I cristiani d’Oriente oggi

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I cristiani d’Oriente oggi, timori e speranze. «In tutto, infatti, siamo tribolati, ma non schiacciati; sconvolti, ma non disperati» (2Cor 4,8). È il titolo dell’undicesima lettera pastorale del Consiglio dei patriarchi cattolici d’Oriente (CPCO), pubblicata il 20 maggio 2018, elaborata durante la riunione tenutasi dal 9 all’11 agosto 2017 nei pressi di Beirut, in Libano. In quell’occasione i patriarchi cattolici d’Oriente hanno riflettuto sulla situazione umana, sociale e politica dei paesi del Medio Oriente, poiché «nessun paese arabo conosce la pace o la stabilità» a causa di guerre, terrorismo, povertà, emigrazione dei cristiani. A fronte di tale situazione affermano: «L’Oriente sarà rinnovato dai suoi popoli senza che l’Occidente imponga loro i suoi piani. Un Oriente fatto dai suoi figli, padroni a casa loro, musulmani, cristiani e drusi. Tutti uguali, senza che nessuno imponga il suo dominio sull’altro a livello religioso, politico o militare». La lettera si rivolge ai fedeli delle Chiese cattoliche d’Oriente, ma anche ai concittadini delle altre religioni, ai governanti e ai leader occidentali. Traduzione dal francese è curata dal Patriarcato latino di Gerusalemme (dal sito web it.lpj.org, 3 agosto 2018).

patriarchi

Il Consiglio dei patriarchi cattolici d’Oriente (Haifa, 12 ottobre 2017)

Introduzione

Ai nostri fratelli vescovi, preti, diaconi, religiosi e religiose e a tutti i nostri diletti fedeli, in tutte le nostre eparchie, in Oriente e nei paesi di emigrazione, «grazie a voi e pace da Dio Padre nostro e dal Signore Gesù Cristo!» (1Cor 1,3).

1. Vi scriviamo questa lettera nella festa di Pentecoste, dopo aver celebrato la Pasqua gloriosa di nostro Signore Gesù Cristo e la sua vittoria sulla morte e sul male. Abbiamo bisogno, infatti, di contemplare Cristo risorto e di chiedere allo Spirito Santo di colmarci della sua forza e di rinnovare la nostra fede, in questo tempo nel quale ci vediamo sommersi dal male della guerra e della morte in tutta la regione.

In molti dei nostri paesi vediamo morte e distruzione, a causa di una politica mondiale, economica e strategica, mirante a creare un «nuovo Medio Oriente».

Tutti, cristiani e musulmani, veniamo uccisi o costretti a emigrare, in Iraq, Siria, Palestina e Libia. Nessun paese arabo conosce la pace o la stabilità.

Oggi molti parlano della nostra estinzione o della riduzione drammatica del numero dei nostri fedeli. Noi continuiamo a credere in Dio, Signore della storia, che veglia su di noi e sulla sua Chiesa in Oriente. Continuiamo a credere nel Cristo risorto e nella sua vittoria sul male. In Oriente resteranno sempre dei cristiani che proclameranno il Vangelo di Gesù Cristo, testimoni della sua risurrezione, anche se rimarremo solo un piccolo gruppo. Resteremo «sale, luce e lievito» (cf. Mt 5,13.14; 13,33), come ci ha detto il Signore Gesù Cristo, il quale ci aveva anche preannunciato: «Nel mondo avete tribolazioni, ma abbiate coraggio; io ho vinto il mondo!… Non sia turbato il vostro cuore» (Gv 16,33; 14,27).

2. Fratelli e sorelle, vi inviamo questa lettera, dopo il nostro incontro annuale alla residenza patriarcale di Dimane (Libano), dal 9 all’11 agosto 2017, dove siamo stati ospiti del nostro fratello, il patriarca card. Bechara Boutros Raï. La indirizziamo a voi, nostri fedeli, ai nostri paesi, a tutti i nostri concittadini cristiani, musulmani e drusi, ai nostri governi e anche ai responsabili politici in Occidente, che hanno deciso di creare un nuovo Medio Oriente e pensano di avere il diritto di decidere dei nostri destini, grazie alle loro potenze materiali o militari.

In questa lettera rivolgiamo tre messaggi: il primo ai nostri fedeli; il secondo ai nostri concittadini e ai governanti dei nostri paesi; il terzo a coloro che in Occidente decidono della politica del Medio Oriente e a Israele.

I. Messaggio ai nostri fedeli

Tempi difficili

3. Sappiamo che è difficile rivolgere una parola ai nostri fedeli che hanno subito molteplici prove, hanno pianto la morte dei loro cari e vicini o sono stati dispersi nel mondo. Davanti a tanta sofferenza, la parola più eloquente è il silenzio. Silenzio anche davanti al mistero di Dio e del suo amore per tutte le sue creature, un mistero che noi non riusciamo a comprendere, con tutto il male che ci invade.

Silenzio e rispetto di fronte alle prove subite dai nostri fedeli; insieme a loro facciamo nostro il grido del salmista: «Fino a quando, Signore?». «Signore, Dio, ritorna! Guarda dal cielo e vedi e visita questa vigna, proteggi quello che la tua destra ha piantato» (Sal 6,4; 80,15-16a).

Silenzio, preghiera, e abbandono e sottomissione alla volontà di Dio. Ringraziamo al tempo stesso Dio per ogni cosa, per la sua Provvidenza che veglia sulla Chiesa d’Oriente, su ogni persona che è in mezzo a noi e sul mondo intero.

Circondati dal sangue e dalla distruzione, dispersi nel mondo, noi meditiamo le parole di Cristo, il quale ci ha preannunciato difficoltà e persecuzioni: «Vi scacceranno dalle sinagoghe; anzi, viene l’ora in cui chiunque vi ucciderà crederà di rendere culto a Dio» (Gv 16,2). E ancora: «… e sarete condotti davanti a governatori e re, per causa mia» (Mt 10,18). Ma ci ha detto anche che lo Spirito sarà con noi: «Quando vi porteranno davanti alle sinagoghe, ai magistrati e alle autorità, non preoccupatevi di come o di che cosa discolparvi, o di che cosa dire, perché lo Spirito Santo vi insegnerà in quel momento ciò che bisogna dire» (Lc 12,11-12).

