L’ultima parte del “dossier Opus Dei” del teologo Gordo riporta, documentandole, le reazioni alle due lettere apostoliche di papa Francesco. Tali reazioni provengono sia dall’interno dell’Opus (minimizzando gli interventi pontifici) sia dall’esterno con osservazioni molto critiche.
Come interpretare la lettera apostolica Ad charisma tuendum e la successiva lettera apostolica dell’8 agosto 2023? Nel senso di una riforma richiesta dallo scorrere della storia, di cui l’Opus Dei ha bisogno – togliendo la polvere accumulata lungo il cammino –, cioè di aggiornarsi e di tornare a bere di nuovo al carisma dei suoi primi anni?
Una semplice aggiustatina, come hanno sostenuto, almeno inizialmente, alcuni dei suoi membri più significativi? Un cambiamento rivoluzionario che, facendo appello al ritorno al carisma originario, cerca di smantellare il potente – e non sempre chiaro – quadro istituzionale e relazionale nel quale l’Opus Dei si è mosso, sia nella Chiesa sia nella società? Un’inappellabile esautorazione e, perciò, un declassamento? Un inizio della fine?
Queste sono alcune domande che – accompagnate dalle rispettive interpretazioni e valutazioni – sono state formulate nel corso dell’anno trascorso dalla pubblicazione della lettera apostolica del papa (2022) e alcune di esse sono state confermate o scartate, una volta letta la lettera apostolica dell’8 agosto 2023.
Focalizzo l’attenzione, prima di tutto, sulle risposte, le interpretazioni o le letture che, formulate dai responsabili dell’Opus Dei e da persone vicine all’Opera, mi sembrano “minimizzanti”.
In un secondo momento, passerò in rassegna quelle che – formulate in termini di potere – ritengono che la decisione di Francesco e il suo invito a rivitalizzare il carisma comporterebbe – per il suo distanziamento dalla struttura gerarchica della Chiesa – una sua notevole perdita e, addirittura, un totale allontanamento. Esiste una terza interpretazione secondo la quale la prelatura personale sarebbe sottoposta a un riassetto – radicale e necessario – di tale portata che, molto probabilmente, finirà per mettere in pericolo persino l’esistenza della creatura a cui Escrivá de Balaguer ha dedicato vita, un riassetto almeno nella sua forma, istituzionalizzata e sclerotizzata a dismisura, così come si è configurata e in cui così bene si è mossa fino al presente.
Le letture «minimizzanti» dell’Opus Dei
La prima delle reazioni minimizzanti è capeggiata dal prelato dell’Opus Dei, mons. Fernando Ocáriz. In una lettera firmata poco dopo la pubblicazione della lettera apostolica di Francesco, egli afferma di accettare «filialmente» la decisione presa dal papa, nonché la sua esortazione a «fissare l’attenzione sul dono che Dio ha fatto a san Josemaría». E, nel riferirsi alla figura del prelato, rileva che «l’ordinazione episcopale del presule non era e non è necessaria per la guida dell’Opus Dei». Termina accogliendo «l’impegno che papa Francesco ci ha chiesto di affrontare, per adeguare il diritto particolare della prelatura alle indicazioni del motu proprio Ad charisma tuendum, mantenendoci – come egli stesso ci esorta – fedeli al carisma».
Come si può vedere, è un’accettazione che cerca di minimizzare la decisione e di fugare ogni critica all’Opus Dei da parte di papa Francesco.
Ma non è l’unica reazione, pur essendo la più importante. Assieme ad essa ce ne sono state altre che, sempre in chiave minimalista, hanno cercato far passare il messaggio che le cose continueranno come prima, una volta apportate alcune piccole modifiche. In definitiva, un’operazione di cosmesi.
Tale è il contenuto del commento di Larissa I. López (cf. Opus Dei: tutto quello che devi sapere su Ad charisma tuendum. Analisi completa per comprendere le chiavi di lettura), la quale, riconoscendo che la lettera apostolica di Francesco «ha generato dubbi e commenti vari negli ultimi mesi», sostiene che ci sono stati dei media che hanno interpretato la decisione pontificia «come un “declassamento” della prelatura da parte del santo padre». Niente di tutto questo.
