Quasi tutti i media laici hanno parlato della Dignitas infinita, la nuova dichiarazione del Dicastero per la dottrina della fede sulla dignità umana, soffermandosi sui paragrafi alla fine del documento che criticavano la teoria del gender, il cambio di sesso e la maternità surrogata. A volte questi resoconti hanno notato che il documento riaffermava anche l’opposizione della Chiesa alla pena di morte e all’aborto.
Ma pochi hanno fatto più di un breve accenno alle altre «gravi violazioni della dignità umana» con cui questi temi sono stati raggruppati, che includono: povertà, guerra, il calvario dei migranti, traffico di esseri umani, abusi sessuali, violenza contro le donne, eutanasia e suicidio assistito, emarginazione delle persone con disabilità e violenza digitale.
Tutti questi argomenti si trovano nella quarta e ultima sezione del documento. Forse non sorprende che nessuno dei media laici che ho letto abbia dedicato molto, o addirittura nulla, all’introduzione e alle prime tre sezioni, che spiegano come i fondamenti teologici della dignità umana siano stati chiariti e approfonditi nel corso del tempo.
Forse è comprensibile – e certamente prevedibile – che le letture laiche, e anche alcune cattoliche, si concentrino sulle questioni più controverse, trattando il resto del documento come uno sfogo teologico in vista delle conclusioni morali. Ma non dovremmo accontentarci di una lettura così ristretta della tradizione cattolica sulla dignità.
Dignitas infinita, nelle sue sezioni iniziali, presenta una sorta di studio di caso dello sviluppo della dottrina. Segue ciò che il titolo della prima sezione chiama «una crescente consapevolezza della centralità della dignità umana», dai suoi semi nell’antichità classica, le sue radici nella Scrittura, e il suo sviluppo attraverso la patristica e la teologia medievale, l’umanesimo cristiano del Rinascimento e persino le sue espressioni più secolari nell’Illuminismo.
Passando al XX secolo, il documento osserva che la riflessione sulla soggettività ha approfondito l’idea di dignità e «arricchito l’antropologia cristiana contemporanea». Infine, il Vaticano II ha reso il concetto centrale nella Dignitatis humanae, la dichiarazione sulla libertà religiosa.
La frase finale della prima sezione di Dignitas infinita merita di essere citata per intero: «Lo stesso magistero ecclesiale ha maturato con sempre maggior compiutezza il significato di tale dignità, unitamente alle esigenze e alle implicazioni ad esso connesse, giungendo alla consapevolezza che la dignità di ogni essere umano è tale al di là di ogni circostanza».
Troppo spesso la discussione e la riflessione sullo sviluppo della dottrina possono trasformarsi in una serie di argomentazioni su ciò che può o non può cambiare nell’insegnamento della Chiesa. Un approccio di questo tipo può portare all’idea implicita che lo «sviluppo» sia fondamentalmente una sorta di politica del potere ecclesiale con altri mezzi, un’idea che purtroppo si è manifestata sia tra alcuni che sono ostili al magistero di papa Francesco sia tra alcuni che si aspettano da esso cambiamenti specifici.
Ma Dignitas infinita ci ricorda che lo sviluppo della dottrina è un aspetto vitale della tradizione teologica della Chiesa e un dono da ricevere con gratitudine. La centralità della dignità umana e la sua relazione con i diritti umani inalienabili sono articolazioni relativamente nuove nella teologia cristiana, ma nascono dalle radici più fondamentali: la nostra creazione a immagine di Dio e l’abbraccio di Dio alla natura umana nell’incarnazione.
Come possiamo quindi ricevere questo dono con gratitudine e obbedienza, come parte della tradizione della Chiesa? Permettetemi di offrire due brevi suggerimenti.
Primo: procedere lentamente. Prendersi il tempo di leggere il documento e di pregare con esso. Resistere, almeno per un po’, alla tentazione di trovare dei punti di forza o di ridurlo ai dettagli di ciò che afferma o nega. Inoltre, non saltare alla conclusione che gli insegnamenti morali del documento equivalgano o richiedano l’esclusione dalla Chiesa di coloro che non sono d’accordo con essi. L’insegnamento della Chiesa non è solo una logica da comprendere e applicare, ma un dono da ricevere e da coltivare nel tempo.
In secondo luogo, la sua coerenza deve essere una chiamata alla conversione. Dignitas infinita presenta la dignità umana come incomparabile e incondizionata, e quindi base della vera libertà umana. Ci chiede di considerare le questioni morali non solo dal punto di vista di ciò che è pratico o accettabile nella nostra esperienza, ma alla luce di ciò che deriva dal riconoscere ogni persona umana, corpo e anima, come un dono unico e infinitamente prezioso di Dio. Se la lettura di questo documento non mette in discussione il nostro pensiero morale, molto probabilmente non l’abbiamo letto abbastanza a fondo.
Alcuni potrebbero ritenere, comprensibilmente, che uno standard morale così rigoroso e assoluto sia in tensione con l’esempio di inclusione e di accoglienza pastorale di papa Francesco. Rispondendo a Fiducia supplicans, la dichiarazione sulle benedizioni per le coppie risposate o dello stesso sesso, i redattori di America hanno osservato che «non dovremmo essere troppo veloci nel misurare tutti gli insegnamenti con la nostra limitata tolleranza alla confusione».
Per quanto riguarda Dignitas infinita, forse non dovremmo nemmeno essere troppo veloci nel misurare l’insegnamento con la nostra limitata capacità di coerenza.
- Pubblicato sulla rivista dei gesuiti statunitensi America.