Questa è la nostra situazione, come quella del salmista che afferma: «Per te ogni giorno siamo messi a morte, stimati come pecore da macello» (Sal 44,23; cf. anche Rm 8,36) e come quella di Paolo, che scrive: «Ogni giorno io vado incontro alla morte» (1Cor 15,31). Ma l’apostolo ci rivolge anche una parola di incoraggiamento: «In tutto, infatti, siamo tribolati, ma non schiacciati; siamo sconvolti, ma non disperati» (2Cor 4,8). Ispirati da queste parole della Scrittura, noi definiamo i nostri comportamenti umani, nelle nostre Chiese e nei nostri paesi. E in mezzo alle difficoltà, sempre con il salmista, rinnoviamo la nostra fede: «Ho creduto anche quando dicevo: sono troppo infelice» (Sal 116,10).

Noi crediamo, pur sapendo che è difficile credere mentre siamo sommersi dalle tenebre e dalle ingiustizie di questo mondo.

Vediamo la terra piena di miserie. Vediamo la crudeltà degli uomini, gli uni verso gli altri e verso di noi. Sperimentiamo un tempo di morte e di martirio. Davanti a tutto questo, noi guardiamo la bontà di Dio, gli chiediamo la forza e la capacità di accogliere la sua grazia. Gli chiediamo di accompagnarci nell’ora del martirio quando giungerà. Gli chiediamo di accompagnarci, se restiamo nelle nostre case, se le nostre Chiese sono distrutte e se siamo dispersi nel mondo. Gli chiediamo la forza di restare saldi nella nostra fede e nella nostra fiducia nella sua bontà. Nonostante la morte che ci minaccia, noi crediamo che Dio non cessi d’inviarci nei nostri paesi o nel mondo portando dentro di noi una briciola della sua bontà divina, della sua forza e del suo amore per tutto il mondo.

Emigrazione

4. In alcuni dei nostri paesi assistiamo all’emigrazione forzata di nostri fedeli a causa delle prove disumane che hanno conosciuto. Ringraziamo i paesi, le Chiese, le organizzazioni assistenziali internazionali che hanno accolto i nostri fedeli e hanno offerto loro l’aiuto necessario per assicurare loro una vita umana degna. Ma ripetiamo a tutti, soprattutto ai politici, che il miglior aiuto da dare ai nostri fedeli è quello di permettere loro di restare a casa loro, nei loro paesi, di non suscitare disordini politici e le varie forme di violenza che li costringono a emigrare.

C’è anche un’emigrazione di cristiani in altri paesi, nei quali la situazione è relativamente tranquilla, ma che ugualmente risentono del clima di guerra e d’instabilità politica generale nella regione. Noi ripetiamo a tutti i nostri fedeli l’importanza della presenza cristiana in Oriente e della presenza di ognuno e ognuna di voi nei vostri paesi dove Dio vi ha chiamati e vi ha inviati. In tempi difficili, i vostri paesi e le vostre Chiese hanno bisogno di voi. Vi diciamo di resistere per quanto potete alla tentazione dell’emigrazione e di continuare a vivere la vostra missione nei vostri paesi e nelle vostre Chiese. L’avvenire delle nostre Chiese e della presenza cristiana in generale nella regione dipende anche dalla vostra decisione di partire o di accettare la volontà di Dio restando là dove vi ha chiamati.

I nostri martiri

5. Dai nostri morti, dai nostri martiri e dalla crudeltà degli uomini nei nostri confronti noi impariamo due cose. Anzitutto restiamo dei messaggeri portatori di vita nei nostri paesi e nelle nostre società. In secondo luogo, se la morte è una realtà, per il credente anche la vita è una realtà ed essa finirà per trionfare sulla morte. La vita piena, la «vita in abbondanza» (Gv 10,10) che Cristo è venuto a offrirci e ci permette di comunicare agli altri. Nelle molteplici difficoltà, i nostri corpi vengono uccisi, ma il messaggio rimane. Noi restiamo portatori di un messaggio, qui e sulle strade del mondo. Qui contribuiamo alla costruzione delle nostre società, e sulle strade del mondo, là dove giungiamo, portiamo il Vangelo di Gesù Cristo.

Noi non disperiamo, non fuggiamo lontano da un mondo nel quale regna la morte. Anche coloro che uccidono hanno bisogno di sale e di luce, per riuscire ad aprire gli occhi e uscire dalla loro cecità e dalla loro disumanità. Noi non fuggiamo davanti a coloro che uccidono nelle nostre società o nel mondo. Cerchiamo piuttosto di ricondurli alla vita, perché uccidendoci uccidono sé stessi. La missione delle nostre Chiese, e di tutti i nostri fedeli, è una missione difficile, sanguinosa. Essa consiste nel rendere la vita a una generazione di morti, nel rendere la bontà di Dio a coloro che se ne sono privati, nel rendere la vista a coloro che l’hanno perduta e sono diventati incapaci di vedere l’amore di Dio e dei figli di Dio.

Che cosa ci dicono i nostri martiri?

6. I nostri martiri dicono a noi cristiani una parola di verità. Dio ha voluto che noi ricevessimo in questo XXI secolo il battesimo del sangue.

I nostri martiri ci dicono di rinnovare il nostro amore gli uni verso gli altri, anche se siamo ancora separati da strutture esterne che si sono formate nel corso dei secoli. Anche se continuano le nostre differenze nel modo di comprendere ed esprimere la fede nell’unico Signore Gesù Cristo. Un solo amore nelle nostre Chiese, una sola voce per il povero, per l’oppresso e per la pace, uno stesso impegno nelle nostre società, nelle quali il Signore ci ha posti e ci ha mandati per costruirle e per avviarvi una nuova fase della nostra storia. Il nostro contributo alle nostre società consiste nel rendervi più presente Dio e nell’introdurvi più amore e pace.

I nostri martiri hanno dato la loro vita per Gesù Cristo e per la vita delle nostre Chiese e dei nostri paesi. Perciò le nostre Chiese elevano insieme la loro lode all’unico Signore Gesù Cristo e avanzano verso una maggiore unità fra di noi e nelle nostre società. Essendo state battezzate nel sangue dei nostri martiri, le nostre Chiese hanno il dovere di rinnovarsi per diventare fonte di vita per tutti.