Sulla base di un precedente messaggio del presule dell’Opus Dei, Larissa López afferma che «la sostanza della prelatura dell’Opus Dei non viene per niente modificata». E, se questo non bastasse, in un articolo pubblicato sul sito ufficiale della prelatura, sostiene che la modifica «non introduce direttamente cambiamenti nel regime della prelatura».
Per tutti questi motivi – prosegue la López – «la pubblicazione di Ad charisma tuendum non suppone un cambiamento nella “sostanza” dell’Opus Dei o nella vita quotidiana dei suoi membri, mentre continua intatto il suo scopo di «contribuire alla missione evangelizzatrice della Chiesa», diffondendo «una profonda presa di coscienza della chiamata universale alla santità e del valore santificante del lavoro ordinario».
Se tale interpretazione non fosse abbastanza chiarificatrice, essa sostiene che, «nonostante l’enfasi» che papa Francesco pone «sull’aspetto carismatico dell’Opera, il prelato dell’Opus Dei, nominato da sua Santità, continuerà ad essere un sacerdote e, pertanto, non cesserà di appartenere alla gerarchia ecclesiastica, poiché – come si legge nel Catechismo della Chiesa cattolica – il sacerdozio ministeriale o gerarchico è dei vescovi e dei presbiteri».
Ecco un esempio, particolarmente chiarificatore, di un’interpretazione e ricezione minimalista della lettera apostolica secondo la quale il carisma fondazionale – nonostante il passare degli anni – si mantiene ancora fresco e giovane come nei primi tempi, perché continua ad appartenere alla struttura gerarchica della Chiesa. Ha solo bisogno di una spolveratina e di una boccata d’aria.
Perché questo sia possibile, è opportuno fermarsi, specchiarsi nel fondatore e, scuotendosi di dosso la polvere, aggiornarsi e procedere con rinnovate energie.
La lettera apostolica dell’8 agosto 2023 ha contribuito a mettere le cose al loro posto. La prelatura personale – si legge nel documento – è un’associazione clericale per l’«adeguata distribuzione» dei sacerdoti o per «opere pastorali o missionarie speciali».
Fino ad oggi, c’è stato un dibattito tra i canonisti sullo statuto giuridico preciso di una prelatura personale. Mentre alcuni sostenevano che essa apparteneva al diritto costituzionale e che, pertanto, era qualcosa di costitutivo della natura della Chiesa, altri la collocavano nel diritto di associazione, cioè nel quadro giuridico in cui sono inseriti i gruppi i quali possono esserci ma che non risultano necessari nella struttura della Chiesa.
Con questo motu proprio il papa determina e chiarisce che le prelature personali sono iscritte nel diritto ecclesiastico di associazione. Sono, quindi, opzionali e non costitutive nell’architettura gerarchica della Chiesa.
Penso che sia il momento di lasciare questa lettura minimalista e di occuparci a fondo della revisione degli Statuti dell’Opus Dei richiesta da Francesco. E, più ancora, quando, a partire da adesso, l’Opus Dei diventa un’associazione pubblica di clero, perdendo il suo status esclusivo. E questo riguarda la Comunità dell’Emanuele; la Fraternità dei Sacerdoti Operai Diocesani del Sacro Cuore di Gesù; la Fraternità Missionaria di Sant’Egidio; la Fraternità dei Preti Operai Diocesani del Cuore di Gesù; la Fraternità di San Martino; la Società Jean-Marie Vianney e l’Opera di Gesù Sommo Sacerdote.
E se, inoltre, i laici che appartengono all’Opus Dei «possono dedicarsi alle opere apostoliche della prelatura personale», ma consapevoli che «la forma di questa collaborazione organica e dei principali doveri e diritti ad essa connessi saranno determinati convenientemente negli Statuti», alla prelatura non resta altra scelta che ignorare l’accoglienza minimizzante che ho descritto e occuparsi a fondo in questa revisione, sapendo che – secondo la lettera apostolica – i laici sono sottoposti alla cura pastorale dei rispettivi vescovi e dei parroci del luogo ove risiedono.
