In seguito al report del gran giurì della Pennsylvania il 17 agosto un gruppo di teologi, educatori, parrocchiani e laici cattolici statunitensi ha pubblicato una petizione ai vescovi americani chiedendo loro di rassegnare collettivamente le dimissioni a papa Francesco, quale primo passo per poter sanare la dimensione strutturale e sistemica degli abusi sessuali nella Chiesa cattolica degli Stati Uniti. A oggi, mercoledì 22 agosto, più di 4400 persone hanno firmato il testo di questa dichiarazione (versione originale in inglese e spagnolo, qui).
Ha spiegato la potenza del suo braccio,
ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore;
ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili (Lc 1,51-52)
Martedì 14 agosto il procuratore generale della Pennsylvania, Josh Shapiro, ha reso pubblico un ampio report di un gran giurì che documenta l’abuso sessuale di oltre mille bambini per mano di 301 preti appartenenti a sei diocesi della Pennsylvania. Il documento riporta, con chiarezza nauseante, sette decenni di abuso sessuale e di insabbiamenti o occultamenti da parte dei vescovi e altre persone in posizione di potere.
Questo report si aggiunge alla scia delle rivelazioni del mese scorso concernenti decenni di violenza sessuale perpetrata dal card. Theodore McCarrick e si pone nella lunga ombra gettata dalla crisi degli abusi sessuali nella diocesi di Boston e altrove.
I crimini presentati nel report del gran giurì inducono un orrore oltre ogni possibile espressione. Il report sintetizza la situazione nei seguenti termini: «Preti violentavano bambini e bambine, e gli uomini di Dio che erano responsabili non solo non fecero nulla ma nascosero ogni cosa. Per decenni».
Non possiamo che inginocchiarci con disgusto e vergogna per gli abomini che questi preti hanno compiuto contro bambini innocenti. In egual misura siamo disgustati dalla cospirazione al silenzio che regna tra i vescovi, i quali hanno violato le ferite delle vittime considerandole meri danni collaterali per garantirsi così auto-protezione e mantenimento del potere. È chiaro che è stata la complicità di coloro che detenevano il potere a permettere che questo male radicale potesse fruttificare impunemente.
Oggi chiediamo ai vescovi cattolici degli Stati Uniti di considerare, in atteggiamento di preghiera e con animo genuino, di rassegnare collettivamente a papa Francesco le loro dimissioni – questo come atto pubblico di contrizione, pentimento e lamentazione davanti a Dio e al popolo di Dio.
Li sollecitiamo a seguire l’esempio dei 34 vescovi del Cile che, nel maggio di quest’anno, hanno offerto le loro dimissioni collettive dopo che erano diventati noti i fatti di estesi abusi sessuali e di corruzione. Attraverso un discernimento prudente papa Francesco ha finora accettato tre di queste 34 dimissioni.
Si dovrebbe considerare il fatto che la media tra cattolici partecipanti e vescovi negli Stati Uniti è quasi la stessa di quella cilena, e che l’ampiezza geografica della crisi nel nostro paese sembra superare quella del Cile.
Dopo anni di soffocamento della verità, la decisione senza riserve delle dimissioni dei vescovi cileni ha mandato ai fedeli un messaggio che i cattolici degli Stati Uniti devono sentire adesso. Con grave urgenza dobbiamo ora testimoniare: abbiamo causato questa devastazione; abbiamo permesso che essa si perpetuasse; ci rimettiamo al giudizio in compenso di quello che abbiamo fatto e di ciò che non abbiamo intrapreso.
Alcuni potrebbero pensare che le dimissioni di tutti i vescovi sarebbe qualcosa di non giustificato in vista di un cammino di guarigione. Dopo tutto, molti vescovi sono davvero umili servi e pastori ben intenzionati. Questo è qualcosa che noi riconosciamo, ma che non possiamo accettare.
