«Il celibato dei preti è indispensabile», avrebbe scritto un cardinale assieme al papa emerito (R. Sarah – Benedetto XVI, Dal profondo del cuore, Fayard); bisognerebbe leggere per intero un testo ancora largamente inedito per capire questa provocazione. A meno che non ci troviamo di fronte a una schizofrenia, non oso immaginare che, soprattutto quello che dei due fu vescovo di Roma, possa sostenerla in senso proprio, cioè per essere preti sia indispensabile non essere sposati. Non regge né a livello biblico, né teologico, né canonico. Entrambi dovrebbero ben conoscere sia la realtà dei presbiteri cattolici sposati di rito orientale, sia quella dei presbiteri cattolici sposati in quanto ex anglicani rientrati nella chiesa di Roma in virtù del motu proprio Anglicanorum Coetibus promulgato dall’allora Benedetto XVI, successore di quel Pietro che fu sposato.
«Personalmente penso che il celibato sia un dono per la Chiesa […] Troppo facile affermare che tutto ciò sarebbe solo la conseguenza di un disprezzo per la corporeità e la sessualità». Altrettanto personalmente direi che nessuno dice il contrario; il celibato dei preti nasceva per esigenze pratiche e pure economiche, tra le quali evitare l’ereditarietà del patrimonio, nondimeno si assumeva a modello la ricchezza spirituale del celibato nelle fraternità monastiche.
«Dalla celebrazione quotidiana dell’Eucaristia, che implica uno stato permanente di servizio a Dio, sorse spontaneamente l’impossibilità di un legame coniugale […] Si può dire che l’astinenza sessuale funzionale si è trasformata in astinenza ontologica»… oltre a confondere qui astinenza con la promessa di non sposarsi (celibato), questa dell’«astinenza ontologica» pare una curiosa fantasticheria. Poi però si apre uno sprazzo: «Soltanto rimarrebbe qualche possibilità nei posti lontanissimi, penso alle isole del Pacifico, ma è qualcosa da pensare quando c’è necessità pastorale. Il pastore deve pensare ai fedeli».
Quindi per necessità pastorale «nei posti lontanissimi» (rispetto a cosa, rispetto a Roma? Quali sono i criteri di lontananza/vicinanza, se la Chiesa è universale?) sarebbe nondimeno possibile avere preti sposati, secondo il papa emerito. E allora c’è bisogno di fare tanto chiasso?
Le vocazioni si confermano, non si eludono
La Chiesa sinodalmente nei mesi scorsi ha aperto la possibilità all’autorità legittima dei vescovi di ordinare presbiteri uomini sposati che attualmente sono diaconi; deduco quindi che vada letta correttamente come un’indispensabilità escatologica e profetica: è indispensabile che nella Chiesa ci siano anche preti celibi, che mostrano uno stato di vita differente dagli sposati, proprio per preservare l’ecologia, la biodiversità, la multiformità delle esperienze ministeriali. Dovremmo preoccuparci se tutti i preti fossero sposati; sono d’accordissimo. Ma è cosa ben lontana, direi, dallo scenario attuale, nel quale non si è data neppure la possibilità ai preti di sposarsi, ma ai diaconi di ricevere l’ordine del presbiterato.
«Non sembra possibile raggiungere entrambe le vocazioni contemporaneamente», pare abbia invece scritto letteralmente. Cioè quindi chi oggi è un presbitero cattolico sposato non riuscirebbe a vivere entrambe le vocazioni? Il primo vescovo di Roma non vi sarebbe riuscito? È un riscontro ex post su alcune esperienze di vita fallimentari e/o una considerazione “ontologica”? E allora perché, anziché imporre il celibato a tutti presbiteri cattolici, l’allora pontefice ha mantenuto la possibilità di ordinare sposati nei riti orientali e in chi arrivava dal presbiterato/episcopato anglicano? Sono il “male minore” rispetto al vederli preti in una chiesa che ha nel suo clero anche donne e omosessuali praticanti dichiarati? Li considera di serie B, ministri solo funzionali e non “ontologicamente” preti? Sempre che si possa continuare a sostenere una teologia clericale della “diversità ontologica” del prete, quando un tempo si diceva “ontologica” per affermare semplicemente che non è di tipo gerarchico, di statura o di dignità.
Una valutazione compiuta sarà possibile solo dopo aver letto il testo completo. Talora le anticipazioni sembrano costruite come trappole utili alla polemica, mentre l’insieme delle riflessioni potrebbe alla fine rivelarsi non così lontano da alcune conclusioni del documento finale del sinodo dell’Amazzonia.