I nostri martiri ci dicono di rinnovare la nostra preghiera, affinché sia al tempo stesso culto reso a Dio e amore del prossimo, amore delle persone più vicine e anche di quelle più lontane, amore di tutte le nostre comunità e di tutte le nostre società. La nostra preghiera non resterà fra le mura delle nostre Chiese, ma si estenderà a tutte le nostre relazioni reciproche e alle nostre società. La nostra preghiera si estenderà a tutti i bisogni materiali e spirituali di tutti. Questo implica anche un rinnovamento delle nostre tradizioni, delle nostre liturgie e delle nostre devozioni, affinché diventino un nutrimento che trasforma la nostra vita quotidiana e ci aiuta ad assolvere la nostra missione nel mondo.

Il sangue dei nostri martiri è un seme per un rinnovamento delle nostre Chiese, dei nostri fedeli, dei nostri sacerdoti, vescovi e patriarchi. Anche se la strada aperta dal sangue dei nostri martiri è lunga e difficile, noi la percorriamo. Camminiamo insieme a loro, con lo sguardo fisso al cielo, ricordandoci della nostra vera vocazione, come cristiani e come esseri umani creati a immagine di Dio: «Siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste» (Mt 5,48). Anche la strada della perfezione è lunga e difficile. Perciò, mentre avanziamo sulla strada della perfezione, i nostri martiri ci dicono anche di saperci preparare al battesimo del sangue.

Ai loro persecutori, ai loro assassini vicini o lontani, a viso scoperto o nascosto, i nostri martiri dicono: anche per voi noi abbiamo dato la nostra vita, affinché anche voi possiate vedere Dio e i figli di Dio, vedere Dio in ogni essere umano, sia che appartenga alla vostra religione, sia a un’altra. Aprite i vostri occhi e i vostri cuori alla vita. Ritrovate la vostra libertà, non restate contemporaneamente assassini e vittime del vostro male. Non restate persecutori dei vostri fratelli e schiavi del male che c’è in voi.

Il sangue dei nostri martiri annuncia una vita nuova, la nascita di un uomo arabo nuovo, cristiano, musulmano e druso. Essi sono morti per la gloria di Dio e sono diventati una benedizione per le loro Chiese e le loro società arabe. Il numero dei cristiani diminuisce, ma il sangue dei martiri è seme di vita e di grazia. Il numero dei cristiani diminuisce, ma la grazia sovrabbonda.

In mezzo alle difficoltà e alla morte, noi ricordiamo sempre la bontà e la misericordia di Dio. Lo ricordiamo a coloro che ci uccidono, perché anch’essi, nonostante tutto il male che c’è in loro, hanno qualcosa della bontà di Dio. Anch’essi possono amare. Dio non ha creato l’uomo per la morte, per la sua morte o per quella degli altri. Lo ha creato per essere fratello e sorella di tutti e di tutte, quali che siano e a qualunque religione appartengano. Creati a sua immagine, noi siamo in grado di vivere e di amare come lui.

II. Che cosa diciamo ai nostri concittadini e ai nostri governanti?

La nostra realtà

7. La nostra realtà è caratterizzata da un lato da prosperità, ricchezza, grandi edifici e una parvenza di pace, con molto benessere, molta religione, molta scienza e molto denaro; dall’altro da molta povertà e, in alcuni dei nostri paesi, molti senzatetto. Nel campo della religione, per molti i nostri metodi di educazione religiosa sono un terreno fertile per l’estremismo o il confessionalismo chiuso e settario. Sul terreno, come nelle anime, domina una situazione di guerra e di sedizione. In alcuni dei nostri regimi politici si ha paura della libertà delle persone. I nostri paesi sono in cammino verso una stabilità non ancora realizzata. Dall’esterno e dall’interno ci sono state imposte delle guerre. E il nostro futuro rimane ignoto.

I nostri capi politici

8. Ringraziamo i nostri capi politici per i loro sforzi a servizio dei nostri popoli. Ma ricordiamo loro anche ciò che abbiamo detto sopra. La strada che ci separa dalla «città virtuosa» resta ancora lunga. Continuiamo a soffrire per la povertà, la corruzione, la limitazione delle libertà, il confessionalismo e le guerre. Tutto questo dovrebbe essere già stato superato.

Siamo pienamente consapevoli delle difficoltà e della complessità della situazione. Ma nonostante le difficoltà e la complessità, il male e la corruzione devono cessare. E questo è possibile. Il governo è un servizio reso alla comunità ed esige uno sforzo per migliorare le sue condizioni di vita. Il suo scopo è quello di assicurare a ogni cittadino una vita degna e libera, a livello sia materiale, sia spirituale, sia sul piano delle libertà. Siamo in grado di raggiungere tutto questo. Ma ne siamo ancora molto lontani.

Distacco e bene comune

9. I veri capi sono disinteressati. Sono servitori, cercano il bene delle persone e delle comunità. Paolo dice di se stesso: «Io non cerco il mio interesse, ma quello di molti, perché giungano alla salvezza» (1Cor 10,33). Con le sue parole, egli esortava i suoi fedeli a «imitare Dio». È bene e anche necessario che i capi politici ascoltino questa parola: non cercare il loro interesse personale, ma quello degli altri. È necessario che chi governa cerchi l’interesse del popolo dal quale ha ricevuto il mandato di governarlo. L’autorità è un servizio per l’edificazione della comunità.

Noi diciamo alle nostre autorità: ascoltate la voce dei poveri. Un buon governante è quello che sradica la povertà. Nelle nostre società vi sono grandi fortune; ci sono anche le conoscenze e la capacità organizzativa. Nelle nostre società, nelle quali si trovano tante risorse e ricchezze, la povertà è un segno della noncuranza o dell’incapacità dell’autorità. La povertà esiste quando un fratello non vede il proprio fratello. Essa è la conseguenza inevitabile di un governante che cerca il proprio interesse e non quello della comunità.

Perché nei nostri paesi ricchi di risorse esiste ancora la povertà? Dipende da una nostra mancanza di «umanità»? Dipende dall’egoismo e dall’incapacità dei nostri ricchi o dei nostri capi politici di uscire dal loro ego per pensare agli altri?

