Nella ridda di messaggi contraddittori, poco chiari e confusi che arrivano a pezzi dalla Chiesa cattolica cinese ancora senza un nunzio a Pechino, uno risalta con forza: un pezzo di comunità “clandestina” della diocesi di Zhengding, nella provincia settentrionale dello Hebei, ha nominato una decina di giorni fa un nuovo vescovo, senza l’autorizzazione del papa di Roma.
Ciò è avvenuto in contrasto con il vescovo attuale di Zhengding, Giulio Jia Jinguo, “clandestino” pure lui, “colpevole” agli occhi di un frammento della sua diocesi di essersi mostrato troppo arrendevole con le autorità cinesi locali.
L’ordinazione illegittima pare sia stata officiata dal vescovo Wang della diocesi Tengshui, vicino Lanzhou, nella vicina provincia del Gansu. Il vescovo Wang ha una storia tormentata, ed è ritenuto da alcuni dei suoi fedeli miracolato per essere sopravvissuto a un fulmine che lo ha colpito.
Tale ordinazione, fatta senza alcuna autorizzazione papale e anzi contro esplicite raccomandazioni di Roma di non procedere più alla consacrazione di nuovi vescovi clandestini, non va in nessun modo a ostacolare i colloqui in corso tra Vaticano e Pechino. Ma l’ordinazione rischia di essere una ferita profonda nel cuore della tormentata Chiesa cinese, e prova come ormai una parte di essa soffra di estremismo, al punto di opporsi al volere del papa e mettersi fuori dalla Chiesa.
L’ordinazione appare figlia perversa di decenni di persecuzioni e anche di alcune reazioni scomposte e male informate di minuscole frange di fedeli, le quali continuano a ritenere una specie di dovere l’opposizione radicale e politica al governo di Pechino.
Negli anni scorsi ci sono state parecchie consacrazioni vescovili unilaterali, sia della Chiesa più fedele a Roma che di quella più fedele a Pechino. Ma da anni ormai i rapporti stanno migliorando e le nuove consacrazioni vescovili avvengono con mutuo accordo e con la scelta del papa.
L’evento di Zhengding quindi appare assolutamente isolato, l’eccezione che conferma la regola di rapporti in chiaro miglioramento nella vita della Chiesa in Cina.
Inoltre, nei giorni scorsi i giornali cinesi hanno riferito che il presidente Xi Jinping ha mandato un regalo al papa in risposta a un’intervista del pontefice sulla Cina e un discorso molto importante, sempre sulla Cina, del segretario di Stato Pietro Parolin.
Almeno sin dai tempi di papa Paolo VI negli anni ’60, tutti i pontefici hanno scritto o mandato messaggi pubblici e non ai capi di Stato di Pechino senza mai ottenere una risposta ufficiale. Il dono di Xi e la notizia sulla stampa cinese appare oggi invece un segno molto importante di disgelo da parte di Pechino verso il Vaticano.
L’inizio di una possibile crescente collaborazione tra Santa Sede e Pechino dovrebbe poi aiutare a fare rientrare episodi come questa consacrazione illegittima.
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