La prospettiva di Occam (cf. SettimanaNews, qui), che nega consistenza materiale alle sostanze seconde della tradizione aristotelico-tomista, ci permette di sognare la nostra fedeltà ecclesiale a Gesù di Nazareth in modo più semplice e spogliato delle secolari intrusioni filosofiche e delle deturpazioni che il pensiero parmenideo ha depositato nella nostra tradizione teologica.
Sono profondamente convinto che l’essenza della vita ecclesiale sia un rapporto personale con Gesù Messia, alimentato quotidianamente attraverso l’ascolto e l’introiezione della sua Parola.
La riforma liturgica del Vaticano II, in un ciclo triennale e biennale, feriale e domenicale, ci offre nella celebrazione dell’Eucaristia la possibilità di ascoltare quasi tutte le Sacre Scritture: la lex orandi che è il fondamento della lex credendi; la santificazione del tempo anche, e soprattutto, attraverso la Parola, che illumina, guida e sostiene la fedeltà a Gesù, il quale, senza i Vangeli, rimarrebbe silenzioso e apparentemente assente.
Solo la Parola ha il potere di accompagnare i fedeli nei complessi cammini della vita personale, familiare e comunitaria. E nei tragici eventi che segnano la storia di tutte le generazioni, con guerre, genocidi e distruzioni, generate dalle potenze di questo mondo, che Gesù ha affrontato con la sua pratica, la sua parola, la sua Pasqua.
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L’ascolto della Parola è essenzialmente comunitario, ma sono le singole persone che, uscendo dal solipsismo e dall’isolamento, accolgono il dono della fraternità e della sorellanza.
Sono comunità, comunione di solitudini, sinfonie di carismi diversi e complementari, in cui abbiamo ovviamente anche supervisori, presbiteri e diaconi, servizi differenziati, non esclusivamente maschili, che sono semplicemente funzionali e non ontologici.
Potremmo vivere come se le teologie enciclopediche e il magistero non esistessero, perché possono allontanarci dal rapporto di familiarità e intimità con Gesù, sostituendolo con una fedeltà dogmatica, riduttivamente giuridica e allergica alla storia e alle sue provocazioni, che riproduce costantemente una Chiesa gerarchica, patriarcale, clericale, chiaramente o sottilmente misogina, autoreferenziale, ma con pretese di santità e purezza.
Una Chiesa che non coincide con la fedeltà concreta e nascosta dei seguaci di Gesù e che si identifica quasi sempre con l’istituzione e la sua burocrazia.
Chiesa, puro nome, direbbe Guglielmo di Occam, senza realtà, senza sostanza.
Stupisce, tuttavia, come questo inganno metafisico sia stato in grado per molti secoli di mascherare la sua nullità e di mostrare, nonostante la vuota astrazione, la sua potenza con efficacia, resistendo al processo sinodale, che sogna la superiorità e il protagonismo dei fedeli reali e concreti, sacerdoti e sacerdotesse per grazia del Battesimo.
Il nominalismo occamista smaschera questa Chiesa, che pretende di essere concretamente reale, e la riduce a un mero concetto, utile solo a designare l’insieme dei battezzati nella comunione dei santi.
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Pertanto, espressioni come «la Chiesa dice, la Chiesa insegna» sarebbero affermazioni che cercano di sostenersi con un soggetto astratto ed evasivo.
E con altri argomenti teologici come «Chiesa Sposa di Cristo, Chiesa Madre, Maria-Chiesa» scopriamo ulteriori contraddizioni, perché queste espressioni sono il frutto di approcci datati e superati, che trasferiscono alla teologia una lettura biologica e antropologica, ereditata dal dualismo del pensiero greco, dove prevale la superiorità maschile, lo spirito fecondante, alleato della materialità femminile. Uomo solare e attivo. Donna lunare, passiva. Uomo protagonista, donna accogliente e coadiuvante, feconda generatrice di vita, ma sempre a partire dall’iniziativa dell’uomo. Ciò si traduce inevitabilmente nell’interpretazione di Dio Padre e del Figlio Gesù come soggetti maschili definiti teologicamente come tali, dimenticando, però, il merito dovuto a un’antropologia, che non ha nulla di teologico.
È in questo contesto che si presentano oggi i tradizionalisti, che non accettano il Concilio Vaticano II e godono dell’illusione, spesso segnata dal fanatismo e dall’aggressività, di poter tornare al passato tridentino, come se l’obbedienza formale a tradizioni equivocate, magisteri e catechismi fosse garanzia di purezza incontaminata, come se si potesse insistere sulle strategie di imposizione missionaria che hanno segnato il tempo della cristianità, riaffermando il ruolo della Chiesa come maestra e giudice dei nostri fratelli e sorelle e dell’umanità.