Allo stato attuale parlerei di sconnessione. E non solo dal cammino ecclesiale universale, ma proprio a livello teologico e argomentativo. Faccio fatica a credere che un teologo del calibro di Ratzinger, autore della Spe Salvi e della Caritas in Veritate, possa oggi aver detto simili cose; più plausibile che il “circolo magico” gli nasconda qualcosa e lo manipoli. È ingenuità o semplicità evangelica? La sua attuale condizione purtroppo non gli permetterà una risposta adeguata. Spero solamente sia altrettanto sconnesso dai giochi sporchi della frangia anti-Francesco. In questo caso, decisamente a suo onore.
Nell’intervista a Le Figaro, il card. Sarah ha dichiarato che «numerosi rappresentanti delle Chiese orientali ci dicono che il clero uxorato è in crisi», quindi deduco che è una constatazione ex post che quasi consiglierebbe una revoca di tale “eccezione”. Ma a me non pare che il clero celibatario sia meno in crisi rispetto a quello uxorato né che sia la soluzione rispetto alla sbandierata crisi del clero uxorato. Resta aperto quel tuo interrogativo sull'”Anglicanorum Coetibus”, promulgato per approfittare della crisi interna all’High Church rimpolpando le fila romane di tradizionalisti anglicani contrari alle ordinazioni femminili, come dicevo. Concordo appieno anche sull’abuso del termine “sacerdozio” (non a caso evitato nel mio articolo) per designare unicamente i presbiteri, problema evidente anche nel Documento Finale del recente Sinodo amazzonico: «Nel quadro di Lumen Gentium 26 [dove si parla del vescovo della chiesa locale], l’autorità competente [cioè il vescovo, se ci si riferisce a LG 26] stabilisca criteri e disposizioni per ordinare sacerdoti [sic!] uomini idonei e riconosciuti dalla comunità, i quali, pur avendo una famiglia legittimamente costituita e stabile, abbiano un diaconato permanente fecondo […]». Si può fare questo con un rito amazzonico ad hoc per evitare di cambiare la legge del celibato del rito latino, cosa che Papa Francesco nella conferenza stampa in aereo del 28/1/2019 diceva di voler scongiurare? Parimenti, altrove vi è spesso confusione tra “presbitero” e “parroco”: non è detto che tutti i preti debbano essere parroci; proprio il Sinodo apre la strada pure a “donne coordinatrici di comunità” che non sarebbero presbitere. Oggi ci sono diaconi permanenti per vocazione (da valorizzare, chiede il Sinodo) e altri invece che avrebbero quella presbiterale (non necessariamente a diventare “parroci”) ma sono costretti a viverla nel diaconato. Infine preciserei che in seguito alla Costituzione apostolica “Episcopalis communio” il documento finale del Sinodo dei Vescovi, approvato dal Papa, ha valore magisteriale anche senza la seguente Esortazione apostolica post-sinodale, alla quale troppe volte si è passata la patata bollente e che stavolta, seppur annunciata entro fine 2019, non è ancora pervenuta.
Vedo che nessuno aveva riflettuto sul fatto che il testo non è di Ratzinger come emerso da ieri sera.
A volte si scrivono tante parole per nulla…
Ho letto l’articolo ricavandone purtroppo la sensazione che, nonostante venga suggerito di attendere la pubblicazione del libro per formulare un’opinione fondata, si dia di quest’ultimo già un giudizio negativo inappellabile.
A prescindere dalla mia percezione personale, una maggior ed effettiva prudenza avrebbe comunque permesso di scoprire che buona parte dei quesiti senza dubbio non banali posti da Piotr Zygulski – cito, ad esempio, il valore del sacerdozio dei presbiteri provenienti dalla Comunione Anglicana ed accolti nella Chiesa Cattolica conformemente a quanto disposto dalla Costituzione Apostolica “Anglicanorum Coetibus” – sono già raccolti e sviluppati dai due autori dell’opera, come si evince dagli estratti resi noti dal Blog “Settimo Cielo” di Sandro Magister. E credo che ciò avrebbe giovato anche ad un eventuale commento critico, quale questo è.
Segnalo poi che il riferimento alle “isole del Pacifico”, quali località menzionate nell’articolo con una certa ironia per squalificare le argomentazioni del Papa Emerito, appartiene in realtà alla conferenza stampa di Papa Francesco sul volo di ritorno da Panama (gennaio 2019): è dunque all’attuale Vescovo di Roma che si deve domandar conto – sono persuaso che non mancherà analogo coraggioso tono incalzante – di cotanto “sprazzo” dileggiato chiedendo “rispetto a cosa, rispetto a Roma? Quali sono i criteri di lontananza/vicinanza, se la Chiesa è universale?”
