L’Assemblea autunnale della COMECE quest’anno ha segnato la ripresa degli incontri anche in presenza e ha visto la discussione concentrarsi su un tema principale, la Conferenza sul futuro dell’Europa. La relazione del presidente e i rapporti sui settori di competenza da parte dei consulenti del segretariato hanno fatto il punto della situazione generale a livello di Unione Europea.
I temi in agenda
Dai rapporti emerge, tra altro, una delle domande fondamentali con cui l’Unione Europea si confronta, riguardante il ruolo che essa vuole giocare sulla scena globale, se di uno spettatore indifferente o diviso, o di un attore in grado di modellare il mondo del post-pandemia per renderlo un luogo più giusto e pacifico, sostenibile e accogliente. In questa ottica lo sguardo va agli scenari globali con cui l’UE è chiamata a confrontarsi, ma anche alle questioni interne inerenti:
- i diritti fondamentali (che includono una varietà di temi, come le norme sul trattamento dei dati, la protezione del bambino, la lotta contro i crimini e i discorsi di odio, la protezione dei luoghi di culto, la macellazione rituale degli animali, il divieto di simboli religiosi in pubblico e la legislazione antiriciclaggio);
- gli affari sociali ed economici (su questo in particolare la difesa del lavoro dignitoso, anche delle persone con disabilità, e del giorno festivo settimanale comune, la tassazione delle imprese digitali e la sua redistribuzione);
- le questioni di etica, ricerca e salute (la prima proposta della Commissione Europea di regolamentazione giuridica dell’intelligenza artificiale, l’etica finanziaria, la cura degli anziani, la politica per la salute e in particolare la produzione e la distribuzione dei vaccini anche oltre i confini dell’Unione, il molto discusso Rapporto Matic sulla salute delle donne, che per la prima volta avanza l’idea di un “diritto” all’aborto, il diritto all’obiezione di coscienza),
- il fenomeno delle migrazioni e la richiesta di asilo (con la rassegna di tutti i fronti su cui l’Unione è esposta ai flussi migratori e la segnalazione delle gravi condizioni in cui versa, spesso con la perdita della vita, la massa di migranti che torna ad essere numericamente consistente anche se non nella misura della fase precedente alla pandemia – e su tale punto si è espressa con un documento la Conferenza episcopale dell’Inghilterra e del Galles, che continua a far parte della COMECE nella veste di invitata);
- la cultura e l’istruzione (su cui si affaccia da poco l’attenzione della COMECE, portandosi sullo spazio europeo dell’istruzione, sull’istruzione e formazione professionale, sulla promozione della cultura e la tutela del patrimonio culturale), le politiche giovanili e il tema della sostenibilità (in particolare nella politica agricola e con il cosiddetto Green Deal europeo).
La libertà religiosa
Un tema ancora all’attenzione costante del segretariato della COMECE è quello della libertà religiosa, che ha fatto emergere in questi ultimi anni un atteggiamento un po’ tiepido da parte della Commissione Europea sull’argomento.
La nomina di un Inviato speciale dell’UE per la promozione della libertà di religione o di credo nell’azione esterna ha richiesto tempi estenuanti e la ricerca di un candidato è nuovamente in corso a causa della nomina ministeriale nazionale della personalità originariamente identificata (Christos Stylianides).
Il problema si segnala come rilevante sia all’interno dell’Unione (basti pensare alle restrizioni che la pandemia ha indotto a introdurre nell’espressione pubblica: non a caso il papa ha parlato in questo ambito di «persecuzione gentile») sia, soprattutto, in numerosi Paesi terzi. L’impegno della COMECE su questo punto è rilevante, grazie anche alla collaborazione con altri soggetti internazionali, soprattutto religiosi.
A questo proposito si deve rilevare una caratteristica dell’azione che la COMECE, soprattutto in questi ultimi anni, sta conducendo. Mi riferisco a una iniziativa – che assume la forma di indicatore di una linea e di uno stile – volta a creare rapporti e collegamenti, occasionali o stabili, con associazioni o enti, per lo più di carattere ecclesiale (come Justitia et Pax) ma non solo, con cui istituire una collaborazione per il perseguimento di obiettivi condivisi. Ciò sia in ordine a interventi istituzionali su organismi dell’UE nell’ordinaria interlocuzione con essi, sia nella promozione di attività inerenti aspetti essenziali della dottrina sociale della Chiesa.
In particolare, poi, cresce la collaborazione con il CCEE, che rappresenta l’episcopato dell’intera Europa e nella cui nuova presidenza il card. Hollerich è stato eletto alla carica di vice-presidente, e con la Conferenza delle Chiese Europee, in prospettiva ecumenica.
