Buone le nomine, evidenti le repressioni, accordo fragile e necessario: si può così sintetizzare l’esito della decima assemblea nazionale dei rappresentanti cattolici cinesi (Wuhan, 18-20 agosto), la crescente pressione del controllo poliziesco sulle fedi e il probabile rinnovo dell’accordo sino-vaticano nel prossimo ottobre. Un contesto che obbliga vescovi e credenti a un difficile equilibrio e a un precario cammino. Come i funamboli.
Al congresso hanno partecipato 345 delegati provenienti da 28 suddivisioni amministrative del paese. I vescovi erano una sessantina. Il convocante è l’Associazione patriottica, l’organismo voluto dal regime per l’indipendenza (amministrativa, di gestione e di predicazione) del cattolicesimo locale. Hanno colpito favorevolmente le nomine al vertice sia dell’Associazione patriottica, sia della Conferenza episcopale: Giuseppe Li Shan (Pechino) e Shen Bin (Hainmen).
I due organismi, non riconosciuti dal Vaticano per la politicità del primo e la non universalità del secondo, hanno conosciuto uno sviluppo contrapposto. In seguito all’accordo sino-vaticano del 2018 l’Associazione patriottica ha perso potere non gestendo autonomamente le nomine episcopali, mentre è in crescita la Conferenza episcopale dove tutti i vescovi sono ora riconosciuti da Roma.
Il congresso e le nomine
«Li Shan è un uomo buono – mi faceva osservare un esperto – ma non ha una personalità forte. Difficile prevedere quanto potrà sottrarsi ai condizionamenti del ruolo. Shen Bin, già vicepresidente dell’Associazione patriottica e relatore al congresso, ha un profilo più marcato. Mi ricorda Jin Luxian, il vescovo di Shanghai di alcuni decenni fa. Anche se la loro autonomia è assai modesta».
Secondo una voce raccolta da La Croix (24 agosto), Li Shan «è stato accolto favorevolmente in diocesi, ma oggi ci sono anche voci critiche nei suoi riguardi… Peraltro niente di strano, visto il suo compito». Il dato rilevante è che ambedue sono riconosciuti dal papa ed è la prima volta che succede. Dando per scontate le sudditanze al partito e all’indirizzo di Xi Jinping, i commenti sul versante vaticano sono positivi. Restano molte domande fra cui il ruolo di un nuovo comitato di supervisione per l’Associazione come per la Conferenza di cui parla Asianews (22 agosto).
Il caso Zen
I dati positivi non risaltano molto anche per la contemporanea pressione giudiziaria sul novantenne card. G. Zen, vescovo emerito di Hong Kong.
Arrestato nel maggio scorso come partecipante al consiglio di gestione di un fondo destinato ad assistere e a supportare i perseguitati politici di Hong Kong, verrà sottoposto a giudizio tra il 19 e il 23 settembre prossimo. Per l’età avanzata e l’autorevolezza la sua vicenda ha seriamente ferito la credibilità della magistratura di Hong Kong e del governo cinese.
È nota la tetragona opposizione del cardinale all’accordo sino-vaticano fino a ricorrere a valutazioni personali e sgarbate nei confronti della Segreteria di stato vaticana e dell’autonomia di giudizio di papa Francesco. La sua progressiva lontananza dalle decisioni rilevanti è stata rovesciata dal processo intentato nei suoi confronti. Se, nella mentalità dei funzionari cinesi, il buon esito delle votazioni già ricordate può rendere digeribile l’eventuale condanna in processo, non è un calcolo giusto.
Fra i molti segnali in senso contrario ricordo la risoluzione del parlamento europeo del 6 luglio che invita la Santa Sede a intensificare la pressione sugli organi statali cinesi.
In una intervista del 18 luglio, mons. Paul Gallagher, segretario vaticano per il rapporto con gli stati ha detto: «La Santa Sede è molto preoccupata per l’arresto del card. Zen… Penso che l’arresto sia risultato molto sorprendente e speriamo che la questione possa essere risolta in modo soddisfacente nel prossimo futuro».
La vicenda del cardinale è uno dei molti elementi che indicano la stretta progressiva sulle libertà della città, violando gli accordi internazionali sottoscritti. Il vescovo Stephen Chow ne ha parlato col papa il 17 marzo scorso.
Gallagher commenta: «La Santa Sede è impegnata nella difesa della libertà religiosa. Il vescovo avverte la riduzione dello spazio per i cattolici di Hong Kong: ce ne rammarichiamo e cercheremo di essere il più possibile vicini… Incoraggeremo le persone ha sfruttare al meglio le libertà che hanno, lo spazio che gli è rimasto, come facciamo per molti altri paesi del mondo».
