Dalla “La Bellezza disarmata” di Julián Carrón alla “Bellezza armata” di Davide Prosperi. Fra l’ex presidente di Comunione e Liberazione e l’attuale si profila una correzione di rotta per l’intero movimento.
Dopo alcuni anni di spaesamento, di scandali, ferite e sforzo di adeguarsi alle indicazioni di papa Francesco, sembra giunto il momento per cancellare la tappa spagnola e partecipare senza esitazioni alla battaglia culturale che oppone l’Occidente alle sue radici cristiane e alla Chiesa.
Lo squillo di tromba è affidato a un testo largamente diffuso all’interno dei ciellini che porta come titolo “Cultura: essere per Cristo”, e come sottotitolo: appunti dell’intervento di Davide Prosperi all’assemblea dell’Associazione italiana Centri culturali (18 maggio 2024).
La bellezza armata
Prendendo le distanze da La Bellezza disarmata, titolo di un libro di Carrón (2015), Prosperi annota che la testimonianza gratuita “della fede che attrae”, va completata. In altri termini, la tradizione battagliera dei decenni di fondazione, quella di una “bellezza armata”, capace di contestare, sfidare e ferire va riproposta per evitare che la fede «concepita soggettivisticamente», rischi di essere svuotata «del suo contenuto di verità corporale – per così dire –, di fatto finendo per essere ridotta al senso religioso». Con una prima sorpresa di vedere il titolo di uno dei più fortunati libri del fondatore di CL, don Luigi Giussani, Il senso religioso, ricondotto a emblema di una fede svirilizzata.
L’argomentazione di Prosperi insiste sul compito di un’azione di cultura pubblica capace di lasciarsi inquietare dalle domande contemporanee, ma anche di rispondere nella convinzione di possedere una verità che riguarda tutti, rivalutando il ruolo della dottrina. «Talvolta, da parte di certi cristiani, il dialogo e il giudizio culturale sono visti come tentativo di proselitismo, di attivismo, di ideologica e divisiva “battaglia sui valori”: in sintesi, di integralismo. Per essi l’unica forma di annuncio della fede sarebbe l’attrattività della vita personale. Tuttavia, a mio avviso, quest’ultimo concetto ha corso il rischio di un’ambiguità, anche tra di noi. Se è vero, come detto, che l’attrattiva è il primo fattore in gioco, è altresì vero che essa non può essere confusa con il “piacere al mondo” e il non volerne urtare la suscettibilità».
Vi sono temi come l’affettività, la morale, la difesa della vita, le sfide della biogenetica che non vanno lasciate all’incerto giudizio personale ma vanno assunte in un giudizio “comunionale”, espressione di una vita di comunione vissuta.
L’ideologia del dialogo
Il dialogo cristiano non può rinunciare alla sua dimensione critica. C’è una inevitabile dimensione martiriale dell’annuncio. «Come possiamo noi oggi essere interlocutori di una società non più cristiana, mantenendo il giusto e il sacro rispetto per la libertà altrui e, al contempo, senza diluire e sminuire la portata dell’annuncio e della pretesa cristiana in un vago relativismo?».
Lo stesso dialogo può diventare una ideologia, quando si dialoga per dialogare, quando si evita di proporre la verità, quando si entra nella “dittatura del relativismo”. Per evitare tale deriva è bene buttarsi nella mischia con un giudizio che è determinato dal rapporto con Cristo vissuto nella comunità cristiana.
Se Gesù vive nella sua comunità, non come definizione ma come presenza, allora è prevedibile che si renda evidente una diversità che può provocare uno stupore positivo, ma anche un’opposizione dura, davanti a cui solo un’appartenenza forte può reggere. Rifugiarsi solo in una convinzione personale vuol dire destinarsi alla subalternità rispetto alla sapienza del mondo. Ma l’appartenenza non può essere solo formale. Essa si qualifica come amicizia. Un atteggiamento da coltivare non solo all’interno ma con tutti i propri interlocutori.
Di grande aiuto è il riferimento alla tradizione, ma una tradizione che si attivi dentro il presente. Solo quando le nuove domande entrano in dialettica con la tradizione, quest’ultima prende tutta la sua importanza. Per questo è necessario che il giudizio “comunionale”, il giudizio del movimento, si prenda il tempo necessario per essere elaborato in un confronto critico con il pensare comune ma anche con la paziente costruzione di un’amicizia che renda vitale il rapporto con la verità.