O forse la religione, nonostante la sua onnipresenza, è in realtà assente? Infatti tutto l’Oriente, cristiano o musulmano o druso, è religioso, o diciamo piuttosto saldamente legato alla sua comunità religiosa. La religione è presente, ma spesso Dio non è presente. Può capitare, infatti, che nonostante la fedeltà alle pratiche rituali religiose Dio sia assente. Si è religiosi, si va in chiesa o in moschea, ma si trascura il povero che è creatura e figlio di Dio. Le elemosine sono certamente frequenti. Alcuni costruiscono anche una chiesa o una moschea. I nostri paesi e le nostre società, dove esistono molte ricchezze e molti poveri al tempo stesso, hanno bisogno di ben più di questo. Non hanno bisogno solo di elemosine, ma di giustizia sociale, di un’economia giusta che assicuri la dignità umana a ognuno.

La povertà nei nostri paesi ricorda a tutti coloro che hanno grandi patrimoni, ai governanti, ai responsabili dell’economia, che i nostri paesi hanno bisogno di qualcosa che va al di là dell’«elemosina». Hanno bisogno di sistemi e di piani economici in grado di distribuire e organizzare le ricchezze della nazione, e anche degli individui, affinché nessun abitante resti nel bisogno. La religione è molto presente, ma dobbiamo rendere presente Dio stesso, Dio misericordioso, il quale ci dice di aver dato a tutti la stessa dignità umana. Questo esige una migliore comprensione della religione. Questo esige capi che sappiano essere servitori, che lavorino per gli altri e assicurino una vita degna a ogni cittadino. E nessuno dica che le cose sono difficili e complicate. I responsabili facciano piuttosto uno sforzo per vedere e riconoscere che esistono intenzioni francamente cattive e mancanza di buona volontà per realizzare la giustizia sociale.

Questa questione della povertà riguarda anche le nostre Chiese, ossia tutti noi, in primo luogo pastori, vescovi, preti, religiosi e religiose. Infatti noi possiamo attivarci per reclamare e realizzare una migliore giustizia sociale. E possiamo anche dare l’esempio nel nostro modo di possedere e usare le ricchezze di questo mondo. I poveri presenti nelle nostre società ci invitano tutti, responsabili religiosi e politici, a fare un esame di coscienza sul nostro atteggiamento verso il denaro e sulla nostra azione o noncuranza di fronte al grido del povero.

La libertà

10. Ascoltate la voce degli oppressi che sono stati privati della loro libertà. «Amate la giustizia, voi giudici della terra» (Sap 1,1). Le autorità politiche hanno il dovere di formare un governo forte e garantire a tutti la sicurezza e la tranquillità. Ma non è permesso al governo, qualunque sia il regime, di diventare dittatura e tirannia. Non è permesso di umiliare la persona umana o di ucciderla in forza della sua libertà, la quale ha certamente i suoi limiti, che sono il bene delle persone e delle comunità.

Il buon governante non teme la libertà e neppure l’opposizione. Al contrario, si basa su di esse e le prende come guida per assicurare meglio il bene comune.

È certamente difficile rispettare pienamente la libertà umana. Ma chi ha accettato di governare deve essere in grado di affrontare ogni difficoltà, senza cadere nelle ingiustizie. Deve sapere come trattare la libertà delle persone senza opprimerle. Un buon governante si dimostra tale proprio attraverso la sua capacità di trattare la libertà delle persone e dei gruppi, fra cui i partiti politici e tutti coloro che si oppongono a lui con le loro idee. Non ha diritto di gettare in prigione gli intellettuali e le persone libere del popolo per il solo fatto di appartenere all’opposizione. Anche nelle prigioni, deve essere rispettata la dignità della persona umana. Non si possono correggere le differenze di opinione attraverso l’annientamento della persona umana, soggetta unicamente a Dio e non alla tirannia di un dittatore.

Di fronte alla politica mondiale

11. Vogliamo dei leader politici indipendenti dalle pressioni e dai piani esterni. Sappiamo che esistono molte pressioni di ogni sorta, che costituiscono fardelli pesanti da portare, limitano la libertà dei governanti e vanno contro il bene dei loro popoli.

Perciò abbiamo bisogno di leader politici forti. Ed è nel popolo che essi troveranno la loro forza, ma solo se ne sapranno rispettare la libertà e la dignità. Sostenuti dal loro popolo, i capi possono far fronte a tutte le pressioni esterne mondiali e alle grandi potenze che pretendono di cambiare a loro piacimento il nostro Medio Oriente.

Abbiamo bisogno di leader che, sostenuti dal loro popolo, siano in grado di tener testa ai potenti di questo mondo e di trattare con loro alla pari; essi non temeranno alcuna minaccia militare o economica.

Un popolo rispettato dai suoi leader è la loro forza e la fonte della loro libertà di decisione di fronte a ogni aggressione dall’esterno e di fronte a ogni tentativo di distruzione o di sedizione e di guerre civili, come abbiamo visto e come vediamo ancora nei nostri diversi paesi.

La regione ha bisogno di leader che siano artefici di pace per il loro paese e per i paesi vicini. Essi rifiutano ogni incitamento alla guerra che proviene loro dall’esterno, nonché le alleanze contro il bene dei loro popoli o dei paesi vicini. Vogliamo capi liberi, con le mani pulite, che possano far uscire la regione dalle sue molteplici guerre e stabilirvi una pace stabile e definitiva.

Lo stato laico

12. Noi ci aspettiamo dai nostri capi che costruiscano uno stato laico, basato sull’uguaglianza di tutti i suoi cittadini, senza discriminazione sulla base della religione o di qualsiasi altra ragione. Uno stato nel quale ogni cittadino si senta a casa propria, uguale a tutti gli altri e con le stesse opportunità di vita, governo o lavoro, indipendentemente dalla sua religione. Tutti si sentiranno fratelli nella stessa patria, con gli stessi doveri e gli stessi diritti.

Lo stato laico separa religione e stato, ma rispetta tutte le religioni e le libertà. Si sforza di comprendere meglio la questione religiosa nei nostri paesi, con le sue componenti, cristianesimo, islam e comunità druse, senza lasciare che si trasformino in confessionalismo religioso o politico. Questo richiede due cose: anzitutto noi, cristiani e musulmani e drusi, dobbiamo imparare come vivere insieme, come creare insieme lo stato moderno; e in secondo luogo dobbiamo apprendere come formare le nostre generazioni attraverso una nuova educazione basata sugli stessi principi: rispetto reciproco, collaborazione e destino comune, nel paese nel quale Dio ci ha mandati.