Le letture in chiave critica del potere secolare ed ecclesiale
Una parte della stampa spagnola – e con essa un numeroso gruppo di cattolici e di cittadini – ha interpretato la decisione di Francesco in chiave di separazione dal potere e perciò come una perdita considerevole di rilievo all’interno dell’istituzione ecclesiale, in particolare in Vaticano. Questo si poté leggere nel quotidiano El País del 3 agosto 2023: «L’Opus Dei perde potere all’interno della Chiesa».
Secondo questo giornale, si tratterebbe di cambiamenti che porterebbero, dopo quarant’anni, a una rifondazione dell’Opus Dei, visto che i suoi membri cesserebbero di far parte della struttura gerarchica della Chiesa e, quindi, verrebbero controllati dal Dicastero per il clero. In coerenza con il suo nuovo statuto ecclesiale, la prelatura dovrebbe presentare a detto Dicastero, come le altre organizzazioni, «una relazione sullo stato della prelatura e sullo sviluppo del suo lavoro apostolico».
Julio Núñez notava, il giorno dopo e sullo stesso giornale, che la nuova lettera apostolica limitava il potere e l’indipendenza dell’istituzione all’interno della Chiesa, tenuto conto che il prelato dell’Opus Dei non avrebbe più il grado di vescovo, ma quello di «protonotario apostolico soprannumerario», sarebbe cioè un sacerdote con il grado di «monsignore», non un vescovo, successore degli apostoli. Da parte loro, i membri dell’Opus Dei –perdendo la prelatura il titolo di «diocesi universale» – torneranno ad essere sottomessi ai vescovi locali.
In secondo luogo, c’è un’altra lettura, che sostanzialmente coincide con quella che ho appena descritto: quella offerta da Carmelo Pérez sul quotidiano El Mundo l’8 agosto di quest’anno.
Per questo giornalista, il cambiamento decretato da Francesco sarebbe «una punizione» per «l’immobilismo» dell’Opus Dei. Nello specifico, il papa li avrebbe esortati a «insistere di meno» sul fatto di far parte della struttura gerarchica della Chiesa – con «una autonomia considerevole» nel territorio di qualsiasi diocesi locale – e di «preoccuparsi di più del carisma». E, inoltre – sosteneva, Pérez – Francesco avrebbe criticato, «velatamente», la sua eccessiva gerarchizzazione e, quindi, l’eccessiva dipendenza dei laici, uomini e donne, dai loro sacerdoti e vescovi.
In concreto, indicherebbe la necessità di «promuovere l’assunzione di responsabilità dei suoi membri laici, uomini e donne» e, allo stesso tempo, decreterebbe che «le disposizioni del vescovo di ciascuna zona ora riguarderanno, allo stesso modo, i membri dell’Opus, che possono essere richiesti di un compito specifico e devono adeguarsi ai criteri di lavoro di quella diocesi». I membri dell’Opus «non godono più della stessa considerazione, perché è come se appartenessero a qualsiasi altra diocesi». «Viene ridotto il livello di autogestione di cui godevano che era di un’eccezionalità difficilmente giustificabile».
Successivamente è stato chiesto: la presa di posizione del papa riguardante l’Opus Dei è da interpretare «come una punizione?».
No, è stata la sua risposta, non è una punizione, ma una correzione del «peso eccessivo della gerarchia dell’Opus» per evitare che «l’eccessiva performance di sacerdoti e vescovi» soffochi «la funzione per cui l’Opus è nato». Pertanto, nessuna punizione, «ma un pugno sul tavolo per cambiare rotta».
Si potrebbe dire che questa nuova realtà per l’Opus Dei è solo un altro capitolo, nemmeno il più rivoluzionario, della trasformazione voluta dal «vescovo venuto dalla fine del mondo». Soprattutto quando ci accorgiamo che ci sono poche istituzioni nella Chiesa cattolica con membri così influenti nella vita politica ed economica nei diversi paesi dove l’Opera è presente.
Pertanto – secondo questa seconda interpretazione – Francesco, proponendo all’Opus Dei di ritornare al carisma iniziale rimuovendolo dall’apparato gerarchico della Curia vaticana in cui Giovanni Paolo II lo aveva collocato, ha ritenuto opportuno allontanarlo da questo apparato.