Archiviare Carrón
Archiviare Carrón non sarà semplice, anche se la proposta di Prosperi pesca nell’anima profonda di CL. Il prete spagnolo è stato a capo del movimento dal 2005 fino al 2021. Ma già negli ultimi anni della vita di Giussani il riferimento era lui.
Ha gestito il delicato passaggio all’indomani della morte del fondatore, il confronto con il nuovo pontificato molto meno suggestionato dai movimenti ecclesiali, una tensione con l’episcopato italiano visibile nella lettera, divenuta pubblica, in cui azzerava il rilievo degli episcopati di Martini e Tettamanzi per propiziare l’arrivo a Milano di Scola.
È toccato a lui affrontare i casi drammatici della parabola politica di Roberto Formigoni e la sua condanna giudiziaria, come anche alcuni degli scandali di abusi come quello che porta il nome di Mauro Inzoli, prete di Crema, regolarmente proposto all’episcopato per molti anni.
Carrón scriveva su Repubblica il 12 maggio 2012: «Se il movimento di Comunione e Liberazione si identifica continuamente con la seduzione del potere o del denaro, di stili di vita che nulla hanno a che vedere con Colui che abbiamo incontrato, qualche ragione dobbiamo averne dato, anche se la stessa CL è estranea a qualsiasi tipo di appropriazione indebita e non ha mai sostenuto un “sistema di potere”».
Non tutto è stato risolto, a partire dagli abusi. È stato approvato un regolamento e messa in opera una commissione, ma manca uno studio complessivo, l’avvio di una commissione per le varie nazioni, una riflessione sugli adulti vulnerabili. Non è casuale lo scandalo di Christopher Bacich, memores e responsabile del movimento negli USA dal 2006 al 2013, accusato di abusi sessuali e psicologici contro minori e giovani adulti.
Ma è grave soprattutto il problema complesso della governance di un movimento che sopravvive al fondatore. I memores Domini hanno chiesto nuovi statuti per garantire la loro autonomia e passare, per quanto riguarda il presidente, da una nomina “ereditaria” a una elezione condivisa (cf. qui).
Alcune domande
Tornando al testo di Prosperi, una prima domanda riguarda l’attesa di un franco riconoscimento che dell’unica e inesauribile identità e appartenenza cristiana si danno figure diverse e complementari. Altrimenti il “noi” diventa il “nostro noi”, non la Chiesa.
A questo allude anche papa Francesco nel recente discorso ai moderatori delle associazioni e movimenti ecclesiali (13 giugno), quando afferma che Dio è più grande delle nostre idee e anche del nostro carisma. Suggerisce di superare ogni chiusura e la convinzione «che quello che facciamo noi vada bene per tutti». «I movimenti ecclesiali sono per servire la Chiesa, non sono in sé stessi un messaggio, una centralità ecclesiale. Sono per servire».
Una facile e immediata verifica è la partecipazione alla messa domenicale parrocchiale. Se è celebrata sistematicamente con il proprio gruppo, come si può pensare ad un’appartenenza priva di problemi?
Una seconda domanda riguarda il riferimento a Gesù, inteso come generica esperienza di vita nuova, ma senza contenuti cristologici significativi. Quello che mons. Franco Giulio Brambilla ha schizzato in queste righe: «La rivelazione biblica parla dell’uomo e del mondo secondo una visione religiosa, nel senso che parte non dalla natura dell’uomo e delle cose, ma da Dio. Dio è visto come Signore della storia, che attua un disegno salvifico nella cui luce prendono consistenza l’uomo e il mondo. Tale disegno salvifico è il Cristo, visto nell’incarnazione e nella glorificazione. L’incarnazione ci presenta il Cristo come uomo esemplare: egli è colui che Dio ha creato come il diverso da sé nell’amore. Nel Verbo incarnato la comunione con Dio del diverso da Dio si attua in modo perfetto ed esemplare. La glorificazione, nella quale il Cristo diventa una cosa sola col Padre e riceve quindi dal Padre il potere di comunicare lo Spirito a tutti i fratelli, ci presenta il modo in cui tutti gli uomini si uniscono al Cristo, diventano filii in Filio, sono, in quanto diversi da Dio, congiunti con Dio nell’amore».