La scelta europea
Al centro di tutto l’impegno della COMECE sta la scelta europea: «La Chiesa porta avanti e difende, senza esitazioni, l’ideale europeo e il relativo processo di integrazione», come si è espresso il card. Hollerich nella sua relazione.
In riferimento alla Conferenza per il futuro dell’Europa egli ha giustamente lamentato che la COMECE non sia stata trattata come istituzione e partner del dialogo, a dispetto della lettera dell’articolo 17 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione, cosa che non è equivalente alla richiesta di contributi da parte di soggetti genericamente indicati come faith-based organisations. Nondimeno l’impegno a portare il contributo alla Conferenza rimane intatto.
Come è noto, la Conferenza sul futuro dell’Europa è un’iniziativa comune del Parlamento europeo, del Consiglio e della Commissione europea, avviata nel maggio 2021 e destinata a concludersi nella primavera 2022.
Il suo scopo è aprire uno spazio di dialogo e di discussione in merito al ruolo e alle strategie dell’Unione, per consentire ai cittadini e soggetti europei di esprimere le loro opinioni e le loro aspettative sulle future politiche e sulle priorità dell’Unione.
L’attenzione si concentra in modo particolare su cambiamento climatico e ambiente, trasformazione digitale, migrazione.
La relazione del presidente ha messo in prima evidenza il tema della democrazia e dei valori. Su tale ambito egli ha osservato che si può «legittimamente insistere su una maggiore trasparenza dei processi, inclusi quelli legislativi, a Bruxelles. Essi rimangono non poche volte quasi impermeabili al pubblico scrutinio, perlomeno nelle fasi inter-istituzionali. Possiamo inoltre chiedere ai nostri interlocutori istituzionali quali strumenti e meccanismi si stiano delineando nelle discussioni in seno alla Conferenza per consentire una partecipatività maggiore da parte dei cittadini nella vita dell’Unione. Lascia un po’ perplessi anche la tendenza a mescolare il più debole riferimento ai “valori” fondamentali, con quello ai diritti fondamentali, ai quali si deve accompagnare il relativo contrappeso dei doveri».
Importante dunque l’iniziativa della Conferenza, che tuttavia richiede un’apertura operativa concreta nei vari ambiti fatti oggetto di riflessioni e contributi da parte di cittadini, organismi e istituzioni, e importante soprattutto l’attivazione di un dialogo costante e di una interazione tra istituzioni europee e cittadini che renda viva ed effettiva la democrazia che caratterizza l’UE. L’iniziativa, infatti, mentre dice la volontà dell’Unione di superare la distanza troppe volte lamentata tra organismi centrali e vita dei popoli che compongono l’Unione, segnala essa stessa un difetto a cui si vuole porre rimedio.
L’esigenza di fondo è che, oltre l’avvio di un dialogo e di un confronto, si pongano in essere strutture stabili che vedano il superamento di uno stacco che rischia di nuocere gravemente all’Unione. Si deve registrare, in proposito, che da alcune parti si comincia a chiedere l’adeguamento dei Trattati.
Il confronto sul tema della Conferenza ha visto anche il dialogo con un gruppo di giovani cattolici di diversi Paesi dell’UE che erano stati già convocati dalla COMECE per una serie di eventi di scambio in vista della Conferenza e che fanno parte di una piattaforma per i giovani che nelle intenzioni è destinata a diventare permanente.
E poi anche il dialogo con un rappresentante di alto livello della Commissione Europea, Colin Scicluna, che ha portato la voce dell’organismo principalmente preposto allo svolgimento della Conferenza.
Ciò che risulta è un’effettiva mobilitazione sia nell’utilizzazione della piattaforma digitale predisposta allo scopo sia nell’organizzazione degli appuntamenti che affronteranno i temi fondamentali con la partecipazione di una vasta rappresentanza di associazioni, organismi, personalità.
Cinque parole-chiave
La riflessione intorno alla Conferenza sul futuro dell’Europa è stata introdotta da una relazione – si direbbe sullo stato dell’Unione – di Herman Van Rompuy, presidente del Consiglio Europeo dal 2009 al 2014, e ora presidente dell’European Policy Centre.
Egli vede l’Europa di oggi priva di ambizione. Gli europei vogliono vivere bene, difendere i loro interessi e i loro valori, ma li abita un senso di paura e di insicurezza, nonché di diffidenza nei confronti degli altri. I politici assecondano questo stato di cose alla ricerca di un consenso momentaneo, facendo credere vero ciò che piace al sentire di molti e alimentando la paura nei confronti di nemici inesistenti. Dice: siamo diventati vittime del nostro successo. Ha invitato pertanto alla ricerca di una via di uscita proponendo una riflessione a partire da cinque parole chiave.
