31 dicembre 2016: dopo un lungo periodo di discussioni, grazie alla mediazione della CENCO (Conférence episcopale nationale du Congo), viene firmato un accordo fra tutte le istanze politiche della Repubblica Democratica del Congo. È l’accordo di San Silvestro. Questo recita che il presidente Kabila Joseph avrebbe convocato le elezioni entro dicembre 2017. Le elezioni registrano già un anno di ritardo: si sarebbero dovute tenere già prima della fine del 2016.
Un clima di intimidazione
Il Comitato laico di Coordinamento preparava già da tempo una forma di manifestazione pacifica per “ricordare” al presidente Kabila l’impegno preso e non realizzato. A muoversi e a raccogliere consensi da varie parti era, dunque, la base della Chiesa cattolica del Congo, sostenuta dall’approvazione diretta dei vescovi (o da una tacito atteggiamento favorevole) e dei parroci. Credo che mai si sia raggiunta una comunione di intenti così coraggiosa nella Chiesa congolese.
Queste marce erano piuttosto delle processioni con rosari, crocifissi e bibbie in mano, che marce di protesta. Erano soprattutto pacifiche, nonviolente. Il potere politico le ha stroncate con una violenza cieca, sia durante il loro svolgimento, sia prima del loro inizio.
In diverse parrocchie la polizia è entrata nelle chiese sparando, gettando gas lacrimogeni, interrompendo così la celebrazione dell’eucaristia. In alcuni casi la polizia ha derubato la gente di telefoni cellulari, di soldi e di altri oggetti personali. Alla fine della giornata si conteranno 8 morti e una quarantina di feriti.
Molti filmati raccolti dai partecipanti a queste marce soffocate mostrano violenze gratuite su persone disarmate, inoffensive, deboli, da parte delle forze dell’ordine. Questo atteggiamento del governo che mostra paura si offre al mondo in questo spettacolo così brutale, da far temere conseguenze pesanti per il governo stesso.
La Chiesa scende in campo
Ma la nota positiva viene ancora dall’atteggiamento della Chiesa, in particolare dall’atteggiamento della sua gerarchia. Il cardinale di Kinshasa, Laurent Monsengwo Pasinya, ha fatto un intervento nel quale condanna l’atteggiamento violento del governo nel comportamento delle forze dell’ordine: «Non possiamo che denunciare, condannare e stigmatizzare l’operato dei nostri pretesi valorosi uomini in uniforme che traducono né più né meno la barbarie… È tempo che la verità vinca la menzogna sistematica, che i mediocri se ne vadano e che la pace e la giustizia regnino nella Repubblica Democratica del Congo». Sottolinea quindi l’impossibilità di fidarsi di dirigenti che ridicolizzano la libertà religiosa del popolo, fondamento di tutte le libertà, e chiude col manifestare la volontà di vedere un «Congo di valori e non di anti-valori».
Questo intervento ha avuto l’effetto di minare certe sicurezze del governo, basate sulla violenza, e di incutere un certo timore. Il governo di Kinshasa ha individuato nella Chiesa cattolica il nemico numero uno e ha intrapreso con essa una nuova lotta, accusandola di divisione interna, di inappropriato ricorso alla libertà religiosa, di intromissione impropria in politica.
Altri vescovi, come quello di Mbandaka, quello di Bukavu, lo stesso nunzio apostolico, hanno toccato questi punti, parlando di una Chiesa che sta in mezzo al villaggio, che sente e vede la sofferenza del popolo, e con esso e per esso fa sentire la sua sofferenza reclamando giustizia, libertà, democrazia vera e governanti capaci di guidare un popolo nel ritrovamento della propria dignità.
In modo ancora diretto, come per far capire che le divisioni sono invenzione di chi ha interesse che esistano, i pastori della Chiesa congolese hanno anche fustigato l’atteggiamento dei media, per l’80% schierati (e sostenuti) dalla parte del potere.
Riprendono le manifestazioni
Il Comitato laico di coordinamento ha annunciato la ripresa delle manifestazioni nonviolente nelle parrocchie di tutta la Repubblica per domenica 21 gennaio. È un’altra sfida pacifica, sostenuta direttamente dall’episcopato locale, che dice come la Chiesa abbia finalmente scoperto la sua identità: essere popolo.
Sia pure con le dovute differenze di esperienza partecipativa, di cultura e di momento storico, questa iniziativa dei laici fa pensare al movimento della Chiesa filippina nel preparare la caduta del dittatore Marcos negli anni ’80.
Si sente parlare tanto di “primavere” che non sempre portano all’estate. Questa, per la Chiesa e per il popolo congolese, deve essere finalmente una primavera che cambia tutte le stagioni. Gli elementi ci sono. C’è soprattutto una comunione tra pastori, laici, religiosi, sacerdoti.
Purtroppo, qualche giorno dopo la repressione delle manifestazioni del 31 dicembre, una catastrofe naturale, della quale pochi media europei si sono interessati, ha causato la morte di 44 persone e migliaia di senza tetto. Un nubifragio di dimensioni eccezionali si è abbattuto sulla capitale Kinshasa e ha fatto crollare le fatiscenti abitazioni costruite su sabbia o su terreni friabili. A dare una mano alla Natura in questo disastro c’è anche il governo congolese che non elabora dei piani urbanistici a misura d’uomo o non fa rispettare quelli che ci sono.
Piove veramente sul bagnato? Sì. Ma è il momento di credere che ci sarà la quiete dopo tanta tempesta.