In fondo, si tratta di una decisione orientata al bene, dal momento che l’inserimento dell’Opera nella struttura gerarchica della Chiesa non ha apportato i benefici sperati, né alla Chiesa né alla società.
Francesco avrebbe cercato di correggere un errore di governo di uno dei suoi predecessori e di rimettere il carisma nelle mani dei diretti interessati.Secondo questa interpretazione, la traiettoria storica dell’Opus Dei, guardando adesso, non sembra molto brillante. Sembra piuttosto l’esatto contrario. Probabilmente perché, quanto più si vola alto – mescolando di preferenza criteri di potere e varie influenze – più rovinosa è la caduta.
Le letture che annunciano l’inizio della fine
Ma c’è anche una terza lettura, agli antipodi di quella “minimizzante”. È quella compiuta criticando la ricerca e l’occupazione del potere e, quindi, la necessaria rigenerazione carismatica: è quella che interpreta la lettera apostolica di Francesco del 2022 e quella dell’8 agosto 2023 come inizio della fine del potere ecclesiastico e sociale su cui si sarebbe incamminata, fin dai suoi primi passi, l’Opus Dei.
Secondo questa interpretazione, ci sono due fatti recenti che la avallano e la confermano: il primo, la consegna alla Nunziatura Apostolica di Madrid, il 27 giugno 2023, di un pacchetto di «documenti normativi segreti» in cui si potrebbe ipotizzare che l’Opus Dei, oltre ad averli sistematicamente nascosti alla Santa Sede, avrebbe diffuso una dottrina trasmessa in modo «messianico» e promosso una struttura di gruppo «teocratica, verticistica e totalitaria».
E, il secondo, il rifiuto della nomina episcopale del sacerdote diocesano di Barbastro-Monzón, José Mairal, a nuovo rettore del santuario di Torreciudad (Huesca), il più importante dell’Opus Dei, e, fino ad oggi, di esclusiva competenza dell’Opera.
Documenti segreti
Come ho ricordato, il primo dei fatti è la denuncia che – presentata alla Nunziatura della Santa Sede a Madrid, inviata a più di seicento vescovi e consegnata ai Dicasteri per il clero e per la dottrina della fede – Sezione Abusi («denuncia internazionale istituzionale contro l’Opus Dei per frode normativa alla Santa Sede e agli stessi membri») – sarebbe supportata da più di 700 documenti.
Questa denuncia è firmata da ex membri dell’Opera di diversi paesi del mondo. Antonio Moya Somolinos e Carmen del Rosario Pérez San Román sono stati gli incaricati di presentarla alla Nunziatura in Spagna. Gli interessati possono scaricarla da Internet.Nella denuncia presentata sono raccolti «documenti normativi segreti che l’Opus Dei avrebbe sistematicamente nascosto alla Santa Sede» e che i denuncianti ritengono «prova fondamentale» della «deriva settaria che si avverte nell’Opus Dei».
Sottolineano che la prelatura è un gruppo unito da una dottrina che si trasmette in maniera «messianica» sotto la guida «di una figura carismatica che ritiene di possedere la Verità assoluta». Inoltre – aggiungono i denuncianti – i membri dell’Opus Dei coltivano una struttura di gruppo teocratica, verticista e totalitaria, esigendo una totale adesione al gruppo e promuovendo la presa di distanza da relazioni sociali, legami affettivi e attività pregresse. Di conseguenza, i membri dell’Opus Dei finiscono per vivere in una comunità chiusa in cui si apprezza la totale dipendenza psicologica dal gruppo e in cui le libertà individuali e l’intimità sono cancellate.
È anche cosa normale controllare tutte le informazioni che possono ricevere i membri del gruppo e utilizzare tecniche di manipolazione e di persuasione coercitiva come la meditazione o la rinascita spirituale. Allo stesso modo, l’Opera predica il ripudio del resto della società, considerando gli altri nemici o almeno persone sospette.