L’ampiezza catastrofica e la magnitudine storica degli abusi rende chiaro il fatto che non si tratta di «poche mele marce», ma di un’ingiustizia radicale sistemica manifestata a ogni livello della Chiesa. Il peccato strutturale non può essere eliminato dalla buona volontà individuale. Le ferite che ha provocato non vengono guarite da dichiarazioni, indagini interne e campagne di pubbliche relazioni, ma solo attraverso l’assunzione di una responsabilità collettiva, la trasparenza e il dire la verità.
Siamo responsabili per la casa in cui viviamo, anche se non l’abbiamo costruita noi. Questa è la ragione per cui chiediamo ai vescovi statunitensi di rassegnare collettivamente le loro dimissioni, riconoscendo così la natura strutturale di questo male.
Se vogliamo dire «mai più» rispetto a quest’epidemia catastrofica di violenza sessuale nella Chiesa, allora è necessario mettere mano a cambiamenti strutturali su un piano precedentemente inimmaginabile. Molti hanno espresso proposte adeguate al fine di mettere in campo riforme specifiche che potrebbero iniziare a convertire questa cultura ecclesiale di violenza in una cultura di trasparenza, responsabilità, umiltà, sicurezza e fiducia meritata.
Si tratta di proposte che sosteniamo con convinzione, a partire da quella di indagini esterne su ogni provincia ecclesiastica degli Stati Uniti – in maniera simile a quella condotta in Pennsylvania. Al tempo stesso, riconosciamo che il dire la verità e il pentimento sono dei prerequisiti in vista della conversione. Questo vale per la conversione istituzionale come per quella personale.
Come corpo collettivo, i vescovi hanno dato ben pochi segni ai fedeli del fatto che essi riconoscono e si accollano la responsabilità per l’inusitata magnitudine di violenza e disonestà che si è protratta senza limite sotto la loro guida. Per questo chiediamo loro di seguire l’esempio di Cristo e offrire al popolo un segno volontario di rinuncia a uno status terreno. Questo è un atto pubblico di penitenza e di dolore senza il quale non si può dare inizio ad alcun processo genuino di guarigione e riforma.
Noi, firmatari di questo testo, insegniamo in scuole, college, università e programmi superiori di studi cattolici. Lavoriamo nelle parrocchie, nei centri per ritiri spirituali e negli uffici diocesani. Siamo parrocchiani, ministri laici, catechisti, responsabili per la musica nella liturgia, lavoriamo nell’ambito sociale della pastorale, con i giovani e i giovani adulti, siamo cappellani, impiegati parrocchiali, difensori civici, studenti, insegnanti, professori, bibliotecari e ricercatori. Siamo madri e padri, zie e zii, figli e figlie, religiose e religiosi.
Siamo battezzati.
Siamo solidali con le migliaia di vittime, note e sconosciute, che sono state violentate, abusate, manipolate, traumatizzate e deumanizzate da preti rapaci, protetti dal voluto silenzio di molti vescovi. Noi siamo vicino a coloro che, in ragione di ciò, sono stati portati all’alcolismo e alla dipendenza da droghe, alla malattia mentale e al suicidio. Noi sentiamo dolore insieme alle loro famiglie e comunità.
Noi sentiamo dolore in modo diverso, ma non meno profondo, per i nostri studenti, figli, famiglie, genitori, nonni, amici, vicini, e tutti coloro che amiamo e hanno abbandonato, o abbandoneranno, la Chiesa perché hanno trovato che i loro pastori non sono degni di fiducia. Noi sentiamo dolore per le nostre parrocchie, comunità, scuole e diocesi. Noi proviamo dolore per la nostra Chiesa.
La richiesta che abbiamo fatto oggi non è né liberale né conservatrice. Non proviene da nessuna fazione o ideologia particolare, ma dal cuore di una Chiesa ferita. È un’espressione della nostra fedeltà alle vittime, a Gesù Cristo, alla Chiesa al servizio della quale abbiamo dedicato le nostre vite.
Per questo chiediamo a voi, vescovi degli Stati Uniti, di prendere in considerazione quest’umile atto pubblico di penitenza e di compierlo in nome di tutti noi. Che possa essere il primo di molti passi verso la giustizia, la trasparenza e la conversione. Solo allora potrà iniziare il tortuoso cammino di guarigione.
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