C’è bisogno di unità per difendere all’interno e all’esterno interessi e valori, ma senza valori condivisi non ci può essere unità. Al riguardo, bisogna fare i conti con la difficoltà procedurale che consente che un solo Paese blocchi l’Unione nei processi di decisione. Riscoprire i valori e rivedere le procedure è ciò che si richiede.
La solidarietà è uno di quei valori che vanno condivisi; essa va praticata verso le regioni e i Paesi meno prosperi dell’Unione (come in qualche modo sta avvenendo), nella distribuzione dei vaccini, nel rapporto con i Paesi vicini e con quelli poveri del pianeta, in particolare i rifugiati.
Decisiva è poi la democrazia, che si mostra declinante nella fiducia di molti cittadini, tendenti all’individualismo e sempre alla ricerca di risultati immediati. I populismi raccolgono scontento mostrando il paradosso di tanta gente che chiede maggiore coinvolgimento e maggiore democrazia, ma poi fa crescere partiti anti-democratici. Il deficit democratico non tocca soltanto il livello europeo ma, a cascata, raggiunge un po’ tutti i livelli della vita associata nei Paesi membri.
La Conferenza sul futuro dell’Europa dovrebbe concentrarsi sul tema della democrazia, seppure non sia suo compito né nelle sue prerogative riscrivere i Trattati.
La democrazia cresce se crescono i corpi intermedi e in generale la società civile, cosa che i populisti contrastano fortemente alla ricerca di un rapporto diretto con il “popolo”. In realtà, la democrazia è “conversazione”, discussione, dibattito, in uno stile di dialogo e di moderazione. Tutto questo può e deve essere opera degli stessi cittadini. Il contesto internazionale, d’altra parte, presenta un quadro delicato nel rapporto tra Paesi democratici e stati autoritari.
L’Unione deve comunque rimanere a favore del dialogo e opporsi allo scontro nella difesa dei valori democratici, anche se le tensioni sul punto devono misurarsi con la lotta al cambiamento climatico o con la regolamentazione del commercio mondiale, su cui va trovata una unità senza la quale non si possono raggiungere obiettivi comuni (come si vede dalla pochezza di risultati di appuntamenti internazionali recenti).
Con questa complessità si deve confrontare l’esigenza di autonomia, specialmente in una fase – verso l’uscita dalla pandemia – in cui è cresciuta la consapevolezza della dipendenza dei Paesi gli uni dagli altri, soprattutto tra i principali attori globali. L’esigenza di proteggere l’autonomia dei singoli Paesi non può condurre al protezionismo, il cui esito è autolesionistico considerato il grado di interdipendenza raggiunto.
In positivo, è da osservare l’accresciuto ruolo della politica rispetto ai mercati. Sarebbe questo il momento di vedere l’UE assumere un ruolo più prominente sulla scena globale, in considerazione della sua posizione di assoluto rilievo sul piano economico generale e, in particolare, nel commercio. Bisognerebbe capire che raggiungere un ruolo geopolitico di primo piano non dovrebbe servire ad assumere una posizione di dominio, ma a difendere gli interessi comunitari. A questo aspetto si lega il tema della difesa militare, da costruire in maniera corrispondente a un ruolo politico accresciuto (ma qui le riflessioni da fare sarebbero anche altre).
Quanto, infine, al futuro, l’ex presidente del Consiglio Europeo ritiene che il Recovery Fund dovrebbe diventare uno strumento permanente e che bisognerebbe favorire il peso internazionale dell’euro; parimenti una posizione centrale dovrebbe assumere la politica riguardo al clima. Dilazionare è un modo diverso per dire che si vuole rifiutare. E tra le questioni più drammatiche c’è il futuro demografico. La questione, ultimamente, è se l’UE ha un futuro.
La lucida disamina della situazione, che richiederebbe una puntualizzazione su diversi aspetti, pone onestamente la questione del futuro dell’Europa. Su di essa in non pochi si arrovellano e non da ora, alla ricerca di una sintesi tra urgenze contingenti e istanze di fondo, tra la rude realtà dei fatti e dei calcoli e le motivazioni e i valori condivisi che soli uniscono e conducono a scelte e decisioni all’altezza della storia.
Nella sua relazione il card. Hollerich ha affermato che l’Europa ha bisogno di un’anima, o meglio di riscoprire e tenere viva l’anima da cui è nata e cresciuta. È il compito di una Chiesa che non si stanca di promuovere l’incontro e il dialogo attorno alla difesa non di interessi di parte ma di beni comuni che toccano la vita dei popoli europei e affidano una grande responsabilità verso quanti guardano ad essa o attendono da essa una presenza e una iniziativa proporzionate ai suoi mezzi, alla sua cultura, alla sua storia.