Infine, il proselitismo e la raccolta di denaro sono le attività principali del gruppo, per ottenere dai membri – sotto costrizione o pressione psicologica – la consegna del loro patrimonio personale, nonché ingenti somme di denaro.
Il secondo dei fatti è la nomina del sacerdote della diocesi di Barbastro-Monzón, José Mairal, come nuovo rettore del santuario di Torreciudad (Huesca). È una decisione presa dal vescovo, Ángel Pérez Pueyo, dopo che l’Opus Dei ha ignorato, per tre volte, la richiesta del vescovo di procedere a una nomina concordata.
La decisione episcopale è stata aspramente contestata dall’Opus Dei e dai gruppi affini, inducendo alcuni settori dell’Opera a minacciare di appellarsi ai tribunali per la decisione presa e di boicottare le festività mariane di Torreciudad, entrambe presiedute dal vescovo diocesano: la festa della Vergine di Torreciudad (20 agosto, l’ultima con l’attuale rettore, Ángel Lasheras) e la Giornata mariana della famiglia a settembre, già con il nuovo gruppo dirigente).
Fortunatamente il buon senso ha finito per prevalere attraverso una lettera in cui l’ancora rettore del santuario invitava i fedeli – un mese dopo la sua partenza – a non partecipare a raduni, atti o firme contro il cambiamento del rettore di Torreciudad.
Il parere di uno pseudonimo
Questi due fatti, più la lettera apostolica Ad charisma tuendum e, in modo particolarmente evidente, la lettera apostolica dell’8 agosto 2023, attivano la terza interpretazione, proposta, in questa occasione, da una persona che, preferendo rimanere anonima, usa lo pseudonimo di Cozumel.
È una persona perfettamente individuata dai responsabili di Digital Religion, la pagina web dove si può leggere integralmente la sua interpretazione della crisi dell’Opus Dei. Per questa persona, si starebbe assistendo all’inizio della fine dell’Opus Dei. Cozumel sottolinea che il 98% dei membri dell’Opus Dei sono laici battezzati (numerari, soprannumerari, aggregati e ausiliari), mentre l’ordine sacerdotale della Santa Croce rappresenta il 2%.
La singolarità dell’Opera – grazie alla costituzione apostolica Ut sit di Giovanni Paolo II – consiste nel fatto che tali laici, anche se non appartenevano né teologicamente né dogmaticamente alla struttura gerarchica della Chiesa, «lo erano perché si trattava di una prelatura personale». Di conseguenza, erano «assoggettati in tutto al potere del prelato in ciò che si riferiva all’adempimento degli impegni peculiari – ascetici, formativi e apostolici – assunti nella formale dichiarazione di incorporazione alla prelatura». Perciò, laici battezzati e sacerdoti appartenevano «in egual modo alla prelatura».
Con la decisione di Francesco, questo 98% dei membri dell’Opera ha cessato di essere gerarchia ed è iniziato un processo di liquidazione della prelatura in quanto tale: rimane solamente l’Associazione sacerdotale della Santa Croce e al resto dei laici battezzati la possibilità di sciogliersi o di organizzarsi come Istituto di vita consacrata o come Istituto secolare.
L’argomentazione che Cozumel fornisce è chiara e coerente: «concepire la prelatura come un’istituzione formata solo da sacerdoti contraddirebbe sia la realtà dell’Opus Dei sia la stessa novità e l’indole specifica delle prelature, ossia che laici e sacerdoti siano membri della prelatura secondo le stesse parole e gli statuti dell’Opus Dei e la struttura gerarchica della Chiesa». Secondo tale argomentazione, egli intende dire che l’invito del papa a recuperare il carisma non sarebbe che fumo.
Rileggendo la nuova situazione alla luce della denuncia presentata per occultamento delle norme, Cozumel sostiene che, se venisse dimostrata l’esistenza di tali documenti – mai comunicati, ma prassi quotidiana dei membri dell’Opus Dei – tutti gli interessati (membri, ex membri, battezzati laici) «potrebbero essere querelati e denunciati (…) in sede civile, penale, commerciale ecc.».
