Cambierà la geografia delle presenze ortodosse nel mondo? La decisione di Costantinopoli di concedere l’autocefalia all’Ucraina, lo scisma che questo ha prodotto e le decisioni che si stanno costruendo in questi giorni nelle Chiese ortodosse in Occidente ridisegneranno la mappa dell’Ortodossia?
Per ora sono soltanto domande perché i processi avviati non lasciano trasparire conclusioni univoche. Neppure i protagonisti sanno come si sedimenterà la crisi nei prossimi anni. Le indiscrezioni sul controllo di Costantinopoli sulla Chiesa ucraina e la decisione di sciogliere l’esarcato delle Chiese ortodosse di tradizione russa in Occidente permetterebbero al Fanar un’autorità non solo su Creta e le aree nord-orientali della Grecia (Athos), ma anche sull’Ucraina e su una fetta cospicua della diaspora. La striminzita comunità costantinopolitana potrebbe alimentarsi grazie a territori ben più ampi e a comunità ben più diffuse di quelle attuali.
Torna il conflitto armato
Il primo elemento è la ripresa dello scontro bellico russo-ucraino. Domenica 25 novembre, dopo uno speronamento e uno scambio di armi da fuoco, tre navi della marina ucraina sono state sequestrate da una nave da guerra russa nello stretto di Kertch che mette in comunicazione il mar Nero con il mare d’Azov.
Un trattato fra Russia e Ucraina del 2003 permette la libera navigazione delle navi mercantili e militari russe e ucraine nel braccio di mare che apre ai porti ucraini di Mariupol e Berdyansk. L’occupazione russa della Crimea del 2014, la presenza di 40.000 soldati russi nella penisola, la costruzione di un ponte che unisce direttamente la Russia alla Crimea proprio sullo stretto di Kertch trasforma il tratto di mare e il mare d’Azov in un mare interno alla Russia (che occupa il 70% delle coste).
La trentina di marinai imprigionati e sotto sorveglianza dei servizi segreti russi allungano la lista dei rispettivi prigionieri. I morti del conflitto nell’area viciniore del Donbass sono oltre 10.000. Le reazioni ucraine sono state immediate. Il presidente Poroshenko ha deciso lo stato di guerra e la legge marziale per un mese nelle aree di confine con l’interdizione a tutti i cittadini russi fra 16 e 60 anni di entrare nei confini ucraini. Le cancellerie occidentali si sono tutte schierate contro la Russia di Putin.
Il modello «Creta»
Nel contesto di guerra e di violento confronto elettorale (le elezioni sono previste a marzo 2019) procedono gli eventi relativi all’autocefalia. Il sinodo costantinopolitano del 27-29 novembre conferma la decisione dell’autonomia ecclesiale ucraina e ne elabora la carta costituzionale in vista della concessione del tomo patriarcale dell’autocefalia.
Il concilio ucraino che dovrebbe formalizzare il consenso, eleggere il primate e delegarlo ad accettare il tomo è annunciato per il 15 dicembre nella chiesa di santa Sofia a Kiev. La volontà politica di procedere speditamente è espressa dalla presenza a Costantinopoli durante il sinodo del 27-29 novembre al Fanar di Rostislav Pavlenko, consigliere del presidente ucraino, e dall’assicurazione del presidente del parlamento ucraino, Andriy Paroubiy, di garantire lo svolgimento del concilio di riunificazione nonostante la legge marziale in corso.
Le crescenti tensioni intra-ortodosse nel paese sono emerse nel duro confronto sul monastero – laura di Potchaïev. La comunità monastica filo-russa si è opposta sia al comune locale che pretendeva una parte dei territori agricoli sia alla decisione del ministero della giustizia di annullare il contratto che le permetteva l’utilizzo delle strutture. Un sostegno ai monaci è venuto dal metropolita moldavo, Vladimir. Una perquisizione da parte dei servizi di sicurezza ucraini si è svolta alla laura delle Grotte di Kiev, il più prestigioso dei monasteri ucraini, appartenente alla Chiesa ortodossa filo-russa. Alcuni dei suoi edifici sono già stati destinati al futuro primate della nuova Chiesa ortodossa autocefala.