Per questo vogliamo leader politici che abbiano il coraggio d’intraprendere una nuova educazione alla vita politica, alla formazione della persona umana e di un nuovo cittadino. Vogliamo un’autorità che formi persone che tendono al proprio perfezionamento e a quello dei loro fratelli e di tutta la patria. Cittadini e credenti che non sono chiusi in sé stessi, ma sono aperti e capaci di abbracciare tutti i loro fratelli e sorelle e il mondo intero.

I capi religiosi

13. Noi vogliamo capi religiosi che abbiano visioni nuove, capi religiosi cristiani, musulmani e drusi uniti dalla fede in Dio uno e unico, misericordioso, amico degli uomini. Capi che collaborino e si sforzino di formare dei credenti che si amano gli uni gli altri, quale che sia la rispettiva religione.

Condanniamo le guerre religiose del passato, le lasciamo alla storia e per esse chiediamo perdono a Dio. Gli chiediamo d’illuminarci per configurare insieme la nostra nuova storia e di darci la forza di camminare nella sua luce e nella sua misericordia, affinché la religione resti, a immagine di Dio stesso, una religione di amore e di misericordia per tutte le sue creature.

Nella nostra realtà quotidiana esistono dialogo e accettazione reciproca. Ma esiste anche il contrario. Continuano a esistere correnti religiose contrarie alla collaborazione e all’uguaglianza fra i credenti di religioni diverse. C’è un rifiuto dello stato laico e dell’uguaglianza dei cittadini. Nel cuore di molte persone si trovano ancora l’estremismo religioso e l’esclusione. Le nostre ferite in Iraq e in Siria sono ancora aperte. Gli attacchi contro le chiese in Egitto continuano a ripetersi. Esistono ancora fra noi fanatismi religiosi che separano i credenti in nome di Dio, che è uno e unico e ama tutte le sue creature indipendentemente dalla religione alla quale appartengono. Vi sono anche quelli che uccidono in nome di Dio.

Nei cuori di alcuni cristiani si è formata anche una reazione di carattere confessionale, che non è cristiana ed evidenzia un sentimento di disperazione e di rifiuto dell’altro.

Di fronte a queste realtà noi ci fermiamo, riflettiamo e ci facciamo un esame di coscienza per ridefinire insieme i nostri atteggiamenti e rinnovare la nostra fede in Dio, che è amore e misericordia. Rinnoviamo il nostro amore per Dio e gli uni per gli altri. Decidiamo di cambiare i vecchi comportamenti che dividono e li sostituiamo con l’amicizia e il rispetto reciproco.

Anche i capi religiosi sono «servitori» degli altri e non di loro stessi. Essi camminano e guidano i credenti nelle vie di Dio, ossia l’amore e la misericordia. Hanno la responsabilità della formazione di persone umane nuove, forti, misericordiose, amanti di ogni uomo, di ogni religione. Possono formare una generazione di credenti che danno la vita e non la morte; possono formare credenti sinceri, misericordiosi e non omicidi.

L’amore del capo religioso abbraccia certamente i credenti della sua comunità, ma si spinge oltre, perché l’amore non ha confini, è universale come l’amore che Dio ha per tutta la sua creazione. Il nostro Medio Oriente, saturo di sangue e di morte, ha bisogno di capi religiosi che lo guidino nelle vie della vita. Abbiamo bisogno anche di capi religiosi che abbiano il coraggio di resistere a tutte le forze di discriminazione e di morte, che ancora operano nelle nostre società, sia che provengano da noi stessi sia che provengano dall’esterno o da correnti che hanno un grande potere di distruzione.

Abbiamo bisogno di capi religiosi in grado di compatire le sofferenze di tutti, di portarle in loro stessi e di insegnare che le sofferenze non sono per la morte, ma sono una strada verso una vita nuova, sull’esempio della croce di nostro Signore Gesù Cristo, che fu un percorso dalla morte alla risurrezione. Tutta la vita umana ha un carattere pasquale; essa è un continuo passaggio da ogni forma di morte alla vita; è una continua vittoria sul peccato e sul male fino a giungere alla vita nuova.

I capi religiosi devono lasciare allo stato la sua indipendenza nel suo ambito. Devono insegnare e richiamare i grandi principi della morale. Attraverso il loro insegnamento devono sostenere lo stato in ogni azione giusta che conduce a una vita degna e tranquilla della comunità. Devono alzare la voce per difendere i poveri, gli oppressi. Devono andare in cerca di tutte le persone oppresse o bisognose per rendere loro giustizia e assicurare loro una vita degna. Devono difendere la libertà e insegnare al tempo stesso ai credenti come usare la loro libertà non per discriminare, non per arrecare pregiudizio alla società e opprimere, ma per costruire insieme.

Una nuova educazione

14. Quanto siamo venuti dicendo dimostra che abbiamo bisogno di una nuova educazione per formare un essere umano nuovo. La responsabilità tocca allo stato, come anche alla chiesa e alla moschea. Ogni capo religioso, in ogni religione, ne è responsabile. Abbiamo bisogno di una nuova educazione basata sulla misericordia e sull’amore, sull’uguaglianza e sulla pari dignità data da Dio a tutti.

Quando riusciremo a formare un uomo nuovo, formeremo anche un credente nuovo, capace di vedere Dio creatore, misericordioso e amico degli uomini. Così nascerà anche una nuova società basata sulla giustizia, sulla libertà e sulla collaborazione. Con un uomo nuovo nascerà uno stato nuovo per tutti i suoi cittadini, quale che sia la loro religione.

Un’educazione religiosa sana, per il cristiano e per il musulmano, ciascuno nella sua religione, rende possibile un progetto nazionale nuovo nel quale tutti e ciascuno sono ugualmente uomini e cittadini, tutti credenti e ciascuno fedele alla sua religione. Un progetto nazionale crea una patria per tutti e al di sopra di tutti. È uno slogan che sentiamo ripetere spesso, ma che finora non abbiamo saputo realizzare. L’unione e l’uguaglianza non sono ancora sufficientemente realizzate. Esistono ancora fra noi discriminazioni o privilegi tra i cittadini a motivo della religione o della libertà. Nei nostri paesi addirittura esistono ancora ingiustizie, delitti, torture in detenzione per chi rivendica la libertà. Dobbiamo ricordare i mali che ancora esistono, per non dimenticare che non abbiamo ancora raggiunto la perfezione. Abbiamo ancora molto lavoro da fare per educare, formare e purificare.