E conclude la sua interpretazione sottolineando che «il papa, de facto, è intervenuto e ha liquidato il 98% dell’Opus Dei». Rimane solo il 2% degli appartenenti, cioè i sacerdoti membri dell’ordine sacerdotale della Santa Croce. «I laici non appartengono più alla struttura né gerarchica né organica della Chiesa, né saranno mai più una prelatura».
Con la lettera apostolica del 2022 e con quella dell’8 agosto 2023 – nel caso in cui la denuncia presentata alla Nunziatura spagnola avesse esito positivo – «cause civili economiche e querele penali, basate sull’appartenenza dei laici battezzati alla struttura gerarchica della Chiesa», non toccheranno né la Chiesa né lo stesso papa, che cesseranno di essere «responsabili ultimi sia in foro civile sia in quello penale».
Si tratta di una questione – sottolinea Cozumel – di grandissima rilevanza perché, come conseguenza di questa decisione, sarà necessario dichiarare e svincolare «i 3.000 milioni di euro in mano ai laici in nome dell’Opus Dei», dato che «i laici non hanno alcun rapporto legale» con l’Opus.
E termina così: «Falcon Crest (un serial statunitense, andato in onda dal 1981 al 1990 sulla CBS) sarà un gioco per bambini al confronto di ciò che sta arrivando»: «l’emergere di questo patrimonio, le controversie, gli abbandoni di laici dell’Opus Dei, soffiate, accuse… prenotazione di biglietti. È l’aspetto terreno e non divino per cui lottano».
È possibile rinascere quando si è vecchi?
È innegabile che stiamo assistendo a una delle decisioni più coraggiose – per la sua radicalità evangelica – di Francesco.
Inoltre, procedendo come sta facendo, sappiamo che egli vuole compiere passi fermi e sicuri, contando sui consigli e sull’aiuto di persone che, specializzate in diritto canonico, sanno quello che fanno.
Ma, viste le prime reazioni dei responsabili dell’Opus e in attesa di conoscere il suo nuovo Statuto, sembra che la «riconversione dell’Opus Dei» sia ancora in attesa di rilancio; e che sarà particolarmente dura e complicata. Hanno davanti a loro il compito – che ad alcuni può sembrare impossibile – di “rinascere” dopo essere invecchiati in fretta, troppo in fretta.
Alcuni potrebbero trovare rassicurante vedere realizzarsi, una volta di più, il consiglio evangelico di stare sempre attenti e vigilanti per non cadere, in questo caso, nella tentazione del potere e – secondo l’espressione di Francesco – nella “mondanità” degli influssi.
Ciò che si è vissuto in questi ultimi decenni e in queste ultime settimane mostra non solo la saggezza che contiene il detto castigliano con cui abbiamo iniziate questo scritto (“ciò che da giovane è una virtù o un carisma, da vecchi finisce per essere, molte volte, una rarità”), ma anche la consistenza, spirituale e teologica, del suo versante ecclesiologico: la storia della Chiesa è piena di eventi grazie ai quali è possibile capire come ogni carisma, una volta nato, ha sopra di sé la spada di Damocle, cioè il rischio di diventare routine e, spesso, di sclerotizzarsi.
Nessuno discute sulla necessità di un sano riconoscimento istituzionale. Ma siamo in tanti a sostenere che, una volta riconosciuto dalla Chiesa (e più ancora se lo è per motivi e ragioni tanto discutibili come quelli dell’Opus Dei), è stato un grave errore aver dimenticato, de facto, la sua originaria consistenza carismatica, spirituale e teologica a causa del potere concesso con il riconoscimento istituzionale o in quello raggiunto politicamente, economicamente, culturalmente e socialmente e non aver fatto per tempo una più che sana autocritica.
Quando ciò accade, la virtù o il carisma diventano routine e i suoi gestori diventano una lobby che, non solo può fare più male che bene, ma è anche molto probabile che finisca per rendere impossibile – con una buona parte dei loro compagni – l’imprescindibile e necessaria riconversione.
Se ciò accadesse, l’Opus Dei avrebbe toccato il fondo e, perciò, sarebbe giunto alla fine del suo cammino. Il tempo, come quasi sempre, lo dirà. Perciò non rimane che aspettare. Ma conviene farlo tenendo gli occhi bene aperti.
