Il 6 agosto 1964, 55 anni fa, papa Paolo VI emanò la sua prima enciclica intitolata “Ecclesiam suam”, dedicata al dialogo nella Chiesa. È un documento che è rimasto forse un po’ nell’ombra rispetto ai testi del concilio Vaticano II, ma che merita di essere riletto anche oggi.
La richiesta di un maggior dialogo non è presente solo nella nostra società postmoderna, è presente anche nella Chiesa soprattutto in seguito al Vaticano II e non può più essere ignorata. Giovanni XXIII (1958–1963) fu molto attento a questa esigenza.
Il concilio Vaticano II (1962–1965) che aveva convocato, con grande sorpresa di molti, fu infatti il concilio del dialogo. E non meraviglia che, nei testi approvati dai padri conciliari, domini chiaramente l’atteggiamento dialogico, come grammatica di questo concilio. Al contrario dei concili precedenti in cui le dottrine e le deliberazioni erano state sempre accompagnate da anatemi, il Vaticano II non ha emesso alcuna condanna dottrinale.
Nuovo atteggiamento dialogico della Chiesa
I testi delle costituzioni e dei decreti approvati hanno un atteggiamento aperto verso tutti. Si distinguono in particolare in questo sia il decreto sull’ecumenismo, Unitatis redintegratio, sia la dichiarazione sui rapporti della Chiesa con le religioni non cristiane, Nostra aetate.
I padri conciliari hanno messo in luce che la Chiesa non può più estraniarsi dal mondo d’oggi con i suoi molteplici problemi e le sue richieste. Piuttosto è consapevole di vivere in mezzo a questo mondo e di dover aprirsi ad esso; è convinta che può proclamare il Vangelo in maniera credibile solo nel confronto con l’uomo d’oggi. Con il Vaticano II, la Chiesa ha inaugurato questo nuovo atteggiamento dialogico.
Il concilio era ancora in bilico quando Giovanni XXIII morì in Vaticano il 3 giugno 1963. La sua scomparsa era da attendersi poiché era malato grave da diverso tempo. Non si sapeva se il successore che i cardinali avrebbero eletto avrebbe portato a termine il grande progetto conciliare. Ma, il card. Montini, eletto papa il 25 giugno, col nome di Paolo VI (1963–1978) si sentì in obbligo – e incoraggiò i cardinali – di riprendere le deliberazioni del concilio.
Accento ecclesiologico
Come Giovanni XXIII, anche Paolo VI era consapevole della necessità di guidare la Chiesa dell’ora attuale e di condurla a confrontarsi con i problemi presenti. Poco più di un anno dopo la sua elezione, il 6 agosto 1964, emanò la sua prima enciclica intitolata Ecclesiam suam.
Anche se questo testo è rimasto un po’ in ombra rispetto ai documenti conciliari, contiene tuttavia delle direttive molto importanti per la comprensione della grammatica di fondo del concilio. A 55 anni di distanza, vale la perciò la pena rileggere, almeno per sommi capi, questa sua prima enciclica.
Nella prima parte il papa descrive la comprensione che la Chiesa ha di se stessa e invita i fedeli ad una costante vigilanza e a interiorizzare in particolare la sacra Scrittura. Nello stesso tempo, esorta a riflettere nuovamente su ciò che le è proprio per poter poi, in un secondo momento, rispondere ai problemi e alle preoccupazioni del mondo d’oggi.
La prima parte dell’enciclica ha un forte orientamento ecclesiologico; il papa sottolinea chiaramente di non voler presentare una dottrina diversa di Chiesa, di cui si sarebbero occupati i padri conciliari. Il papa esorta fermamente i fedeli a prendere coscienza della loro dignità ricevuta in forza del battesimo. Scrive infatti: «L’essere cristiani, l’aver ricevuto il santo battesimo, non dev’essere considerato come cosa indifferente o trascurabile; ma deve marcare profondamente e felicemente la coscienza d’ogni battezzato (n. 41).
Il rinnovamento
Nella seconda parte affronta il concetto di rinnovamento da realizzare con il concilio Vaticano II sul piano della Chiesa universale. La riforma tuttavia – sottolinea – non deve riguardare «il concetto basilare né la struttura fondamentale della Chiesa cattolica» (cf. n. 48); deve piuttosto essere inteso come un ritorno alla finalità caratteristica della Chiesa che consiste nel riflettere il volto di Cristo nel mondo (n. 49). Di conseguenza, prima di ogni riforma, è necessario un rinnovamento della coscienza di sé quale è prefigurato dalla Chiesa nel Vangelo di Cristo.
Il fatto che Paolo VI abbia in vista le preoccupazioni fondamentali del Concilio sulla linea del suo predecessore è confermato dal suo riferimento al concetto di “aggiornamento” di Giovanni XXIII, che egli conferma esplicitamente.
Il dialogo, come e perché
Di particolare importanza è la terza parte dell’enciclica, in cui tratta soprattutto dell’atteggiamento dialogico della Chiesa. Afferma: «La Chiesa deve venire a dialogo col mondo in cui si trova a vivere. La Chiesa si fa parola; la Chiesa si fa messaggio; la Chiesa si fa colloquio» (67).
Descrive così un’idea centrale espressa nel fatto che la Chiesa è consapevole di avere il suo posto in mezzo al mondo d’oggi. Anche se i cristiani non sono del mondo, essi vivono però nel mondo e devono annunciare in questo mondo il Vangelo alla gente di oggi. Questo dialogo aperto a tutti «è uno dei punti più importanti nella vita attuale della Chiesa» (68) e deve avere la seguenti caratteristiche: essere condotto in libertà, essere sostenuto dall’amore e dall’amicizia, non deve conoscere calcoli né confini, e non deve mai offendere nessuno (cf. 73-79).
Il papa presenta alcune linee importanti su come il messaggio cristiano deve essere trasmesso in maniera credibile in dialogo con gli uomini. Tenendo presente i partner, Paolo VI sviluppa il modello dei “cerchi concentrici”. Come primo partner del dialogo indica l’umanità in quanto tale, in secondo luogo tutti coloro che credono in Dio, in terzo luogo i fratelli separati e, infine, i membri della Chiesa cattolica.
Il papa conclude: «Siamo ardentemente desiderosi che il dialogo interiore in seno alla comunità ecclesiale si arricchisca di fervore, di temi, e di partner, così che si accresca la vitalità e la santificazione del Corpo Mistico terreno di Cristo» (120).
Il teologo emerito di teologia fondamentale di Würzburg, Elmar Klinger, un giorno dichiarò: «Non è pensabile una chiesa senza dialogo». I tempi del rifiuto del dialogo e della delimitazione polemica verso gli altri, con il concilio Vaticano II sono definitivamente superati.
Paolo VI l’ha affermato chiaramente nella sua enciclica Ecclesiam suam. Si tratta perciò di un importante documento che merita di essere riletto. Le sue idee centrali sono entrate a far parte dei testi del concilio. Ma l’invito esplicito al dialogo che ha espresso 55 anni or sono, continua a risuonare anche oggi. Ed è importante non ignorarlo. (katholisch.de 06.08.2019)