Chiese dismesse

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Ha avuto una certa eco la profanazione dell’altare e delle statue nella chiesa di Santa Maddalena ad Angers (aprile), come l’incendio dell’organo della cattedrale di Nantes. In ambedue i casi si tratta di squilibrati psichici, ma la reazione popolare si è allargata molto al di là dei frequentanti. Il caso più eclatante è stato l’incendio di Notre Dame a Parigi (cf. qui).

Ad Angers il vescovo, E. Delmas, ha benedetto di nuovo la chiesa prima di riconsegnarla ai fedeli: «Prima di rientrare nella nostra chiesa è necessario un momento di stacco. Non si può farlo come se niente fosse successo». «Non puntiamo il dito contro colui che ha saccheggiato l’edificio, ma guardiamo a noi stessi, riconoscendo che talora danneggiamo la dignità di quanti ci circondano».

Nel rapporto sugli atti antireligiosi del 2022 si registrano, per l’anno procedente, 857 fatti anti-cristiani, di cui 752 riguardano danneggiamenti alle chiese e i cimiteri (in parallelo, 284 sono contro la comunità ebraica – cf. qui).

Francia: patrimonio immobiliare

I danneggiamenti delle chiese rimandano al tema del patrimonio immobiliare della Chiesa di Francia che, nel suo insieme, raccoglie più di 90.000 edifici (di cui 42.500 sono chiese), per un valore stimato di circa 6,5 miliardi di euro.

Prima della rivoluzione francese, due terzi dei possedimenti fondiari erano ecclesiastici. E con la legge sulla laicità del 1905 tutte le chiese sono diventate di proprietà statale (non quelle costruite da allora in poi).

Dopo la seconda guerra mondiale, il patrimonio immobiliare della Chiesa a Parigi si era ridotto al 5% e ora al 3%. Adesso sarebbe in atto un terza “spoliazione” causata dal crollo dei frequentanti, dalla secolarizzazione dei costumi e dal peso economico del mantenimento. Una parte significativa dei proventi delle dismissioni è stata a favore delle “nuove chiese” del terzo mondo.

Dopo gli scandali degli abusi manifestati dalla commissione Ciase (Sauvé), bisognerà attingere al patrimonio restante per assicurare una qualche restituzione finanziaria alle vittime.

Il mercato immobiliare è molto attento al fenomeno. La Chiesa, da circa quarant’anni, si è dotata di apprezzabili studi professionistici. Inoltre i “passaggi interni” fra congregazioni o diocesi sono spesso a “prezzo ecclesiale”, ben sotto il mercato, oppure si ricorre all’istituto del comodato. Per affari superiori ai 2,5 milioni di euro è necessario il benestare della Santa Sede.

Sostenibilità finanziaria

All’inizio dell’anno, ha fatto discutere la proposta dell’ex ministro della cultura, Roselyne Bachelot, di dismettere e distruggere le chiese del secolo XVIII (di proprietà dei comuni) che non abbiano un valore storico e artistico, in ragione del peso finanziario per il loro mantenimento. Troppo spesso – sostiene – i comuni chiedono allo stato di intervenire, lo stato rimanda alla loro responsabilità, i vescovi e le parrocchie si fanno forti davanti alle amministrazioni locali: il tutto impedisce ogni decisione. E invoca la convocazione degli “stati generali” per discutere apertamente di cosa fare del patrimonio religioso.

La proposta ha irritato i tradizionalisti («non toccare la mia chiesa»), ma ha anche sollevato riflessioni più pacate. L’edificio rappresenta per molte comunità periferiche una parte della propria identità di luogo e di tradizione. Farne una questione economica è riduttivo.

Del resto, dagli anni ’80, molti comuni hanno voluto restaurare le proprie chiese. La crisi demografica delle campagne indebolisce anche le risorse umane dei territori e delle comunità che richiederebbero un impegno maggiore dei dipartimenti. Contestualmente si chiede alle comunità e alla Chiesa di saper “trascendere”, “radunare”, “perseguire il bene comune”. Il solo esercizio liturgico non è più sufficiente.

Delle 42.500 chiese aperte al culto nel paese, 40.000 appartengono allo stato e ai comuni. Solo 2.500 sono della Chiesa, delle congregazioni e delle diocesi. 5.000 edifici sono in uno stato critico. Quelle dismesse e sottratte al culto sono 255. Tra quelle di proprietà delle diocesi solo una ventina sono state vendute. Ma il movimento dovrebbe accelerare nei prossimi lustri. (cf. qui).

Belgio: unità e testimonianza

In Belgio la situazione è simile. In una lettera dell’ausiliare di Bruxelles del 2016, mons. Jean Keckerols, si distinguevano le “chiese di unità”, quelle che servono più comunità nelle unità parrocchiali, dalle “chiese di testimonianza”, quelle proprie degli ospizi, degli ospedali, delle famiglie religiose o di parrocchie, aprendo le seconde a decisioni di dismissione.

Due anni dopo, i vescovi rispondono con una propria nota alla sollecitazione delle autorità civili per un piano complessivo che preveda quali chiese dismettere.

I pastori insistono sul valore culturale, ma anche simbolico degli edifici. Le chiese sono costruzioni differenti dalle altre. La loro chiusura suscita sempre una forte emozione. Non si tratta di conservare tutto a tutti i costi, ma di dare prova di saggezza amministrativa, di responsabilità civile e di lealtà istituzionale.

Nel cantiere delle nuove comunità (unità pastorali), si affronta il compito della gestione economica degli immobili, fra cui le chiese. Là dove risulta un uso non più adeguato degli spazi si procede per altre strade. La prima è l’uso misto degli spazi. La seconda è la destinazione a comunità cattoliche di origine straniera. La terza a comunità cristiane, non cattoliche. Solo come caso estremo si prevede una destinazione di natura profana, in ogni caso di carattere sociale. Negli ultimi lustri, nella regione di Bruxelles, su 110 una ventina di chiese sono state dismesse.