Concludo con un’annotazione che non mi sembra così secondaria. Non riesco sinceramente a trovar convincenti numerosi passaggi dell’articolo di Piotr Zygulski; tuttavia anche chi onestamente, diversamente da me, non provasse apprezzamento verso la produzione teologica di Joseph Ratzinger, immagino non possa percepire quel “allora c’è bisogno di fare tanto chiasso?” davvero infelice, al limite dell’imbarazzante.
Ringrazio dello spazio cortesemente concessomi per questo commento – confido risulti rispettoso come mio proposito, seppur innegabilmente dissonante – e porgo cordiali saluti
Gentilissimo Marco Ravalico, grazie per le osservazioni. Il giudizio negativo sarebbe più che altro sull’operazione editoriale e mediatica, per la quale si attendono ulteriori sviluppi, anche considerando le vere o presunte smentite riguardo la piena consapevolezza.
Ho avuto modo di leggere gli ulteriori estratti pubblicati non a caso da Magister, sempre molto polemico nei confronti di Papa Francesco, purtroppo solo dopo la stesura del mio articolo. Ora inizia a delinearsi meglio. Si parlerebbe in effetti dei presbiteri provenienti dalla comunione anglicana e del clero uxorato di rito orientale nell’intervento a firma di Sarah, che lo descrive come qualcosa di “transitorio”, ponendo di fatto come fine l’omologazione di tutti i presbiteri (non solo quelli di rito latino) a un’unica forma celibataria per il supposto legame ontologico astinenza=sacerdozio.
Giustamente si sottolinea altresì che le parole sui “lontani” presenti nell’introduzione al libro sono citate letteralmente dalla conferenza stampa di papa Francesco, al quale rivolgo sicuramente la medesima osservazione, pur nelle più tollerabili sbavature del parlato a braccio; in un articolo recente uscito su Ricerche Teologiche 2/2019 ho analizzato l’utilizzo funzionale delle coppie dentro/fuori, entrare/uscire negli interventi di papa Francesco. La sbavatura della frase si somma all’ambiguità (come dico nel commento precedente in risposta al professor Di Palma) sul voler da un lato mantenere l’attuale legge del celibato (papa Francesco precisa “per il rito latino”), dall’altro nel prevedere un clero uxorato in caso di necessità; forse risolvibile con un rito ad hoc? Ipotesi che non mi pare considerata da questo libro in pubblicazione. Sarebbe comunque da vedere nel contesto se e come viene recepita siffatta affermazione di Papa Francesco che si riferiva all’ipotesi di Lobinger (che Magister deplora), anche perché poi si implorerebbe al pontefice di porre «il suo veto contro ogni indebolimento della legge del celibato sacerdotale, anche se limitato all’una o all’altra regione». Quindi forse quello “sprazzo” presente nell’introduzione del libro sarebbe in realtà una presa di distanza da papa Francesco (e dal cammino sinodale)? Se avessero voluto confermarlo, non ci sarebbe stato bisogno di tanto chiasso. E anche se invece avessero muovergli alcune critiche (come le mie, seppur sotto un altro profilo) in pieno rispetto filiale e per l’unità della Chiesa, parimenti non ci sarebbe stato bisogno di tanto clamore mediatico con tali toni emergenzialistici, suppliche e gridi d’allarme lanciati dal card. Sarah.
Gent.mo Piotr Zygulski,
ringrazio per l’attenzione al mio commento e per la risposta.
Al netto delle vicende mediatiche di queste ultime ore, rimane adesso la sostanza – Benedetto XVI ed il Cardinale Robert Sarah hanno collaborato scientemente alla stesura di un libro – sulla quale sarà possibile pronunciarsi a pubblicazione avvenuta.
Quale ipotesi, non escluderei che parte delle considerazioni sviluppate, suppongo anche in grado di fornire chiarezza per quanto concerne la scelta di utilizzare la forte locuzione “astinenza ontologica”, si ponga sulla scia dell’insegnamento del Concilio Ecumenico Vaticano II, il quale, come noto, nel Decreto “Presbyterorum Ordinis”, senza faticare nel rilevare con gratitudine l’esistenza di “eccellenti presbiteri coniugati”, riesce ad affermare che “il celibato, comunque, ha per molte ragioni un rapporto di convenienza con il sacerdozio”.
