Dossetti: per la vita della città

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Uno dei preziosi servizi che l’editrice Zikkaron sta svolgendo per la societa’ e per le chiese in Italia è quello di riproporre, sottraendole agli archivi della dimenticanza e della rimozione, le grandi riflessioni di Giuseppe Dossetti negli ultimi anni della sua vita, favorendone la lettura e la rimeditazione attraverso interventi e studi che ne illuminano il contesto, ne approfondiscono la comprensione, ne fanno emergere una dirompente forza orientativa per l’oggi.

“Per la vita della città” (qui) è il titolo di un contributo offerto nel 1987 da Giuseppe Dossetti in una affollata conferenza tenuta a Bologna, nel contesto di un discusso Congresso Eucaristico. Chi vi partecipò, fiaccato dalla lunghezza e dallo spessore di quella esposizione, rimandò al testo scritto una rilettura e un approfondimento.

E tuttavia, nonostante il testo sia stato diffuso in varie edizioni, quel discorso, forse perché massimamente impegnativo, è stato “imbalsamato” e sostanzialmente archiviato.

La riproposta che ne fa l’editrice Zikkaron viene dunque opportuna, consente di coglierne l’attualità e a comprendere -scrive il cardinale Zuppi nella prefazione- “le correnti profonde della storia e aiuta a scorgere nei segni dei tempi la chiamata evangelica”(p.9).

Il contesto in cui si sviluppa la riflessione di Dossetti è descritto con la consueta chiarezza e profondità da Fabrizio Mandreoli che coglie pure i nodi essenziali del discorso, collocandoli nella parabola esistenziale di Dossetti, nella sua evoluzione e nelle sue fasi.

Dopo la cristianità

Il contesto culturale in cui si colloca la riflessione è consapevolmente post-cristiano – allora non era ancora chiaramente percepito e Dossetti è stato un profeta nel riconoscere che la cristianità era finita da tempo (Zuppi) – pertanto “la comunità di Gesù è destinata a vivere nelle nazioni non come a casa propria, ma come “paroikos“, cioè accanto a loro, ossia come straniera” e tuttavia non per questo” si ripiegherà su se stessa, chiusa in un ghetto, insensibile a qualunque interesse e a qualunque dialogo e scambio vitale con le nazioni e i sistemi sociali della terra”(p.79-80).

Parlando e facendo

Uno scambio vitale che si esprime – scrive Dossetti- “parlando la parola di Dio e facendo i fatti miracolosi del Regno, nella potenza del nome del Signore” (p.80), un Regno che “giunge a noi senza di noi”, un seme che “cresce da solo” (Mc 4,26-29) e che “sarà non il coronamento della storia, ma la rottura della storia” (p.83).

Una chiesa così concepita non può che trovarsi in una condizione di tensione e di conflitto con le “potenze mondane”, non identificandosi “con nessuna forma della socialità umana”, non riconoscendo alcun modello ideale ispirato alla rivelazione biblica, anzi discernendo come “le grandi concentrazioni di potere tendono a consentire… lo sfrenamento più incontenibile delle peggiori passioni umane” in quanto abitate “da un inquinamento profondo con altissimi rischi” di cui “il più grave di tutti è la guerra, sempre più generalizzata e distruttiva a livello planetario” (p.85-86).

Se dunque la comunità cristiana non può identificarsi in specifici progetti sociali e politici (tentazione in quegli anni ancora assai viva), quali possono essere “i criteri per un sano contributo dei credenti alla storia”? (p.86) ed è “possibile un progetto storico cristiano” nel tempo in cui “gli dei sono morti” ovvero nel tempo dell’estinzione delle grandi ideologie e in cui “la tecnica appare come “modo assoluto di esistere e magari come linguaggio”? (p.91)

Vie strette

I criteri suggeriti da Dossetti vanno ben oltre la generica ” ispirazione cristiana” e sono invece rigorosi ed esigenti. Richiedono consapevolezza della fonte biblica cui ci si affida, discernimento lucido di altre fonti che possono accompagnarla, evitando la consolidata visione ottimistica della socialità naturale dell’uomo, estraneità ad ogni interesse personale, di gruppo o di istituzione e pure una “intuizione profonda dell’attualità storica ” oltre la pigrizia degli anacronismi e la superficialità delle fughe in avanti.