Canada: moschea

In Canada si è cominciato a vendere le Chiese fin dagli anni ’70. Complice il rapido processo di secolarizzazione (l’attuale frequenza non supera il 5%), solo a Montreal in quel decennio 18 chiese sono passate a usi civili. Il decennio successivo (anni ’80) altre 25 sono diventate biblioteche, bar, appartamenti, atelier di artisti. Il processo è continuato fino ai nostri giorni.

Se l’edificio non è più funzionale, si offre di metterlo a disposizione di altre comunità cattoliche (etniche, rituali ecc.) o cristiane. In secondo luogo, di aprire ad un uso civile o pubblico. Solo come ultima scelta si vende l’edificio, con alcuni criteri di salvaguardia.

Una quindicina di anni fa, i vescovi proposero alle autorità una moratoria delle costruzioni pubbliche per poter usare gli edifici religiosi in eccedenza. È in attività un’associazione patrimoniale interconfessionale e una “intesa-quadro” con l’amministrazione pubblica.

Recentemente, si registrano vendite anche ad altre religioni, in particolare ai musulmani. Così la chiesa di Santa Margherita a Ottawa riaprirà come moschea. L’imam ha detto: «Vorrei dare prova di rispetto, perché si tratta di una chiesa cristiana che ha più di un secolo… spero che il progetto serva di esempio come differenti gruppi di fedi diverse possano vivere in armonia».

Non è il primo caso. Un secondo venne segnalato già nel 2016. Sono ambedue collocati nella parte anglofona del paese, di tradizione anglicana e protestante, dove le linee di distinzione nel civile separano i credenti dai non credenti piuttosto che contrapporre cristiani e musulmani.

Diverso il caso del Quebec cattolico. Un quarto dei luoghi di culto sono stati chiusi (663), di cui 278 sono stati demoliti e 385 sono diventati centri comunitari o biblioteche o appartamenti. Gli scandali degli abusi negli istituti degli autoctoni accelereranno le vendite per coprire i costi delle “riparazioni” promesse.

Germania: edifici riconoscibili

Dal 2000, oltre 500 chiese cattoliche sono state dismesse in Germania. In parte gli edifici sacri sono rimasti di proprietà della Chiesa. Altri sono passati in altre mani. 140 chiese sono state abbattute. Su un totale di 24.000 chiese, il numero non è alto, ma è da prevedere che nei prossimi anni potrà gonfiarsi. Sul versante protestante le chiese demolite, vendute o convertite ad altro uso sono state 380.

Per lo storico dell’arte, Jan Emel (Fondazione tedesca per la protezione dei monumenti), il passaggio più auspicabile è verso un’altra confessione cristiana (ortodossi, veterocattolici o altri). Più difficile la conversione in moschea o sinagoga. Altro esito possibile è di trasformare gli edifici sacri in spazi multifunzionali a carattere sociale.

È bene che la struttura esterna e interna rimangano riconoscibili, anche se gli spazi interni diventano difficilmente utilizzabili come abitazioni.

Emel registra il forte legame emotivo che ancora vive con i residenti dei luoghi e che sconsiglia la demolizione.

Per A. Gerhards, liturgista di di Bonn, per l’eventuale riuso degli edifici, è bene evitare gli errori più comuni come quello di gestire il tutto sulla base del numero dei preti o su un calcolo del suo valore solo sul parametro del mercato.

Anche la modernità dell’edificio va valutata. Ci sono chiese di grande qualità che andrebbero salvaguardate. I sentimenti delle persone spesso non vengono presi in considerazione. Per loro è sempre una perdita dolorosa.

Riconversioni positive per spazi culturali o artistici si sono già realizzate con successo. Anche a vantaggio di opere caritative. Ma quando si arriva a dimostrare, in maniera credibile, che non è più possibile alcun utilizzo concreto di un edificio sacro, anche il compito di tutela dei monumenti non può fare molto (settimananews.it/chiesa/chiese-chiuse-vendute-demolite-altro/).

Linee guida

Il 17 dicembre 2018 l’allora Pontificio consiglio della cultura (ora riunito nel dicastero sull’educazione) ha pubblicato il documento La dismissione e il riuso ecclesiale di chiese. Linee guida.

Cinque i punti maggiori: contesto socio-pastorale della dismissione delle chiese; l’alveo del diritto canonico; spunti di riflessione nel quadro normativo internazionale sul patrimonio culturale; criteri guida per il patrimonio immobiliare; raccomandazioni finali.

I criteri con cui leggere la trasformazione o la vendita degli edifici sono: la resilienza (capacità di un patrimonio di mantenere la propria riconoscibilità), la sostenibilità (dell’edificio trasformato), la corresponsabilità (dei diversi soggetti che si assumono la gestione).

Più concretamente, le raccomandazioni finali dicono: a) la cura del patrimonio grava su tutta la comunità; b) preti e vescovi devono essere abilitati a trattare i beni ecclesiastici; c) ogni ente ecclesiastico abbia un inventario; d) ogni decisione va collocata nella visione territoriale complessiva; e) la decisione di cambiare la finalità degli edifici compete a tutti i soggetti ecclesiali implicati; f) negli atti di alienazione introdurre clausole a difesa degli edifici; g) prima di essere venduto, un edificio va proposto ad altro rito; h) prima del riuso, si scriva una storia della chiesa; i) conservare la leggibilità planimetrica; l) gli arredi e suppellettili abbiano continuità d’uso; m) gli arredi vanno tolti prima del cambio d’uso.

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