Sul “bisogno di tanto chiasso”, identificato quale frutto della condotta del Papa Emerito e del porporato guineano – noto che, con eleganza, il vocabolo viene nuovamente adoperato, evidentemente interpretandolo non infelice – credo si debba tener presente l’orizzonte nel quale i due autori, quali Vescovi della Chiesa Cattolica, abbiano lecitamente dichiarato di muoversi, non solamente in questa circostanza, ed ai quali, come ad ogni interlocutore al quale ci si voglia rapportare con rispetto, deve essere concesso di decidere quale sia senza attribuirne altri: essi ritengono di dover esporsi coerentemente ad un ministero ecclesiale loro affidato da Qualcuno, con il Quale immaginano non tra molto dovranno incontrarsi.
Ciò non rende le loro argomentazioni nel dettaglio automaticamente condivisibili, va da sé; sono persuaso tuttavia giovi ricordare la prospettiva allo scopo di formare più compiutamente il proprio giudizio sulla proporzione (o sulla sproporzione) delle loro parole rispetto alla realtà attuale.
Sulla base di numerosi episodi accaduti in questi ultimi anni ed anche di esperienze personali, ammetto di non essere in grado poi di nutrire il medesimo ottimismo, in questa stagione ecclesiale, in merito alla possibilità che presso la Sede petrina “alcune critiche in pieno rispetto filiale e per l’unità della Chiesa” possano trovare agevolmente ascolto e mi rendo conto pertanto di non percepire così fuori misura le modalità utilizzate da Benedetto XVI e dal Cardinale Robert Sarah: sia per il valore del tema affrontato sia appunto in relazione alla probabilità che il pensiero espresso venga conosciuto.
Ma tale circoscritta differenza di valutazione reputo faccia emergere una distanza che ho avvertito in filigrana nella più ampia interpretazione di altri più o meno recenti eventi ecclesiali e che, al di là dei nostri punti di vista confrontati con garbo, sono convinto sia alla radice dei comportamenti ai quali stiamo assistendo in questi giorni
Ormai lo scisma è nei fatti.
A Roma nessuno è in grado di impedirlo.
È una cosa dolorosissima ma ormai inevitabile.
Che Dio ci aiuti.
Grazie, Piotr. Tra i molti modi nei quali sarebbe possibile commentare, espliciteró solo poche idee: trovo inspiegabile la mancata menzione, almeno negli stralci riportati dalle anticipazioni giornalistiche, del fatto che un SUO (di Benedetto XVI) atto di governo è andato nel 2009 a legittimare precisamente la possibilità che nella Chiesa Cattolica uomini sposati abbiano accesso all’esercizio del ministero ordinato (è parimenti inspiegabile che in un testo che reca quelle due firme si parli di “sacerdozio” univocamente in riferimento al presbiterato, ma forse questo dipende anche dal fatto che ormai quasi nessuno più ricorda che per “sacerdozio” si deve intendere innanzitutto quello battesimale, secondo le distinzioni operate in molti modi all’interno del Concilio Vaticano II, e visibilissime perlomeno in LG 10 nonché nello stesso titolo del documento “Presbyterorum Ordinis”). Nel testo a doppia firma che sta per essere pubblicato, la possibilità di ordinare uomini sposati viene comunque ammessa per “necessità pastorali” che, in via esemplificativa, vengono riassunte menzionando le lontanissime isole del Pacifico…ossia per le stesse identiche esigenze (raggiungere luoghi remoti) alle quali si darebbe risposta nel caso in cui, nell’Esortazione Postsinodale di prossima pubblicazione, venisse decisa ed estesa la possibilità di ordinare “viri probati”. Rispetto poi a quell’atto di governo del 2009, mi auguro che il testo a doppia firma in via di pubblicazione dia risposta ad alcune domande che oggi viene spontaneo formulare: fu un errore? Benedetto XVI ha cambiato idea rispetto ad allora, o magari in quell’atto intravede specificità che lo isolano dall’insieme delle questioni che le anticipazioni a nostra disposizione pongono? Le sue disposizioni di allora, oggi, sarebbero almeno parzialmente differenti? Non ho infine idea di come alcune espressioni possano essere recepite positivamente in ambito greco-cattolico, oltre che ortodosso, dato che, come giustamente metti in rilievo anche tu, da sempre i presbiteri cattolici di rito greco possono essere uxorati, e in questo testo sembra che la loro condizione contraddica esplicitamente “l’impossibilità di un legame coniugale”, a motivo della mancata pratica di quella “astinenza ontologica” (!) riguardo alla quale posso solo sottoscrivere il tuo pacato giudizio.