500 anni fa, nel 1519, Erasmo da Rotterdam (1469?-1536) pubblicava la sua seconda edizione del testo greco del Nuovo Testamento – condotta, a suo dispiacere, sulla base di pochi manoscritti venuti dall’Oriente e piuttosto recenti –, con a fronte il testo latino della Vulgata che già da tempo aveva iniziato a rivedere e a correggere.
L’edizione, a cui sarebbero seguite altre tre ogni volta migliorate e ampliate con accuratissime e dotte annotazioni critiche, era comunque frutto di un lavoro che Erasmo era riuscito a svolgere in modo meno affrettato di quello che gli aveva permesso di pubblicare, nel 1516, la prima edizione a stampa dei libri neotestamentari.
Anticipando così di 6 anni la diffusione dell’edizione del Nuovo Testamento, predisposta per la Bibbia Poliglotta e già pronta dal 1514 all’università Complutense per essere pubblicata, ma ancora in attesa della licenza papale.
Il Vangelo e la “philosophia Christi”
È noto il ruolo essenziale che Erasmo assegnava alla conoscenza del Vangelo per quel rinnovamento religioso della Chiesa che era avvertito con particolare urgenza nel passaggio dal XV al XVI secolo. Ricorrente era il suo desiderio che la Bibbia fosse divulgata nelle lingue moderne, che il testo sacro circolasse nelle mani «del contadino, del sarto, del pellegrino, del turco». Così ancora scriverà nel 1523: «In tanta corruzione del mondo, in tanto divario di opinioni, nel quale tutto è in preda alla confusione, dove ricorrere se non alle purissime sorgenti della Sacra Scrittura, della quale la parte più pura e illibata sono i Vangeli?».
Era quella, infatti, un’epoca in cui, dietro la spinta delle conquiste e delle esigenze evidenziate dalla cultura umanistica e dal diffondersi della nuova spiritualità promossa dalla Devotio moderna, si tornava a reclamare da più parti una riforma della Chiesa in grado di renderla maggiormente conforme al modello delle origini, un ritorno a quella comunità apostolica così ben descritta soprattutto nei primi capitoli degli Atti degli Apostoli.
Al centro della sua proposta riformatrice Erasmo pone la philosophia Christi, «un mododi concepire l’intera vita dell’uomo rinato dall’acqua e dallo Spirito, vita dominata dallo spirito di libertà e di carità», ovvero «il ripristino della genuina pietà cristiana» che ha come elemento costitutivo la pace.
Nel vasto programma di riforma pensato, proposto e attuato da Erasmo, non sono poche le considerazioni che possono ritenersi in vario modo profetiche di tanti esiti a cui, a distanza di più di 500 anni, sarebbe pervenuto il concilio Vaticano II, espressione dell’“aggiornamento” voluto da Giovanni XXIII e da lui inteso come fortemente esigito dalle nuove istanze emergenti dal mondo moderno, quelle istanze che egli riconosceva come “segni dei tempi” in un mondo che, così come nell’epoca erasmiana, chiedeva alla Chiesa una riforma profonda. Ma non solo: Erasmo si dimostra anche anticipatore di tante affermazioni che, in diversi contesti, ricorrono nei discorsi e negli interventi omiletici di papa Francesco.
Mi limito a segnalare alcune espressioni erasmiane che risultano particolarmente sintoniche e anticipatrici di quanto si può trovare nei documenti conciliari e negli interventi di Francesco.
In riferimento al Vaticano II
In riferimento al concilio Vaticano II, Erasmo si anticipa almeno nella sottolineatura di due delle sue fondamentali acquisizioni: l’immagine della Chiesa come popolo di Dio e la sua missione, e l’universale vocazione alla santità.
Scriveva Erasmo: «Il fatto che il popolo cristiano ha preso il nome di Chiesa, a che cosa ci esorta se non alla concordia?» (Querela pacis); e di nuovo: «… come se il popolo non fosse esso stesso la Chiesa…!» (Dulce bellum inexpertis).
Nella sua proposta riformatrice egli poneva Cristo al centro dei tre circoli, nei quali vedeva inserite le tre componenti della società: clero, principi, popolo, e così spiegava: «Se è presente la regola della carità cristiana, facilmente tutte le cose saranno commisurate secondo questa… Rimanga Cristo, ciò che è il centro negli ambienti di forma circolare. Non rimuovere lo scopo dal luogo suo.
Quelli che sono più vicini a Cristo, sacerdoti, vescovi, cardinali, papi e quelli per i quali è compito specifico seguire l’agnello dovunque vada, abbraccino quella purissima parte [del circolo] e la trasfondano nei prossimi cerchi… da tutti, comunque, ognuno per la sua porzione, si deve risplendere in Cristo.