Controlli e restrizioni
Le violenze amministrative, i processi di controllo e la riduzione dei residui spazi di libertà stanno accelerando nell’intero paese.
Ai nuovi e restrittivi regolamenti del governo (2018) alle misure sul personale religioso (febbraio 2022), dalle norme sui media informativi a quelle sulla gestione finanziaria (2022): tutto risponde a quanto chiesto dal Xi Jinping nella conferenza religiosa nazionale (dicembre 2021) per una rigorosa attuazione delle politiche marxiste e un controllo delle religioni in ordine alla sicurezza nazionale.
Così il 29 luglio il vescovo di Leshan, Lei Shiyin, celebra in cattedrale l’anniversario della fondazione del partito (1921) invitando «ad ascoltare la parola del partito, sentire la grazia del partito e seguire il partito».
Da alcuni mesi viene discussa una guida pastorale del vescovo di Baoding, F. An Shuxin, in cui si minacciano censure ai preti che non si registrano nell’Associazione patriottica. Ma il punto più delicato è la sostanza della indicazione del partito sulla «sinizzazione» delle fedi.
Sinizzazione?
Dopo decenni in cui si è cercato di estinguerle (fallendo), ora si vuol perseguire lo stesso fine piegandole nelle forme dell’ideologia nazionalistica? Si può positivamente avvicinare la «sinizzazione» all’inculturazione?
«L’inculturazione come la comprendono le Chiese cristiane risponde alla loro preoccupazione di adattarsi alla specificità delle culture locali piuttosto di imporre il modello delle culture occidentali. L’inculturazione non significa adattamento o acculturazione che vanno in senso unico disperdendosi nella cultura locale. Al contrario, essa punta non solo ad arricchire la cultura incontrata, ma anche ad arricchire il cristianesimo del suo apporto. In questo duplice movimento il messaggio cristiano e la cultura locale si fecondano reciprocamente. Niente di tutto questo nel concetto di “sinizzazione”. Il termine significa “diventare cinese” e cioè “rendere nazionale” e implica la conformità agli obiettivi politici del partito e l’obbedienza allo stato. La “sinizzazione” cara a Xi Jinping non ha a che fare con la nozione teologica d’inculturazione della fede. Si tratta nei fatti dell’adesione delle religioni alla politica del partito comunista per farne delle religioni nazionali » (C. Meyer, Le revouveau eclatant du spiritual en Chine, 2021, pp. 142-143).
È vero che le parole possono via via cambiare significato, come è stato il caso di “indipendenza” che, nell’accordo sino-vaticano, non impedisce la parola ultima al papa nella scelta dei vescovi. E tuttavia non è facile per un vescovo, un prete e un cristiano, stabilire il confine invalicabile della conformità all’ideologia.
L’accordo
Riemerge l’importanza dell’accordo sino-vaticano. Non solo per il venir meno di molti canali diplomatici in seguito alla tensione USA – Cina (ultimo episodio è la visita di Nancy Peloni a Taiwan e quelle successive di alcuni senatori americani), ma anche per il significato indiretto che esso ha per la salvaguardia della libertà della coscienza credente.
Il papa, in una intervista alla Reuters (luglio 2022) e alla radio spagnola Cope l’anno prima, ha confermato che l’accordo proseguirà. Anche il portavoce del ministero degli esteri cinese ha parlato dell’accordo «attuato con successo per gli sforzi di entrambi le parti».
Finora è rigorosamente limitato alla nomina dei vescovi (ne sono stati nominati 6 e altri 6 si sono giovati di esso per entrare in diocesi), ma le nomine vanno a rilento rispetto alla quarantina di diocesi ancora vacanti (sono in tutto 104 secondo i nuovi confini civili). Non è ancora avvenuto il riconoscimento di tutti i vescovi “illegali”.
Impregiudicati molti altri temi della pastorale. Difficoltose le visite alle comunità diocesane da parte della Santa Sede (e non solo per il Covid). Assai lontano l’incontro del segretario di stato con l’omologo cinese. E ancora di più un viaggio del papa in Cina.
In una recente intervista a Limes (settembre 2022) il card. Parolin ha detto: «Scopo dell’accordo era di ottenere che tutti i vescovi in Cina fossero in comunione con il successore di Pietro e che si assicurasse l’essenziale unità delle comunità ecclesiali, al proprio interno e tra di loro, sotto la guida di presuli degni e idonei, pienamente cinesi ma anche pienamente cattolici… Quanto alla valutazione degli esiti dell’accordo, mi sembra di poter dire che sono stati fatti passi in avanti, ma che non tutti gli ostacoli e le difficoltà sono stati superati e quindi rimane ancora strada da percorrere per la sua buona applicazione e anche, attraverso un dialogo sincero, per un suo perfezionamento».