Mi piacerebbe che tale dossier venisse letto dai membri di tale associazione di Milano. Sono scappato da lì, dopo aver toccato con mano (e dolore) quanto sia saldo il legame di alcuni di loro con i settori più esecrabili della politica meneghina. È un problema di tutti? Certo che no. La maggior parte delle persone che fanno parte dell’opera è composta da gente pessima? Certo che no anche questo. Ma se dai a una realtà di chiesa composta da persone normali (alcune va detto, con idee molto conservatrici) un grande potere nei confronti della società e un immenso potere nei confronti della restante parte della chiesa, è ovvio che il danno lo fai. Resta il rammarico per un carisma sclerotizzato e un’istituzione gerontocratica. (Che dovrà spiegare come mai da in pasto dei 23enni a uomini di 67, con le peggiori idee sul piano umano, personale e sociale).
Gentile Mons. Gordo,
sono un soprannumerario dell’Opus Dei e Le scrivo a titolo personale, precisando che non sono un teologo, anche se il “dossier” dal Lei redatto mi sembra abbia più presupposti di natura politica (potere, influenze) che teologica.
Nell’Opera siamo prevalentemente laici che hanno messo a disposizione la propria vita per rendere gloria a Dio, tramite la ricerca della santità personale nell’adempimento dei doveri della vita ordinaria e di testimoniare la chiamata universale alla santità, seguendo un percorso, anche ascetico, peculiare dall’Opera e personale di ciascuno, per cercare di vivere sempre alla presenza di Dio.
Siamo tutti peccatori, come tutti gli uomini e procediamo attraverso sbagli e difficoltà cominciando e ricominciando dopo ogni caduta seguendo le indicazioni in tal senso lasciateci da San Josemaria.
Il Carisma che abbiamo ricevuto e che cerchiamo di preservare e sul quale credo ciascuno di noi si sia più approfonditamente interrogato dopo l’invito formulato dal Santo Padre con il motu proprio Ad Charisma Tuendum, è soprannaturale, la forma giuridica, quindi, risulta essenziale nei rapporti con gli altri e per la collocazione dell’Opera nell’edificio della Chiesa ma anche se ci fosse attribuita la forma di un ottovolante potremo, con qualche innegabile difficoltà in più, perseguire la finalità di rendere gloria a Dio ed annunciare Cristo con la specifica spiritualità lasciataci da San Josemaria.
Certo questa è un’interpretazione molto personale ma può darLe, da uno che l’Opera cerca di viverla, l’idea di ciò che potrebbe esserci dietro la posizione del Prelato, che Lei definisce interpretazione minimizzante, senza la necessità di ritenerla un’ipocrita, come Ella sembra lasciar intendere, sottovalutazione di un (pur esistente) problema.
Cordialmente
Luigi Pamphili
Articolo lungo, complesso e di parte (avversa). Si nota un inappropriato uso della terminologia canonica e un’incomprensione di fondo della figura giuridica della Prelatura personale, così come espressa dal Vaticano II. Indubbiamente c’è un’abbondante raccolta di documentazione, ma solamente a sfavore dell’Opus Dei e viene trascurato invece tutto il bene che questa realtà è riuscita a realizzare. La prospettiva della lettura minimalista dell’atto di obbedienza del prelato mons. Ocariz mi sembra alquanto artificiosa e discutibile. Comunque in tutta la vicenda non si comprende perché si sono voluti modificare i canoni del Codice di diritto canonico, quando bastava stabilire che l’Opus Dei è d’ora in poi un’associazione clericale… La cosa bella che si poteva sottolineare è che l’Opus Dei dimostrerà grande flessibilità, perché riuscirà ancora una volta non solo a sopravvivere, ma a adattarsi alla legislazione ecclesiale.
