Sabato scorso in una libreria di Parigi saltava in bella mostra un libro di un vescovo francese dal titolo “I cristiani possono essere cittadini?”. Ho sentito immediatamente un’innata ripulsa – sia per il titolo sia per il modo di affrontare la questione. Tipica domanda retorica di una Chiesa che parla a se stessa e, forse, di un vescovo che poco sa del vissuto della sua gente.
Perché oggi, già per me ma soprattutto per le generazioni più giovani, una tale domanda non si pone – per molte ragioni, non ultima quella del fatto che il cammino di cittadinanza precede quello dell’appartenenza alla comunità ecclesiale e che l’ingresso in quest’ultima non è sentito come contraddittorio alla prima.
Il tema della cittadinanza, soprattutto come lo disegna la Costituzione italiana, è ben più ampio di quello della nazionalità e del gioco politico che accompagna – meglio dovrebbe accompagnare – la configurazione di uno stato costituzionale. Eppure, la retorica ecclesiastica di questa domanda posta in un contesto diverso dal nostro emerge sovente anche da noi.
La afasia fra il linguaggio ecclesiastico che le sta dietro e il vissuto civile dei credenti dovrebbe interessare e interrogare anche la teologia, che – invece – su queste dimensioni del vivere umano sembra avere poco da dire (salvo fortunate eccezioni).
Come poco sembra avere da dire in occasione della festa nazionale del 25 aprile e, insieme con lei, anche la Chiesa italiana. Basta uno sguardo al sito della CEI, dove si trova un post sulla Giornata dell’Università Cattolica, il 23 aprile, e la presentazione del lancio della nuova Campagna dell’otto per mille, il 27 aprile.
Nel bel mezzo di queste due date rispetto alle queli la CEI ha ritenuto opportuno dire qualcosa si trova l’oggi del paese e dei suoi cittadini intorno al quale i nostri vescovi non dicono nulla. Eppure quel giorno oramai lontano non è irrilevante per la stessa possibilità di essere cattolici in Italia; e non è irrilevante rispetto alla configurazione di uno spazio civile in cui venga rispettata l’alterità religiosa della Parola di Dio.
Né si può assistere inermi alle esternazioni del presidente del Senato della Repubblica che non solo ostenta la sua ignoranza costituzionale, ma di fatto annulla la validità del giuramento istituzionale che rende legittimo l’esercizio di questa sua funzione costituzionale.
Il silenzio ecclesiale italiano dovrebbe preoccupare soprattutto quei cittadini che si riconoscono in questa istituzione della fede – soprattutto in un momento in cui il senso dello stato costituzionale sembra essere più un ostacolo da debellare che un riferimento costitutivo della coesistenza civile in Italia.
Le ansie e, purtroppo anche i drammi, che scorrono nell’animo delle generazioni più giovani di italiani, fatte esplodere la Covid, hanno la loro radice nell’abdicazione di lunga data del doveroso ossequio politico ai principi inderogabili su cui si articola l’intero disegno costituzionale della Repubblica Italiana.
Abdicazione a cui ci siamo assuefatti anche noi, comunità dei credenti, ritenendola come magicamente iscritta nella logica delle cose della nostra società contemporanea. Salvo poi accorgerci che il prezzo di questa mancanza di coscienza civile della fede lo pagano quelli che vengono dopo di noi – visto che non siamo riusciti ad attrezzare per loro quantomeno una scenario minimo dove la voce “futuro” non fosse il pozzo senza fondo di una vita priva di destinazione, speranza e desiderio.
Materiale per la riflessione teologica e la preoccupazione pastorale della nostra Chiesa ce ne è dunque più che in abbondanza. Una parola civile della fede, in questo 25 aprile, non avrebbe stonato – ma non c’è stata, perdendo così un appuntamento importante con quella categoria di cittadini che più dovrebbe starci a cuore – quelli che vengono dopo di noi, appunto.
Due punti del breve articolo mi piano particolarmente interessanti: la sottolineatura del silenzio ecclesiastico e l’individuazione della radice di ansie e drammi dei giovani.
Mi pare che la riduzione della fede alle categorie politiche utilizzate dall’autore gli sia di impedimento nel cogliere il motivo profondo dell’adesione dei cristiani alla costruzione civile: la passione per l’uomo, la condivisione del suo bisogno, l’intuizione del legame di fratellanza e di comunione, figli delle stesso Padre e coeredi, la partecipazione al mistero del suo corpo, ben vivo anche ora nei suoi, pur indegni, fedeli. Per questo, noi cristiani, possiamo dare a Cesare quel che è di Cesare. Solo l’affievolimento di questa consapevolezza rende così moribondi d’amore i nostri rapporti famigliari, sociali, la nostra lettura politica ridotta a ideologia. Eliot si chiedeva: è il mondo che ha abbandonato la Chiesa o è la Chiesa che ha abbandonato il mondo? Non si può che rispondere: tutte due. Povero mondo e poveri cristiani se trasformano “la più bella Costituzione del mondo” nell’idolo da sventolare contro chiunque la interpreta in modo non conforme alla sua versione totemizzata. E’ evidente che il senso civico, l’educazione civica, “l’ossequio politico …” vanno ripresi con la collaborazione di tutti: ma c’è un prima, una concezione integrale dell’uomo che è sempre da ravvivare nel fuoco della fede nel Risorto. E non sto certo a balbettare, a chi ne sa tanto più di me, quanto questo non sia solo un principio “non negoziabile” ma anche una serie di criteri che la sapienza millenaria , il soffio delle spirito, e la dottrina sociale della Chiesa sanno suggerire fino al dettaglio delle scelte e del faticoso lavorio del dialogo con chi la pensa diversamente.