Chi educa? Chi forma l’uomo nuovo?

15. Siamo paesi «religiosi». La religione ci ha divisi in passato e in alcuni casi e luoghi continua tuttora a dividerci. Perciò, come abbiamo già detto, i leader religiosi hanno la responsabilità di lavorare alla nuova educazione. Infatti o assicuriamo una formazione sincera, che dica chiaramente a ogni uomo e donna che ogni credente, anche di una religione diversa, è suo fratello e sua sorella, e tutti i cittadini sono fratelli e sorelle, oppure continueremo a dire che non siamo tutti uguali e che «tu sei migliore di tuo fratello». Questa è stata l’educazione religiosa impartita fino a ora, ed è stata per ciò stesso un terreno fertile per le discordie, le guerre civili e l’oppressione di chi fosse per un aspetto o per l’altro diverso.

Abbiamo bisogno di una nuova educazione religiosa e civile che dica a ognuno: tu sei anzitutto una persona umana, creata da Dio, e ogni altra persona diversa da te è, come te, creatura di Dio. Per la creazione noi siamo tutti fratelli e sorelle. E in patria siamo tutti uguali.

Abbiamo bisogno di un’educazione religiosa che ricordi sempre il comandamento di Cristo: «Amatevi gli uni gli altri» (cf. Gv 13,34) senza limiti. Gesù non dice: amate i vostri fratelli che credono come voi, dice: «Amatevi gli uni gli altri… amate il vostro prossimo come voi stessi» (cf. Gv 12,15; Gal 5,14). Il «prossimo» è ogni persona umana, senza limiti e senza classificazione.

Il capo religioso ha un ruolo determinante da svolgere in questa nuova educazione. È lui infatti a ispirare gli atteggiamenti assunti in famiglia, nella scuola e nella società. L’educazione in famiglia ha bisogno di purificarsi da ogni atteggiamento che rifiuta chi è diverso nella sua religione e dai pregiudizi del passato, trasmessi di generazione in generazione. La famiglia deve passare per una fase di purificazione, di cambiamento di mentalità e di comportamenti verso l’altro.

In tutta la società bisogna operare una conversione. I massacri, le guerre civili e le crudeltà degli ultimi anni non sono ancora terminati, e tutto questo richiede purificazione, conversione e un passaggio dalla morte alla vita.

Vi sono ancora persone che uccidono in nome di Dio, o che educano potenziali assassini basandosi su vecchi metodi educativi. Anch’essi per parte loro devono cambiare, per poter acquisire uno spirito nuovo ed educare uomini e donne capaci di amare e rispettare tutti quelli che professano una religione diversa.

Anche le nostre scuole private e pubbliche, le nostre università e i mezzi di comunicazione sono responsabili della nuova educazione, che dice a tutti: siamo tutti uguali in umanità e nella dignità che Dio ci ha dato. I responsabili delle scuole private e pubbliche devono chiedersi: che tipo di credente, cristiano o musulmano o druso, stiamo preparando? Che tipo di cittadino e che futuro prepariamo per il paese? Stiamo costruendo una società unita, compatta, nonostante le differenze religiose o partitiche, o stiamo alimentando il confessionalismo religioso o politico e preparando guerre civili in nome di Dio o del partito?

Che tipo di credenti vogliamo? Vogliamo credenti e cittadini forti e fraterni, che non opprimono nessuno e non si lasciano opprimere da nessuno. Credenti la cui forza sta nella loro capacità di amare e di opporsi a ogni aggressione contro loro stessi o contro gli altri.

III. Che cosa diciamo ai leader occidentali?

L’Occidente e la distruzione del Medio Oriente

16. Cominciamo con il distinguere i diversi volti dell’Occidente. In Occidente esistono popoli buoni e amici, civiltà antiche, molte realizzazioni umanitarie mondiali e molteplici organizzazioni di beneficenza e per lo sviluppo. Esistono anche Chiese amiche, la cui carità giunge fino a noi grazie alla loro solidarietà spirituale e materiale.

Ma in questo stesso Occidente (Europa e Stati Uniti d’America) esistono anche responsabili politici che prendono decisioni, che riguardano il Medio Oriente e tutti i nostri paesi, basate sui loro interessi economici e strategici a spese degli interessi dei nostri paesi. Indubbiamente i nostri popoli esigono delle riforme e un modo di vivere migliore, ma tra le loro attese non vi sono certamente le distruzioni causate in questi ultimi anni dalle ingerenze esterne.

L’umanità e i popoli della regione sono stati sacrificati, e lo sono tuttora, a favore degli interessi stranieri. Quasi tutti i nostri paesi sono passati per una fase di distruzione dovuta a forze interne, ma sostenute o pianificate anche da forze esterne. Questo è cominciato con la distruzione dell’Iraq e poi della Siria, e con l’indebolimento dell’Egitto. La Giordania e il Libano vivono sotto una minaccia permanente. Si sono creati dei conflitti o delle alleanze nello Yemen, nel Bahrein, in Arabia Saudita e nei paesi del Golfo. E si sta preparando una guerra contro l’Iran. Ecco la realtà nella quale viviamo attualmente.

Questa politica di distruzione in Medio Oriente, guidata dall’Occidente, è anche la causa della morte e dell’emigrazione forzata di milioni di persone dai nostri paesi, compresi i cristiani.

Come conseguenza di questa politica è sorto il terrorismo e si è stabilito nei nostri paesi, prima di rivolgersi contro quello stesso Occidente che lo ha partorito. Il terrorismo è nato perché coloro che fanno la politica in Occidente sono ricorsi a esso come strumento efficace per cambiare il volto dell’Oriente. Con i loro alleati, nella regione, hanno creato lo Stato islamico, l’ISIS, con materiale umano locale, sfruttando l’estremismo religioso esistente e una comprensione deformata della religione. In altri termini hanno colpito le persone attraverso la loro propria religione. Con l’ISIS il terrorismo religioso ha raggiunto i limiti estremi della crudeltà e della disumanità.