Mi consenta: se e in che modo l’Opus Dei sopravvivera’ a questa riforma “dall’alto” (che, mi sembra dalle reazioni finora suscitate, non dispiaccia poi molto alla maggior parte del collegio episcopale e dei sacerdoti di parrocchia) lasciamolo decidere al Padre eterno
Mons Gordo ancora crede di poter affermare che ” i laici sono assoggettati alla cura pastorale dei vescovi e dei parroci dei luoghi dove risiedono”: ma non si rende conto che i laici sono liberi e non assoggettabili? In cosa si traduce questa ” cura”? Probabilmente nell’ ammonizione di lasciarsi curare da loro
Questo è indubitabile.
Chi può costringere un laico qualunque ad andare a messa in una determinata chiesa, a confessarsi da un determinato sacerdote a frewuenteare un gruppo ecclesiale piuttosto che un altro?
Difficile trovare un articolo in cui leggere un tal cumulo di baggianate e di falsità.
La polvere voi l’avete sull’anima, e bella spessa.
Un ringraziamento a Jesús Martínez Gordo, che con questi tre articoli ha offerto un dossier dalla cui linea interpretativa si può ovviamente dissentire, ma che offre i riferimenti sufficienti per andare alle fonti e formarsi un’opinione diversa.
Mi permetto una piccola correzione riguardo ad un punto in cui l’esposizione è imprecisa: si tratta del passo in cui i membri dell’Opus Dei vengono indicati come «numerari, soprannumerari, aggregati e ausiliari». Le imprecisioni sono qui due. Anzitutto, l’ordine di questo elenco è fuorviante: in particolare, gli ausiliari devono essere elencati al secondo posto, non al quarto, in quanto si tratta solo di una variante dei numerari, che con questi condividono il celibato, la vita comune, la completa disponibilità per le attività dell’Opus Dei. Ma, soprattutto, «gli» ausiliari non esistono: esistono solo «le» ausiliarie. Ecco il testo degli Statuti (anzi, del «Codice di Diritto Particolare dell’Opus Dei»: questo il nome ufficiale):
9. Admitti possunt qua Numerarii ii omnes fideles laici qui plena gaudeant disponibilitate ad incumbendum officiis formationis atque laboribus apostolicis peculiaribus Operis Dei, quique, cum admissionem expostulant, ordinario praediti sint titulo academico civili aut professionali aequipollenti, vel saltem post admissionem illum obtinere valeant. Praeterea, in Sectione mulierum, Numerariae Auxiliares, eadem disponibilitate ac ceterae Numerariae, vitam suam praecipue dedicant laboribus manualibus vel officiis domesticis, quae tamquam proprium laborem professionalem voluntarie suscipiunt, in sedibus Centrorum Operis.
In italiano (traduzione ufficiosa, sul sito dell’Opus Dei):
9. Possono essere ammessi come Numerari i fedeli laici pienamente disponibili ad occuparsi dei compiti di formazione e delle peculiari attività apostoliche dell’Opus Dei; essi, nel richiedere l’ammissione, di regola debbono essere forniti di un titolo accademico civile o di un equivalente titolo professionale, o per lo meno essere in grado di conseguirlo dopo l’ammissione. Nella Sezione femminile, inoltre, le Numerarie Ausiliari, con la medesima disponibilità delle altre Numerarie, si dedicano principalmente ai lavori manuali e ai compiti domestici nei Centri dell’Opera, volontariamente assunti come loro lavoro professionale.
(L’art. 185 chiarisce che il maschile va inteso in senso generico). Anche se non è esplicitamente detto, si comprende che per le ausiliarie non è richiesto un titolo accademico, tanto più che l’art. 101 § 4 prevede corsi interni filosofico-teologici per costoro, «adattati alle loro circostanze personali», che sostituiscano il completo curriculum filosofico-teologico richiesto invece ai normali numerari/e.
Riassumendo, quindi, i membri dell’Opus Dei sono: numerari/e, ausiliarie, aggregati/e, soprannumerari/e. Le ausiliarie sono caratterizzate, rispetto ai numerari/e, dal non avere un titolo di studio superiore e svolgere lavoro manuale e compiti domestici nei Centri dell’Opus Dei. Dato che all’art. 185 tutte le norme sono qualificate come «sante, inviolabili, perpetue» (peraltro subito prima di precisare che la Santa Sede può modificarle), sarà interessante vedere se la prossima revisione muterà questo quadro.