Ho letto con attenzione la dichiarazione Dignitas infinita, a firma del Prefetto per la dottrina della fede del 25 marzo 2024. Un testo che ha avuto un lungo iter di elaborazione (dal 2019 al 2024), passando per varie fasi di scrittura: fino alla stesura finale «resa necessaria per andare incontro ad una specifica richiesta del Santo Padre» (Dalla presentazione).
La dottrina e la realtà
Da apprezzare lo sguardo allargato alla dignità della persona, offesa negli ambiti personali, di gruppo e di popoli. Sono rimasto colpito dal linguaggio utilizzato e dai destinatari della dichiarazione. Il linguaggio – quasi a confermare lo specifico del Dicastero – è netto, preciso, dottrinale.
È sembrato che chi ha scritto non viva la cultura (soprattutto occidentale) nella quale siamo immersi. I cristiani devoti sono una minoranza: né sono disposti ad accogliere tutte le indicazioni che la dichiarazione ha proposto.
Invocare la dottrina non funziona, se non si riesce a tener conto dell’approccio alla morale, oramai personale. Per alcuni ambiti di condotta, si rischia di parlare a sé stessi.
Dall’esterno, è sembrata eccessiva la preoccupazione di essere in riga con gli insegnamenti pontifici, ampiamente citati in nota, quasi a voler confermare l’ortodossia della morale personale e sociale.
È importante ricordare i paletti della dottrina, tenendo però conto del clima sociale nel quale si è immersi.
Rivolgersi agli Stati nelle loro legislazioni è inutile: i vari parlamenti obbediscono a quanto gli elettori chiedono. Un tempo erano i re a scrivere le leggi; nel mondo della cristianità, i governanti con la Chiesa. Ora la Chiesa è unica nel seguire i dettami del Vangelo.
Tutti gli argomenti diventano occasione per la captazione dei consensi, spesso strumentale.
L’esempio lampante è la diversa condotta a seconda degli argomenti: i fedeli, pur dichiarandosi tali, non sono affatto d’accordo in ugual misura verso gli emigranti, la lotta alla povertà, l’aborto, la maternità surrogata, l’eutanasia, lo scarto dei diversamente abili. Ci sono argomenti che accomunano, quali la tratta degli esseri umani e la violenza; per il resto, ognuno viaggia con le proprie convinzioni.
Uscire dall’equivoco di essere “maestri” è urgente. Noi possiamo affermare i principi dichiarandoci obbedienti alla dottrina della Chiesa e dimostrando di essere coerenti.
La coerenza
La coerenza significa immergersi nei problemi di chi incontriamo, chiunque essi siano. Che fare con un ragazzo accolto in comunità che si veste da donna? Possiamo solo accompagnarlo perché trovi la sua dignità. D’altronde, la stessa morale classica esige per la colpa «la piena avvertenza e il deliberato consenso». Chi di noi può determinare le due condizioni?
Dobbiamo dichiararci cristiani, non cadendo nella tentazione – questa sì – di un approccio verbale ed esclusivamente cultuale.
Affrontando i problemi e offrendo soluzioni, alla nostra portata, rendiamo pratici i principi dottrinali. (nn. 64-66 della dichiarazione). Il papa lo ricorda di continuo.
Ci saremmo aspettati questa impostazione all’inizio e non alla conclusione della dichiarazione. Cristo è via, verità e vita. L’impostazione fattiva dell’evangelizzazione è l’unica strada che permetta oggi l’identità dei discepoli del Signore. Senza paura di sentirsi soli: anche le prime comunità cristiane erano piccoli gruppi di una nuova religione.
Vengono in mente le parole di san Vincenzo de’ Paoli «Il servizio dei poveri deve essere preferito a tutto. Non ci devono essere ritardi. Se, nell’ora dell’orazione, avete da portare una medicina o un soccorso a un povero, andatevi tranquillamente. Offrite a Dio la vostra azione, unendovi l’intenzione dell’orazione. Non dovete preoccuparvi e credere di aver mancato, se, per il servizio dei poveri, avete lasciato l’orazione. Non è lasciare Dio, quando si lascia Dio per Iddio, ossia un’opera di Dio per farne un’altra. Se lasciate l’orazione per assistere un povero, sappiate che far questo è servire Dio. La carità è superiore a tutte le regole, e tutto deve riferirsi ad essa. È una grande signora: bisogna fare ciò che comanda».
La speranza è che l’ultima fase dell’assemblea sinodale non si perda nei dettagli intra moenia, ma allarghi l’orizzonte al mondo intero. Lo Spirito del Signore illumini il Giubileo che viene.
La lettura amara di don Vinicio e di diversi come lui forse risiede in un aspettativa a lungo coltivata, ossia un cambio di passo/mentalità nell’ambito del Dicastero della dottrina della fede e nell’elaborazione dei documenti che da questo Dicastero fuoriescono. Questa cambio non è facile, ci vuole tempo (tanto) e pazienza. Dice un proverbio: “una rondine non fa primavera”. Così anche in questo caso: nuove persone nel Dicastero (per esempio il Prefetto) – il segretario è lo stesso da tempo va notato! – non fanno o meglio non dicono nulla circa il cambio di rotta.
“La coerenza significa immergersi nei problemi di chi incontriamo, chiunque essi siano. Che fare con un ragazzo accolto in comunità che si veste da donna? Possiamo solo accompagnarlo perché trovi la sua dignità. D’altronde, la stessa morale classica esige per la colpa «la piena avvertenza e il deliberato consenso». Chi di noi può determinare le due condizioni?”
Se è così questo vale per ogni peccato…per l’imprenditore che truffa..per il pedofilo che stupra….per chi non vuole l’immigrazione…per chi odia gli ebrei…..per il prete che abusa delle suore…
Secondo questa logica. chiudiamo i confessionali, non facciamo più omelie, non manteniamo più preti solo assistenti sociali.
Il suicidio del cattolicesimo…infatti
Non credo che chiudere i confessionali o non fare più omelie sia il suicidio del cattolicesimo. Semmai è proprio l’ incoerenza, in particolare della sua leadership, che lo uccide. Siamo stanchi di ascoltare tante belle affermazioni di principio e di fatto vederle poi tradite. Penso al silenzio della gerarchia dinanzi si numerosi casi di abuso di ogni genere, questo è il vero cancro che uccide la chiesa e le toglie ogni credibilità.