Riguardo a questa distruzione che ha colpito l’Oriente, in Occidente molti, fra cui gli stessi politici, dicono che gli estremisti musulmani hanno ucciso i cristiani e il cristianesimo in Oriente sta scomparendo. L’immagine apparente e i fatti sembrano confermare ciò che dicono, ma in realtà gli estremisti musulmani che hanno ucciso dei cristiani hanno ucciso anche musulmani (sunniti e sciiti), yazidi, alawiti, drusi e tutti coloro che si opponevano loro. Tuttavia i veri assassini sono coloro che prendono le decisioni in Occidente, i quali, con i loro alleati nella regione, vogliono creare un nuovo Medio Oriente in conformità con le loro visioni e i loro interessi.

È vero che in Occidente i popoli amici hanno alzato la voce ed espresso la loro solidarietà con noi, e lo stesso hanno fatto le Chiese, ma per coloro che fanno la politica del Medio Oriente, noi, i cristiani, non esistiamo. A loro poco importa della nostra vita o della nostra morte. Perciò il pericolo che ci minaccia non è il fatto che Dio abbia voluto che noi, musulmani e cristiani, vivessimo insieme, nei nostri paesi. Il vero pericolo è l’Occidente politico, il quale pensa di essere autorizzato, per assicurare i suoi interessi, a distruggere i nostri paesi e a riorganizzarli a suo piacimento.

Appello: Israele e la pace nella regione

17. Chiediamo ai nostri popoli, alle Chiese e agli uomini e alle donne di buona volontà in Occidente di aprire gli occhi per vedere la tragedia creata nei nostri paesi dai loro leader, che continua tuttora a seminare la morte in mezzo a noi. Aprite gli occhi, comprendete ciò che avviene e correggete il male presente.

Ci rivolgiamo a coloro che prendono le decisioni. Vi chiediamo di cambiare la vostra visione e i vostri metodi d’azione. Invece di indebolire e distruggere la regione, trattate con i popoli, rispettando la loro dignità e la loro libertà, e imboccate la strada della vita e non della morte.

Lo Stato di Israele, se vuole sopravvivere e se l’Occidente vuole che sopravviva in mezzo a noi, deve soddisfare una sola semplice condizione: non volerlo fare a spese del popolo palestinese. L’amicizia del popolo palestinese con Israele è la porta della salvezza e della sopravvivenza dello Stato di Israele, e una condizione necessaria per una vera pace nella regione. E l’amicizia del popolo palestinese non è una cosa difficile. Essa chiede di trattare con lui sulla base della giustizia, dell’uguaglianza, delle risoluzioni internazionali e delle «esigenze» palestinesi, che sono il minimo che un popolo possa chiedere per esistere sulla sua terra. I palestinesi hanno riconosciuto lo Stato di Israele; ora quest’ultimo riconosca lo Stato palestinese sul restante 22% della sua terra, compresa Gerusalemme Est.

Considerate Gerusalemme città santa. Non trasformatela in una città di guerra. Essa è città santa per tre religioni e capitale per due popoli. Coloro che amano Gerusalemme ne fanno una città di pace. Ridate la pace a Gerusalemme, alla Palestina, a Israele e a tutta la regione.

Quanto a noi cristiani, il nostro futuro dipende dal futuro che voi decidete per la nostra regione. La nostra sorte è comune. La pace e la sopravvivenza dei nostri popoli sarà la nostra vita e la loro morte sarà la nostra morte, com’è avvenuto in questi ultimi anni.

Vivere insieme, cristiani e musulmani, è una questione che ci riguarda. Ma voi, che prendete le decisioni in Occidente, non sfruttate più l’estremismo religioso per seminare la discordia fra i popoli di questa regione e non incitate più un popolo contro l’altro, come accade oggi.

Conclusione

Come noi, cristiani del Medio Oriente,vediamo la nostra realtà

18. I cristiani d’Oriente sono parte integrante dell’Oriente con tutte le sue componenti. Non siamo un popolo o dei resti di popoli da isolare e separare nei nostri paesi. Cristiani d’Oriente, siamo oggi ciò che sono i nostri paesi e ciò che la storia ha fatto di noi nel corso di 15 secoli, a partire dall’VIII secolo. Siamo arabi e siamo i discendenti di molteplici civiltà antiche: assira, caldea, siriaca, copta, armena e bizantina. Abbiamo vissuto e viviamo ancora nei paesi arabi, che sono le nostre patrie. Con i musulmani formiamo un’unica patria e un’unica società.

E come abbiamo già detto, vivere insieme, musulmani e cristiani, è la volontà di Dio per noi. Insieme siamo una parte essenziale della regione e del suo destino.

La questione cristiana, o il futuro dei cristiani, non è quindi solo una questione cristiana, ma una questione che riguarda l’intera regione, i suoi cristiani, i suoi musulmani e i suoi drusi.

L’ISIS, introdotto dallo stesso Occidente, ha sconvolto la situazione e le visioni. Attualmente sembra che l’ISIS abbia concluso il mandato che gli è stato assegnato da coloro che lo hanno creato, perché la distruzione generale è ormai missione compiuta. Sul terreno l’ISIS sta scomparendo, ma vi ha lasciato tracce profonde nelle menti. Ha lasciato una tensione quasi mistica che spinge a combattere l’infedele in tutti i modi possibili, chiunque esso sia e in ogni luogo, da noi come in Occidente, che lo ha appoggiato solo per demolire l’Oriente. L’Occidente si trova a essere vittima della sua propria politica.

Da noi questo spirito non cessa di destabilizzare l’equilibrio relativo costruito nel corso dei secoli. Dopo l’ISIS, noi musulmani e cristiani nella regione ci troviamo davanti a una sfida comune. Insieme vi facciamo fronte. Insieme vediamo la necessità di una nuova educazione umana, civica e religiosa, basata sulla fede in Dio e sul fatto che ogni persona umana è creatura di Dio.

A chi indirizziamo questa lettera?

19. Indirizziamo questa lettera ai nostri fedeli, a tutti i nostri concittadini, cristiani, musulmani e drusi, all’Occidente politico e a Israele.

