Lo scorso venerdì 31 marzo, ultimo giorno della loro assemblea plenaria, i vescovi francesi si sono espressi favorevolmente all’apertura della causa per la possibile beatificazione del cardinale Henri de Lubac (1896-1991), gesuita, senza dubbio uno dei maggiori teologi del secolo scorso, che accettò di divenire cardinale a condizione di non essere ordinato vescovo (nel 1983). In una breve intervista rilasciata a La Croix, il teologo gesuita Michel Fédou ha tratteggiato gli aspetti rilevanti e più attuali dell’opera di Henri de Lubac.
- Qual è il contributo teologico del cardinale de Lubac?
Questo contributo si trova innanzitutto in Catholicisme, opera pubblicata nel 1938, che rappresenta in un certo senso il primo passo del suo percorso. Henri de Lubac non ha proceduto, come si era soliti fare, commentando le tesi di san Tommaso d’Aquino o dei commentatori di san Tommaso. Ha scelto una strada diversa, facendo ricorso in particolare ai testi dei Padri della Chiesa (che egli pubblicherà, fondando la collana «Sources chrétiennes» insieme al confratello Jean Daniélou), ma anche agli autori medievali.
De Lubac si è preoccupato di radicare la teologia nella grande tradizione della Chiesa, nella sua continuità attraverso i secoli, dai pensatori dei primi secoli agli autori spirituali contemporanei.
In Catholicisme sottolinea la dimensione sociale del cristianesimo, nel senso che è portatore di un messaggio destinato a ogni essere umano. Sottolinea anche la dimensione storica del cristianesimo, basata su un evento accaduto nella storia: la nascita, la vita, la morte e la risurrezione di Cristo.
- E il suo approccio al mistero della Chiesa?
Anche in questo caso, il suo fu un approccio originale per l’epoca. De Lubac pubblicò la sua Méditation sur l’Église nel 1953, tre anni dopo che gli era stata tolta la facoltà di insegnare. Nella sua Méditation egli rende un vero e proprio tributo alla Chiesa. Si preoccupa di dimostrare come ella sia, a un tempo, istituzione e mistero.
La Chiesa ha, in effetti, una dimensione istituzionale con le sue pesantezze, i suoi limiti e i suoi fallimenti. Ma questa istituzione incarna allo stesso tempo, in modo inseparabile, un mistero: è nella Chiesa che Cristo si comunica e si rende presente oggi.
De Lubac definisce la Chiesa il «sacramento di Gesù Cristo». E diffonde l’uso di una formula fortunata: «Non è solo la Chiesa che fa l’eucaristia, è anche l’eucaristia che fa la Chiesa». Fino ad allora, infatti, si sottolineava soprattutto che la Chiesa celebra i sacramenti, dimenticando l’altro fondamentale aspetto: che i sacramenti contribuiscono a «fare la Chiesa», perché è attraverso di essi che i battezzati diventano un unico corpo.
- Cosa ha causato la revoca della facoltà di insegnare?
Il suo libro Surnaturel, pubblicato nel 1946, gli ha procurato critiche, contestazioni e grandi tormenti. De Lubac riteneva che gli esseri umani, fin dalla loro creazione, fossero abitati da una chiamata: la vocazione a conoscere Dio e ad amarlo. A quel tempo, i teologi affermavano, invece, che l’essere umano era effettivamente creato da Dio, ma che la vocazione soprannaturale a entrare in comunione con Lui non sarebbe originaria, ma sopraggiunta in un secondo momento. Si intendeva così preservare la gratuità del dono di Dio: niente e nessuno doveva obbligarlo a stabilire una comunione perfetta con l’essere umano.
Il divieto di insegnare colpì de Lubac e altri quattro teologi nel giugno 1950. Ne rimase profondamente ferito e mortificato. Per questa ragione, l’invito successivo di papa Giovanni XXIII a partecipare al Concilio Vaticano II come perito fu vissuto da de Lubac come una riabilitazione. A partire dagli anni Sessanta, la sua opera è stata poi riconosciuta sempre meglio nel suo grande valore.
- Henri de Lubac difendeva il dialogo con il mondo moderno…
Lo si può affermare con certezza. Egli si preoccupava di come il cristianesimo avrebbe potuto affrontare la sfida dell’umanesimo ateo, incarnato in particolare dalle filosofie di Nietzsche e Feuerbach. Non era interessato a una teologia senza tempo, ma al posto e al significato del cristianesimo nell’epoca contemporanea. Significava dunque per lui confrontarsi con l’ateismo e con altre religioni, in particolare il buddhismo, al quale ha dedicato tre libri. Era anche attento allo sviluppo della riflessione sulle scienze. Fece conoscere e riabilitò l’opera del paleontologo Teilhard de Chardin, anch’egli gesuita e sospettato da Roma. Ammirava il suo approccio audace, che cercava di conciliare la fede cristiana con i dati della scienza moderna, in particolare quelli relativi alle teorie dell’evoluzione.
- Padre de Lubac ha ancora qualcosa da dire a noi oggi?
La questione del soprannaturale si pone ancora. Oggi non è raro incontrare chi ritiene che sia possibile condurre una vita umana senza alcun riferimento a Dio… Per questo de Lubac non smette di interrogarci: l’essere umano può davvero realizzare pienamente la sua vocazione senza una relazione significativa con Dio? E poi ancora, di fronte alla crisi degli abusi nella Chiesa, si può essere tentati di rompere con l’istituzione. Ma la vita e l’opera di Henri de Lubac ci offrono una testimonianza luminosa di grande amore per la Chiesa e di fedeltà ad essa.
Esulto nel Signore per questa notizia. Padre Henry è già certamente in Paradiso. Quanto bene ho ricevuto meditando il mistero del soprannaturale, le Meditazioni sulla Chiesa e Cattolicismo. Gesù lo proclami Santo anche in terra perché tanti si accostino a questa ricchissima fonte
Grazie per questa importante testimonianza che illustra bene quanto sia attuale il pensiero di Henri de Lubac.
Che bella notizia! De Lubac è un teologo che adoro (e ho letto con piacere). Faccio solo notare che è un teologo che ispira il magistero di papa Francesco. Cfr. https://iltuttonelframmento.blogspot.com/2019/07/un-teologo-amato-da-papa-francesco.html. Applaudo all’iniziativa intrapresa da vescovi francesi!