E tuttavia il “rimedio possibile” contro i grandi rischi idolatrici della “città degli uomini” è nell’accoglienza della “gratuità assoluta” dell’amore trinitario e nel “mantenersi sempre a livello di questo Amore nella sua gratuità di evento dinamico e liberante”(p.106).

La città – scrive Dossetti -” ha una possibilità di non essere pura perdizione e di potere rinnovarsi secondo progetti…che ne evitino le più tremende catastrofi: tale possibilità sta solo in questo che i cristiani (tanti o pochi che siano nella città) non ricorrano a dei mezzi umani che sarebbero sempre dei “mezzucci” grotteschi e disperati, ma vivano l’inenarrabile avventura di essere sanati, illuminati e guidati, nelle loro persone e nella loro comunità di fede, dall’Amore trinitario “(p.106).

In questa prospettiva appare fondamentale l’educazione a una vita spirituale nutrita di preghiera, di “concentrazione meditativa”, di “quiete interiore” che non privilegi quindi “un attivismo spesso del tutto inefficace, perché sempre rumoroso e inquieto” (p.123).

L’Eucarestia, in cui “niente è magico, niente è cosificato, tutto è azione, libera azione di Cristo e libera azione dell’uomo” (p.113), permette agli uomini di tutte le generazioni di entrare in contatto salvifico con la Pasqua del Signore, in cui “tutte le potenze dell’uomo vengono sanate ed esaltate…e tutte le virtu’: sia le virtu’ cardinali (temperanza, fortezza, prudenza, giustizia) sia le virtu’ teologali (fede, speranza, carità) possono essere custodite e accresciute” (p.108).

E’ quindi importante, in questo orizzonte, “giungere a creare un nuovo stile di celebrazione eucaristica che (almeno in alcuni casi) abbia spazi ariosi e genuini di silenzio e di concentrazione orante, di adorazione e di pace…” rinunciando “alla strada di una gioia rumorosa e scomposta”, infatti “l’Eucarestia e’ gioia suprema ma non e’ detto che essa debba essere sempre gioia sensibile e che la si debba provocare in modi drogati e…patetici.” (p.126).

Riflessi sull’oggi

Il densissimo testo di Dossetti (durò diverse ore la sua appassionata lettura il 1 ottobre 1987), pur accostato in una mutata stagione storica non cessa di scuotere e di interrogare.

Esso attinge – osserva con finezza il sociologo Giorgio Marcello nella postfazione – a quella “antropologia critica o del profondo” che oriento’ un suo noto scritto del 1966 sulla debolezza antropologica della Gaudium et spes.

Dossetti – scrive ancora Giorgio Marcello – è convinto che quanto più i cristiani si radicano nell’essenziale, tanto più sono efficaci le traduzioni operative della loro presenza sociale” (p.160)

E Fabrizio Mandreoli, nella sua introduzione, invita a rileggere il testo di Dossetti, considerato “l’apice della sua riflessione spirituale e teologica sulla socialità umana e sull’impegno dei credenti nella storia” in sintonia con due fondamentali prospettive indicate dall’attuale Vescovo di Roma: la coltivazione di processi nella vita cristiana e nella vita civile in cui il tempo prevale sull’occupazione dello spazio e la scelta umile del “servizio della lavanda dei piedi” come “luogo reale e simbolico in cui ogni autorità e ogni potere sono re-interpretati e risignificati in vista della loro capacità di servire e dare la vita agli uomini” (p.54)

Due prospettive essenziali che, nella rilettura di Fabrizio Mandreoli, accomunano le intuizioni profetiche di Dossetti e le indicazioni dell’attuale Vescovo di Roma, superando l’annosa questione ideologica sulle (disseccate) radici cristiane dell’Europa, nella convinzione che ” solo una Chiesa ricca di testimoni potrà ridare l’acqua pura del Vangelo alle radici dell’Europa” (papa Francesco).

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