Il dialogo del Vaticano II
Una terza domanda è relativa al rapporto con la modernità. Il testo sembra ispirarsi più all’identità del “dinanzi” che a quella del “dentro”, a quella del “contro” rispetto a quella dell’“assieme”. E qui si apre quello che il testo indica come ideologia del dialogo, del dialogo fine a sé stesso, del dialogo funzionale alla cancellazione della identità.
Vale la pena di citare qualche passaggio dell’Ecclesiam suam di Paolo VI del 1964. «La Chiesa deve venire a dialogo col mondo in cui si trova a vivere. La Chiesa si fa parola; la Chiesa si fa messaggio; la Chiesa si fa colloquio» (n. 67). «Sembra a noi invece che il rapporto della Chiesa col mondo, senza precludersi altre forme legittime, possa meglio raffigurarsi in un dialogo, e neppure questo in modo univoco, ma adattato all’indole dell’interlocutore e alle circostanze di fatto» (n. 80).
E l’Evangelii nuntiandi (1975) specifica: «La rottura tra Vangelo e cultura è senza dubbio il dramma della nostra epoca, come lo fu anche di altre. Occorre, quindi, fare tutti gli sforzi in vista di una generosa evangelizzazione della cultura, più esattamente delle culture. Esse devono essere rigenerate mediante l’incontro con la Buona Novella. Ma questo incontro non si produrrà, se la Buona Novella non è proclamata» (n. 20).
Il moto e la direzione
Prosperi ha deciso di rimettere in moto la funzione culturale del movimento, prendendo distanza dai modi del suo predecessore. L’indirizzo avviato può semplicemente recuperare le forme aggressive e da “primi della classe” dei decenni scorsi, oppure aprire modalità più originali e più compatibili con la sensibilità ecclesiale comune.
L’esposizione del movimento sulla questione della guerra e della pace del maggio scorso, assieme alle altre associazioni e movimenti italiani è un primo segnale.
Gli ultimi tre anni sono stati particolarmente difficili per CL. La lettera apostolica Authenticum charismatis (1° novembre 2020) ha obbligato i movimenti a porsi il problema della governance e della successione ai fondatori.
Il 26 giugno 2020 viene nominato p. Ghirlanda come delegato pontificio per la revisione degli statuti dei Memores Domini. Il dicastero dei laici l’anno successivo (11 giugno 2021) ha specificato le modalità delle assemblee elettive, i poteri dei moderatori e la durata del loro servizio.
Il 24 settembre del 2021 c’è stato il commissariamento di CL con la nomina di mons. Santoro come assistente. Il 15 novembre del 2021, Julián Carrón rende note le sue dimissioni e, dieci giorni dopo (25 novembre), viene nominato presidente (poi confermato) Davide Prosperi.
Nel giugno del 2022 una dura lettera del card. Kevin Farrell contro ogni personalizzazione del carisma suona a difesa di Prosperi.
Il 15 gennaio 2024 vi è stata l’udienza di Prosperi e Santoro dal papa con una successiva lettera del papa di appoggio alla loro azione.
Nel prossimo luglio l’assemblea del movimento è chiamata a votare i nuovi statuti del movimento. Con il voto dovrebbe avviarsi a conclusione il periodo più turbolento di CL.
Ho partecipato intensamente alla vita di CL degli ultimi ultimi 10 anni, senza mai però maturare una vera e propria scelta di aderenza alla fraternità. Adesso, per altri motivi, me ne sono distaccato.
Per motivi anagrafici, ho vissuto pienamente e solamente la guida di Carron.
Sono molto d’accordo con l’autore dell’articolo, che in CL c’è sempre stato un forte atteggiamento da “primi della classe” e spero che il nuovo corso qui prospettato sia veramente rivoluzionario. Nel senso che porti CL ad aprirsi e incontrarsi veramente con altre culture… essere così politicamente schierato non ha mai portato bene al movimento e, in un certo senso, molti aderenti si sono auto-incasellati in uno schema bianco/nero (come è capitato al sottoscritto).
Il problema (?) semmai è stato nella politica intesa come schieramento e nella voglia di contarsi, mascherata da un mare di parole d’ordine che hanno svuotato quella bella esperienza.
Complimenti a chi ha scritto questo articolo!