Vi è un posto per ognuno degli elementi, ma il fuoco ha il sommo posto: piano piano rapisce a sé tutte le cose e, per quanto è lecito, le trasforma nella sua natura… Per questo si deve da tutti mettere innanzi lo scopo per il quale brillare. Questo scopo poi è unico ed è Cristo e la sua purissima dottrina. Né è necessario che escludiamo da questo scopo nessun genere di vita. La perfezione di Cristo è negli affetti, non nel genere di vita; negli animi, non nei vestiti e nei cibi… Io vorrei che tutti i cristiani vivessero in modo tale che quelli che ora sono chiamati i soli religiosi, apparissero poco religiosi… È opportuno che tendiamo insieme verso quell’unico capo, se vogliamo essere veramente cristiani» (Lettera a Paolo Voltz).
Nei confronti, infine, dell’impegno missionario, dietro il quale per altro si tendeva a giustificare la guerra che si stava preparando contro i Turchi, scriveva: «Vogliamo condurre i Turchi a Cristo? Non facciamo mostra di ricchezze, di eserciti, di potenza. Che essi piuttosto vedano in noi non soltanto l’etichetta, ma le caratteristiche genuine dell’uomo cristiano: la vita irreprensibile, il desiderio di fare del bene anche ai nemici, l’incredibile sopportazione di tutte le offese, il disprezzo del denaro, il disinteresse per la gloria, la poca considerazione per la vita; sentano che il divino insegnamento di Cristo concorda con questo genere di vita» (Dulce bellum inexpertis).
Tra i numerosi testi dei documenti conciliari che sembrano riecheggiare il pensiero erasmiano, cito alcune espressioni tratte da Lumen gentium: «La luce delle genti è Cristo; e questo santo sinodo, riunito nello Spirito Santo, desidera ardentemente illuminare tutti gli uomini con la luce di Cristo che si riflette sul volto della Chiesa, annunciando il Vangelo ad ogni creatura»; «… la Chiesa intera appare come il popolo radunato nell’unità…»; «ai credenti, membra del suo corpo, Cristo comunica la sua vita»; «Nella Chiesa tutti sono chiamati alla santità… Maestro e modello di ogni perfezione, autore e perfezionatore della santità di vita, il Signore Gesù l’ha predicata a tutti e a ciascuno dei suoi discepoli, a qualsiasi condizione appartenessero… È dunque evidente che tutti i fedeli cristiani, di qualsiasi stato o ordine, sono chiamati alla pienezza della vita cristiana e alla perfezione della carità».
Sul valore poi della testimonianza di vita dei credenti nel compito missionario così recita Ad gentes: «Tutti i fedeli cristiani, dovunque vivono, sono tenuti a manifestare con l’esempio della vita e con la testimonianza della parola l’uomo nuovo, che hanno rivestito con il battesimo… così che gli altri, considerando le loro buone opere, glorifichino il Padre…».
In riferimento a papa Francesco
A sua volta Francesco così si esprime: «La santità e l’esercizio delle virtù non sono riservati a pochi, e nemmeno a qualche momento particolare dell’esistenza. Tutti possono viverle nella quotidiana fedeltà alla vocazione cristiana» (1° ottobre 2018). E a chi gli chiedeva se voleva fare la riforma della Chiesa, risponde: «No, voglio solo mettere Cristo sempre più al centro della Chiesa. Poi sarà lui a fare le riforme necessarie».
E se, per Erasmo, l’opposizione più radicale alla philosophia Christi è la guerra perché suo elemento costitutivo è la pace, da parte sua Francesco sottolinea come Cristo l’abbia offerta come suo «primo dono… agli Apostoli dopo la sua dolorosa passione e dopo aver vinto la morte» e come pertanto essa sia anche «il primo compito che i capi delle Nazioni devono perseguire» (Discorso del 10 aprile 2019 ai capi del Sud Sudan).
Infine, come Erasmo considerava fondamentale la coerenza di vita tanto da dichiarare che «è minor male essere apertamente turco o giudeo che ipocritamente cristiano» (Dulce bellum inexpertis), così si esprime Francesco: «È uno scandalo quello di persone che vanno in Chiesa, che stanno lì tutti i giorni e poi vivono odiando gli altri e parlando male della gente: meglio vivere come ateo anziché dare una contro-testimonianza dell’essere cristiani» (2 gennaio 2019).
E i riscontri potrebbero moltiplicarsi.