La notizia più intrigante, se risultasse vera, è quella anticipata dal sito greco Romfea secondo cui l’autocefalia ucraina verrebbe ricondotta al «modello Creta», che è sì autonoma ma sotto la giurisdizione di Costantinopoli. Il suo capo sarebbe primate ma non patriarca, i monasteri dipenderebbero direttamente dal Fanar (come l’Athos), il crisma verrebbe da Costantinopoli e le canonizzazioni sarebbero anch’esse decise da Bartolomeo e i suoi successori. Costantinopoli non sarebbe più il «francobollo» commemorativo che è oggi, ma diventerebbe centro di riferimento per territori ben più estesi. La conferma viene volgendo lo sguardo all’Occidente.
L’esarcato cancellato
Un evento del tutto imprevisto è stata la decisione del sinodo costantinopolitano (27-29 novembre) di sciogliere l’esarcato o archieparchia (arcivescovato) della comunità di tradizione ortodossa russa in Europa occidentale e di integrarlo nelle eparchie locali (diocesi) del Patriarcato ecumenico.
Nella complessa sovrapposizione delle giurisdizioni in Occidente, di ciascuna Chiesa ortodossa nazionale oltre a quelle direttamente dipendenti da Costantinopoli, la Chiesa di tradizione ortodossa russa nasce dai fuoriusciti russi dopo la rivoluzione del 1917, si struttura in forma autonoma negli anni Trenta del Novecento, legandosi a Costantinopoli per non dover dipendere dal patriarca di Mosca, troppo condizionato del potere sovietico. Nel 1999 è stato riconosciuto come «esarcato permanente» da Bartolomeo di Costantinopoli.
L’esarcato ha sempre sostenuto la sede di Costantinopoli, anche nell’attuale scontro con Mosca. Nonostante l’assicurazione che la sua tradizione liturgica (celebrano in slavone come i russi) e spirituale rimarranno intatte la decisione improvvisa e non condivisa minaccia di non essere indolore. L’esarcato comprende 65 parrocchie, 11 chiese, 2 monasteri e 7 eremi. Il vescovo dimesso, Giovanni, ha informato il suo consiglio e ha annunciato un’assemblea dei fedeli. Non è detto che comunità e monasteri accedano ai voleri di Bartolomeo, visto che una qualche tensione si è già prodotta nel 2013 in occasione dell’elezione del vescovo Giovanni e sulla interpretazione non restrittiva relativa alla scomunica dei russi verso le chiese costantinopolitane (preti e diaconi non comunicano, ma i fedeli sono liberi).
La parrocchia della natività di Firenze ha già anticipato alla fine di ottobre la decisione di uscire dall’influenza del Fanar, entrando in comunione con la Chiesa ortodossa oltre frontiera, diffusa nel Nord America, in piena comunione con quella russa. La Chiesa ortodossa russa ha rinnovato l’invito alle comunità di tradizione russa di entrare in comunione con Mosca, abbandonando Costantinopoli. L’istituto teologico di San Sergio a Parigi, uno dei luoghi fondamentali del pensiero teologico orientale da un secolo, si è pronunciato per una collocazione autonoma, come richiesto dal suo statuto accademico e dal riconoscimento statale, a vantaggio degli studenti di tutte le giurisdizioni ortodosse.
Politica ecclesiastica e rinnovamento spirituale
Il combinato disposto di una autocefalia diminuita per l’Ucraina e la riconduzione alle diocesi costantinopolitane di una parte della diaspora occidentale dà la misura del progetto di Bartolomeo. L’improvvisa urgenza che sembra connotarlo è da alcuni attribuita al suo stato di salute. Sarebbe segnato da una grave malattia e non vorrebbe lasciare al successore troppe questioni aperte.
Per altri è la ripresa di un disegno antico e mai abbandonato: la diretta responsabilità del trono di Costantinopoli su tutti i territori non tradizionali (Est Europa e Russia). Un grande intento che modificherebbe la distribuzione dei 250 milioni di ortodossi. Guidato, tuttavia, da una istanza di politica ecclesiastica, senza una innovativa piattaforma teologica (il sinodo di Creta non è sufficiente al riguardo) e una riconosciuta urgenza spirituale.
Come ha notato il vescovo Anastasio di Tirana (Albania) le decisioni prese potrebbero diventare un cammino su un campo minato. Invece di unificare le Chiese locali e accorpare quelle della diaspora il loro effetto potrebbe fare esplodere le contraddizioni, moltiplicando le divisioni. Ne risulterebbe «la rottura dell’unità dell’Ortodossia mondiale». Ma l’auspicata ripresa delle sinassi dei patriarchi e del concilio di Creta non appare per ora percorribile.
Roma, oltre a non concedere il patriarcato ai greco-cattolici ucraini, può fare qualcosa per l’insieme dell’Ortodossia e del cristianesimo?
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