Un testo all’altezza dei tempi quello recentemente pubblicato dai vescovi australiani col titolo Per vivere una vita in pienezza. Salute mentale in Australia oggi. Onesto nell’analisi, lucido nell’individuazione dei problemi e delle insufficienze sistemiche a riguardo della cura e del supporto a persone con malattie mentali nel paese, capace di individuare comunque i punti di forza su cui fare perno per migliorare il lavoro di presa in carico, assistenza e integrazione comunitaria delle persone con sofferenze mentali.
Ponendo l’urgenza delle ricadute della pandemia causata dal Covid-19 sull’equilibrio mentale di tutta la popolazione del paese, rimarcando il dovere civile di non far naufragare coloro che la stanno vivendo partendo da una condizione già segnata di fragilità e instabilità mentale.
«Ora ci troviamo di fronte alla pandemia da Covid-19. Nella nostra vulnerabilità ci rendiamo conto che non abbiamo il controllo delle cose. Le nostre abitudini quotidiane sono state interrotte e più di un milione di persone ha perso il lavoro o lo hanno lasciato. I nostri uffici e le nostre chiese sono stati chiusi, e noi siamo stati costretti a isolarci gli uni dagli altri. Ansietà e paura per l’ignoto sono risposte psicologiche normali, che possono accendere risposte positive per proteggere noi e le nostre comunità. Tuttavia, un’ansietà severa e depressione possono paralizzarci, e la paura per l’ignoto può trasformarsi in paura per il nostro vicino. La solidarietà della nostra comunità può essere messa a repentaglio, mettendo a rischio coloro che tra noi sono più vulnerabili».
Forse, il lato più oscuro della pandemia con cui dovremo imparare a vivere ancora per lungo tempo. Più di quello che ci aspettavamo, più di quello di cui ci sembra essere capaci oggi – a quasi dieci mesi dalle prime avvisaglie di una notte che non ci saremo mai aspettati di dover attraversare.
Le ricadute della vita sulla salute mentale, affermano i vescovi australiani, sono parte integrante del ministero pastorale della fede cristiana, dell’attenzione doverosa da parte delle comunità parrocchiali e delle istituzioni educative e caritative della Chiesa. Un terreno sul quale il cattolicesimo australiano è attivo e attento. La pandemia è una ricaduta della vita reale sul vissuto delle persone, su quell’unità di corpo, mente e anima che siamo. Le comunità cristiane devono essere quei luoghi della società in cui «anziché prendere le distanze dalla fragilità umana, o di vederla semplicemente come un problema da risolvere attraverso il sapere scientifico, ci si prende cura attenta di essa – cercando di discernere l’auto-comunicazione di Dio e la sua chiamata».
Tenendo conto delle condizioni previe alla pandemia, le categorie più esposte a problemi legati alla fragilità mentale sono i giovani (in particolare tra i 16 e 25 anni), gli anziani che vivono in condizione di isolamento sociale, le varie popolazioni aborigene, i senza fissa dimora e i carcerati (in particolare, queste ultime categorie sembrano essere semplicemente invisibili per il sistema sanitario e sociale che si fa carico dei problemi mentali). A questi gruppi di persone bisogna guardare con sensibilità particolare in questo frangente pandemico, trovando vie per non farli scivolare nel limbo dell’indifferenza sociale e della stigmatizzazione pubblica.
Inutile nasconderlo, la pandemia ci ha resi tutti più fragili – limiti personali che prima governavamo più o meno bene diventano occasione di sofferenza acuta. La Chiesa, questo il tenore complessivo del testo, deve guardare alla fragilità mentale delle persone, alle malattie a essa legate, come a un compito che le pertiene in senso proprio ed evangelico: lo spirituale non può, e non deve, essere mai scisso dal mentale e dal corporeo.