E qui stanno forse i due motivi che a mio avviso possono spiegare il silenzio: una oggettiva difficoltà di elaborazione culturale, segno inequivocabile di una fede in difficoltà, e il timore di provocare maggiori divisioni intervenendo inevitabilmente in modo che potrebbe scontentare molti.
Tutto negativo? Forse questo accade affinché tutti, ecclesiastici e laici, ritrovino l’essenziale che li unisce e che rende possibile il dialogo tra fratelli: uniti nella difformità è possibile, anzi arricchente, solo se viene riconosciuto Chi unisce.
Bruno Stuardi
Il pretesto dell’articolo ovvero lo stracciarsi le vesti dell’articolista di fronte al titolo del libro fa sorridere. Tanto più se si pensa al milieu culturale francese, un paese in cui “le citoyen” è stato storicamente più volte in contrasto col “chrétien”. Comunque senza andare a scomodare il “De civitate dei”, penso che l’interrogativo posto sia lecito e che porselo sia salutare per il cristiano nelle condizioni storiche in cui si trova a vivere.
Ovviamente le risposte differiranno di tempo in tempo e di luogo in luogo: un cristiano tedesco ai tempi del Reich risponderebbe sicuramente in maniera diversa da un cristiano italiano odierno.
A volte si dimentica che i regimi politici nei quali si vive non sempre sono orientati al bene comune e che a volte “legalità” non coincide con “giustizia”. Lo sapevano bene i nostri partigiani cattolici che – messosi il fucile in spalla – guadagnarono le montagne e – pur tra ombre e luci – contribuirono a seppellire il regime fascista che opprimeva l’Italia ed a consegnarci i diritti di cui oggi godiamo. Certo spesso rischiarono di ritrovarsi una palla nella schiena esplosa magari da chi – partigiano come loro – nutriva speranze “rivoluzionarie”. Ma ciononostante noi cattolici non possiamo esimerci dal festeggiare il 25 aprile senza se e senza ma. Il 25 aprile è ricorrenza antifascista ma anche anticomunista soprattutto se pensiamo che la liberazione – sostanzialmente dovuta alle forze alleate anglo-americane – sancì definitivamente il tramonto di ogni velleità “sovietica” dei comunisti italiani.
P.S. Comunque fa bene l’articolista a bacchettare il silenzio della C.E.I.
Sicuramente i contesti storici e politici hanno tutto il loro peso nel determinare il rapporto fra cittadinanza e vissuto di fede. Il fatto è che oggi, la domanda a titolo del libro suona estranea anche a molti credenti francesi – soprattutto fra i più giovani, che non vivono le due dimensioni come in contrasto fra di loro. Grazie per la lettura, Marcello Neri
Sono parroco in un territorio nel quale c’è una piccola chiesa dedicata a San Rocco, di proprietà del Comune ma a disposizione della parrocchia, in cui ci sono le lapidi dei militari caduti nelle diverse guerre, compresa quella 40-45, dei civili durante il passaggio del fronte e dei dispersi. Tutti gli anni sia il 25 aprile che il 4 novembre, d’intesa con l’Amministrazione Comunale, vi celebro la Messa di suffragio per tutti i caduti ed è anche occasione di una preghiera per la pace. Inoltre, il 25 aprile, colgo sempre l’occasione per ricordare qualcuno dei cattolici italiani che hanno onorato il loro essere cittadini, in particolare durante il fascismo (opponendosi), l’ultima guerra mondiale e la resistenza. Negli anni ho avuto modo di far conoscere – consegnando una pagina dei loro scritti – Teresio Olivelli, don Aldo Mei, don Giovanni Minzoni, don Giovanni Nervo… Quest’anno è stata la volta di padre David Maria Turoldo.
La dicotomia cattolico vs cittadino di uno Stato è di altri tempi… è preconciliare. Non so cosa abbia scritto quel vescovo nel libro, ma il titolo è davvero infelice.
Le consiglio di leggere il Sangue dei conti scritto da Pansa, un giornalista laico. I cattolici dovrebbero vergognarsi di schierarsi acriticamente da una sola parte, di dare appunto i ” partigiani” . Il senso della storia di un cattolico non e’ uguale a quello di un’ comunista marxista- leninista e un cattolico non avrebbe certo infierito barbaramente sui vinti.
Buongiorno, sinceramente non ho capito cosa Neri voglia dire rispetto al 25 Aprile. Io da cattolico lo reputo teologicamente un giorno satanico e anti storico. Ci sarebbe altrimenti da incidere sul 18 Aprile come reazione al paganesimo comunista.
Però ripeto non capisco il punto.
Mauro Mazzoldi
Satanico??? E tutti quei cattolici che sono morti per liberare l’Italia dalla schiavitù fascista?? E tutti quei cattolici che hanno dato una mano nella ricostruzione del nostro Paese?? Che parole!!! Da cattolica quando sento o leggo queste parole provo una profonda vergogna perché la verità viene mistificata.
Perché ‘satanico’? I cattolici hanno partecipato in gran numero alla Liberazione e al movimento partigiano, pagando un gran prezzo di sangue, con molti preti e fedeli martirizzati dai nazifascisti
Molti preti e moti cattolici sono stati anche uccisi dai partigiani comunisti. O il sangue versato dal beato Rolando Rivi ha un prezzo piu’ piu’ basso perche’ non era un cattolico di sinistra?
Io possiedo una piccola reliquia di Rolando Rivi, e spesso chiedo la sua intercessione
Come ne possiedo una di Giovanni Fornasini, ucciso dalle SS
Entrambi sono da me venerati e ricordati