Ai nostri fedeli ripetiamo: restate saldi nella vostra fede e nelle vostre patrie. Contribuite alla loro costruzione, sia che vi restiate sia che siate costretti a lasciarle. Noi siamo un’infima minoranza. Ma Cristo ci dice sempre che siamo «sale, luce e lievito», e noi siamo una Chiesa di martiri. Credete, amate – come Dio ama – tutta la sua creazione. Siate dei credenti forti per il vostro amore, e siate dei costruttori della vostra patria insieme a tutti i vostri compatrioti, partecipando alle sofferenze e ai sacrifici per assicurarvi la prosperità e la vita. Siate il cuore dei vostri paesi, artefici della storia di ognuno di essi, quale che sia la crudeltà dei tempi e degli uomini.

Alla vostra domanda: «Davanti alla morte come dobbiamo comportarci?», noi rispondiamo: i nostri martiri hanno dato la loro vita per la gloria di Dio e per più amore e umanità nei nostri paesi, diventati terre di morte e di assassini. I nostri martiri hanno sparso il loro sangue affinché, per la forza e il merito del loro sangue, anche gli assassini, vicini o lontani e nascosti, possano ritrovare la loro umanità, come Dio li ha creati, capaci di amare, non di uccidere.

Infine i nostri martiri ci invitano ad ascoltare le parole di Cristo redentore che ci guida e ci conferma nella nostra fede: «Nel mondo avete tribolazioni, ma abbiate coraggio: io ho vinto il mondo! … Non sia turbato il vostro cuore e non abbia timore» (Gv 16,33; 14,27).

A noi stessi, cristiani, musulmani e drusi, ripetiamo e confermiamo che la volontà di Dio per noi è di vivere insieme e di continuare a cercare le strade migliori per vivere insieme, pienamente consapevoli di essere sempre in cammino e del fatto che la strada davanti a noi è ancora lunga.

Invitiamo cristiani, musulmani e drusi ad assumere ognuno la propria responsabilità nella ricostruzione dei nostri paesi e nel modo di trattare con l’Occidente, resistendo alla distruzione e alle divisioni che ci si vuole imporre.

Ripetiamo la necessità di rinnovare l’educazione religiosa, nella famiglia, nella scuola e nella parrocchia, affinché formi persone aperte in grado di vedere Dio e tutti i figli di Dio, in ogni religione.

Anche i capi religiosi musulmani e drusi hanno un ruolo fondamentale nella ricostruzione. Essi devono lavorare per porre rimedio alle cause della mentalità religiosa estremista e per rinnovare il discorso religioso. Hanno il dovere di assicurare un’educazione che miri a formare la persona umana nuova e a promuovere lo spirito di condivisione, amicizia e rispetto del pluralismo religioso e intellettuale.

In questa nuova fase della nostra storia, desideriamo vedere realizzata la fraternità fra i musulmani nei paesi dell’islam. Ne attendiamo un messaggio comune rivolto al mondo arabo, musulmano e cristiano, e a tutto l’Occidente. Un messaggio che rechi una visione nuova e una vita nuova richieste dalla nuova fase storica che stiamo vivendo.

È tempo che insieme, cristiani, musulmani e drusi, prendiamo in mano il nostro destino, confermiamo la nostra unione e la nostra collaborazione, di fronte ai piani politici esterni e di fronte a un passato che ha conosciuto il rifiuto dell’altro e al quale purtroppo alcuni restano ancora aggrappati.

È tempo di diventare credenti e cittadini che vedono Dio e tutti i nostri fratelli come Dio li vede e li abbraccia nel suo amore e nella sua misericordia.

All’Occidente politico e a Israele ripetiamo che vivere insieme è possibile. Se continuate sulla strada della morte, la morte finirà per inghiottirci tutti, voi e noi.

Cambiate la vostra politica di distruzione verso i nostri paesi e verso noi cristiani d’Oriente. Abbiate visioni nuove, di vita e di rispetto per i popoli della regione. La vita è possibile. La pace è possibile. Uscite dai vostri interessi per vedere anche voi Dio che vi ha creati e vi chiama a rispettare i popoli.

Infine, la pace a Gerusalemme e in Palestina-Israele è la chiave della pace nella regione e anche per l’Occidente. La pace è possibile se le intenzioni sono sincere e se c’è la volontà di fare la pace.

Noi abbiamo bisogno di un Medio Oriente nuovo, non fatto da altri ma da noi stessi e che non consiste nel cambiare o spostare i confini o i popoli, ma nel rinnovare i cuori.

L’Oriente sarà rinnovato dai suoi popoli senza che l’Occidente imponga loro i suoi piani. Un Oriente fatto dai suoi figli, padroni a casa loro, musulmani, cristiani e drusi. Tutti uguali, senza che nessuno imponga il suo dominio sull’altro a livello religioso, politico o militare.

In questo progetto, i cristiani offrono, come gli altri, il loro contributo per la nuova creazione, per un mondo nuovo nel quale abbondano il bene, la ragione, l’amore e la collaborazione fra tutti i cittadini e con i paesi del mondo.

Per questo preghiamo: «Signore, manda il tuo Spirito e rinnova la faccia della nostra terra» (cf. Sal 104,30) e cambia i cuori degli uomini.

In questo tempo di Pentecoste, domandiamo a Dio di colmarci tutti del suo Spirito, di ispirarci tutti, cristiani, musulmani e drusi, insieme con l’Occidente e con Israele, in modo che diventiamo tutti artefici di pace e costruttori di un’umanità animata dall’amore, in Medio Oriente e nel mondo intero.

«Signore, manda il tuo Spirito e rinnova la faccia della nostra terra».

Seguono le firme*

* Ibrahim Isaac Sedrak, patriarca di Alessandria dei copti; Mar Béchara Boutros card. Raï, patriarca di Antiochia dei maroniti; Ignace Youssif III Younan, patriarca di Antiochia dei siri; Joseph Absi, patriarca di Antiochia dei greco-melkiti; Mar Louis Raphaël Sako, patriarca di Baghdad (Babilonia) dei caldei; Grégoire Pierre XX Ghabroyan, patriarca di Cilicia degli armeni; William Shomali, rappresentante di mons. Pierbattista Pizzaballa, amministratore apostolico del Patriarcato latino di Gerusalemme.

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