Questo cattolicesimo, che attualmente si sta diffondendo come un cancro in tutti gli angoli del mondo, è costitutivamente violento e si presenta come il mentore e il promotore dell’estrema destra più aggressiva e disumana, alleata con il capitalismo e il processo di costruzione di nuove dittature.
Insiste sulla ripetizione di un universalismo che si contraddisse e si contraddice quando mostra la pretesa arrogante e violenta di imporre la “verità” a tutti i popoli, come è accaduto nel tempo – non ancora del tutto esaurito – della cristianità europea e della cristianità coloniale.
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È la ripetizione di un universalismo generato da un monoteismo intollerante e violento, che ha semplicemente ignorato e continua a ignorare il primo comandamento di Gesù: l’amore, l’agape, rivelato nella Croce, che ci porta sempre ad essere uniti alle vittime dell’ingiustizia e alla testimonianza dei martiri.
Si tratta di un tradizionalismo, che però non sembra essere solo quando ignora che l’unica Tradizione, l’unica eredità inalienabile lasciata dagli Apostoli è la persona stessa di Gesù, la sua Parola e la sua Pasqua.
Se dovessimo ridurre l’analisi della congiuntura all’attuale confronto tra le narrazioni dei cattolici del tradizionalismo e i cattolici del Concilio, potremmo entrare in un vicolo cieco che potrebbe impedirci di sognare un futuro diverso e farci chiudere gli occhi di fronte agli avvenimenti, che già preannunciano un tempo, in cui vincerà solo la fedeltà all’Amore e alla Giustizia del Regno vissuta in lotte amorose: semi di futuro, piccoli e nascosti nella vita quotidiana, spogliati di ogni potere e grandezza, minoranze, sono la testimonianza di coloro che annunciano comunità in tempo di individualismi, solidarietà in tempo di egoismo, pace in tempo di guerra, diritti in tempi di privilegi, giustizia in tempi di disuguaglianze che seminano morte e disperazione; e che, con fermezza evangelica, affrontano la tentazione della paura e dello scoraggiamento di fronte all’arroganza omicida dei poteri di questo mondo. In compagnia di Gesù di Nazareth, il Risorto.
Spunti molto interessanti e che molti cristiani già vivono forse in modo non del tutto consapevole. Rimanere cristiani tirandosi fuori da una struttura che ormai non convince più e non è più sentita come utile per la crescita personale e il miglioramento del mondo.
La chiesa è ovunque, non ha forma né struttura. È la capillare diffusione dei fedeli in cristo che uniti nel suo nome modificano le sorti di questo mondo senza delegare questo compito a strutture ormai incrostate da un passato che non vuole passare.
Diciamo che è così.
Fino al 1962 nessuno aveva capito nulla.
Poi, all’improvviso, le nubi sono state spazzate via ed è emersa la verità.
Finalmente si è capito quel che voleva dire Nostro Signore.
Purtroppo il testo dei Vangeli ci è stato consegnato proprio da quella Chiesa misoginia, violenta, razzista e sessuofoba che esisteva fino al 1962.
Chi ci assicura che i testi non siano stati modificati?
Chi ci assicura che quei preti e monaci del medioevo non abbiano irrimediabilmente distrutto i Vangeli?
Aveva ragione quel gesuita che disse che ai tempi di Gesù non c’era il registratore.
Allora diciamoci la pura verità: è tutta una presa in giro.
Spesso mi chiedo se c’è nel Regno del Vaticano un dicastero col compito di aprire una finestra sul mondo che lo circonda per capire “che aria tira”.
Mi sono, sinceramente, affezionato a questa rivista perché c’è una fervente corrente letterata che chiede espressamente che la nostra “Chiesa” da istituzione scenda per strada fra e con il popolo di Dio per un vero cammino
di CONVERSIONE perché sia condiviso il sacrificio della croce di Nostro Signore.
Concludo, e mi si perdoni ma non vuol essere una provocazione: …ma se la cattedra di Pietro fosse chiamata, per ispirazione Divina, ad essere Itinerante e non più pianta stabile dentro le mura “leonine”?
Come sempre a Voi tutti un fraterno saluto e augurio per un impegno serio e concreto per la Vita Cristiana.
Ci fosse una “cattività Avignonese” come nel 1300, la struttura gerarchica potrebbe forse purgarsi dai comportamenti criminali di molti suoi capi, senza le pastoie concordatarie che coprono il fetore delle loro azioni verso i piccoli
Guardi che siamo in regime di cattività.
Infatti, oggi come allora, la chiesa è stata assoggettata alle necessità della politica dominante.
Allora il Re di Francia oggi una indistinta poltiglia di “diritti” civili, inculturazione malintesa e vergogna per ciò che si è.