio per la richiesta di novità condivise. Dall’altro, di avviare un processo (dalle comunità alle diocesi, dalle diocesi alle conferenze episcopali, da queste alla segreteria del sinodo e poi di nuovo dal sinodo alle conferenze episcopali) con montagne di carte da visionare e il pericolo di disperdersi in un improduttivo genericismo.
«La sfida affidataci dal papa, hanno ricordato i vescovi, è quello di un ascolto diffuso, di aprire cioè la consultazione di questo primo tratto del cammino anche al difuori; certo, non tutti parteciperanno, ma tutti devono sentirsi invitati. Se ciascun operatore pastorale, obbedendo alla creatività dello Spirito, si farà moderatore di un gruppo sinodale sul territorio, nei diversi ambienti in cui le persone vivono, si incontrano, si curano, studiano e lavorano, sarà davvero un’esperienza ampia di sinodalità» (comunicato finale).
Esercizi di sinodalità
I vescovi hanno lavorato in gruppi, applicando anzitutto a sé stessi un esercizio di sinodalità. A parere di molti è stato il momento più condiviso e creativo dell’assemblea.
Parlando fra persone con la stessa responsabilità ecclesiale, i vescovi hanno sottolineato l’urgenza di una nuova governance, che sollevi il vescovo dalle infinte incombenze di gestione e di rappresentanza. Hanno condiviso l’esigenza di un ministero più agile e più direttamente legato ai compiti dell’evangelizzazione.
Il peso delle strutture immobiliari, peraltro scarsamente produttive, e alcuni casi difficili nel clero minacciano di assorbire tutte le loro energie.
Formazione e abusi
Sulla formazione ecclesiastica vi è l’urgenza di armonizzare le indicazioni nazionali con la nuova ratio formationis pubblicata dal dicastero vaticano. Qui si apre il tema delicato dei seminari, della loro struttura, dell’indipendenza della “comunità del seminario” rispetto agli edifici, dei passaggi di probazione pratica nel cammino formativo. Non si è andati oltre per esigenza di tempo, ma la percezione di una drastica riduzione di numeri e della difficile proposta vocazionale era condivisa.
Sugli abusi ecclesiali è intervenuto Lorenzo Ghizzoni, vescovo di Ravenna, che ha aggiornato circa le iniziative e le strutture messe in campo per contrastare la piaga. La creazione della rete dei riferenti diocesani, dei centri di ascolto e dei servizi nazionali per la tutela dei minori sono ormai funzionanti. La proposta di un’indagine conoscitiva a livello nazionale sta prendendo piede.
Qualcuno spinge sul modello della commissione indipendente francese, qualche altro ipotizza una commissione in cui la Chiesa entra accanto ad altre istituzioni (ministero competente, Meter, Telefono azzurro ecc.) per una indagine conoscitiva sull’insieme degli abusi nel paese.
Dialogo col papa
Molto apprezzata la cordialità del papa nel lungo dialogo con l’assemblea. Un momento di libero confronto in cui sono tornate le preoccupazioni di Francesco in ordine al sinodo e al coraggio di aprire nuove strade per l’annuncio evangelico, senza lasciarsi scoraggiare dall’idea di sbagliare.
Il suo ministero di spinta e incoraggiamento non viene meno. Lì sono risuonate le otto beatitudini del vescovo: beato il vescovo povero, coinvolto nei drammi della sua gente, disposto al servizio e non al potere, capace di sporcarsi le mani, lontano dalla doppiezza del cuore, accompagnatore di cammini di riconciliazione, testimone coraggioso e controcorrente.
Ma il papa ha dato anche un segnale di impazienza pubblicando negli stessi giorni un motu proprio per una commissione di verifica sui tribunali diocesani relativi alle nullità matrimoniali (26 novembre). La commissione ha il compito di verificare e sollecitare tutte le diocesi a far funzionare il tribunale per le nullità senza indugi, garantendo prossimità, celerità e gratuità.
Problemi sociali
Sul versante della vita civile, è tornata l’attenzione alle migrazioni, alla pandemia e alla proposta di referendum sull’eutanasia. Le migrazioni saranno una costante del futuro. «Abbiamo richiamato nelle scorse settimane la situazione della Libia. Penso ora a quanto sta avvenendo nei confronti dei migranti al confine fra Polonia e Bielorussia, a quelli che dalle coste del Maghreb si avventurano nel Mediterraneo. Sono vicende che non appartengono alla cultura europea generata dal Vangelo» (card. G. Bassetti, presidente CEI).
La quarta ondata del Covid richiede un di più di responsabilità da parte di tutti. Le divisioni e le contrapposizioni mettono a rischio la società e il servizio sanitario. E, soprattutto, i più deboli.
Sull’eutanasia la CEI «rilancia la richiesta di applicare, in modo uniforme e diffuso, la legge sulle cure palliative e la terapia del dolore, tecniche capaci di ridare dignità alla vita dei malati, anche di quelli inguaribili o di quelli che sembrano aver smarrito il senso del loro stare al mondo».