Mariano Crociata, 64 anni, viene nominato nel 2007 da papa Benedetto XVI vescovo di Noto e l’anno successivo viene chiamato a ricoprire il ruolo di segretario generale della CEI. Nel 2013 papa Francesco lo nomina vescovo di Latina-Terracina-Sezze-Priverno. Ha sostituito mons. Gianni Ambrosio, vescovo di Piacenza, come delegato CEI per la Comece. Il suo articolo fa seguito proprio a quello del vescovo Ambrosio ospitato da Settimananews il 3 novembre.
Un evento di assoluto rilievo sociale e culturale, oltre che ecclesiale, quello promosso a Roma dalla Comece in occasione dei sessant’anni dell’Unione Europea, per la situazione in cui questa si trova nella fase attuale della sua storia, per la puntualità dei temi affrontati (integrazione all’interno e all’esterno, il dialogo e lo stato della democrazia, l’economia in cambiamento), per la platea degli oltre 350 partecipanti e l’ampio dibattito sviluppato, per l’intervento del papa.
Al di là delle competenze proprie della Comece, le questioni sollevate investono per intero la presenza della Chiesa in Europa. La domanda posta dal papa sulla responsabilità dei cristiani in questa fase dell’Unione tocca, allo stesso tempo, la Chiesa e l’Europa come tale.
Il suggestivo riferimento a san Benedetto, lungi dall’interpretazione della cosiddetta “opzione Benedetto” nel senso di un impossibile ritrarsi dal mondo, indica nell’investimento della propria presenza nella direzione del dialogo e dell’integrazione il compito proprio dei cristiani nell’Europa di oggi.
In questo compito la Chiesa agisce con la coscienza di una comunità di credenti e di un’istituzione storica dotata dell’esperienza e della capacità di farsi carico – cattolicamente – dell’intero. La Chiesa ha a cuore l’Europa non per se stessa ma per il bene dei popoli che la compongono, del loro benessere e del loro sviluppo umano e culturale, e poi anche per il contributo indispensabile che l’Unione può dare al concerto globale delle nazioni.
Il metodo del dialogo e dell’integrazione richiede di cercare il punto di equilibrio all’interno di alcuni campi di tensione, che interessano il rapporto tra identità nazionali e processi unitari europei, tra le zone e i territori più sviluppati e quelli più arretrati, tra abitanti di antica data e nuovi arrivati (immigrati europei ed extra-europei), tra istituzioni europee (e relative burocrazie) e cittadini del continente, non ultimo tra culture e mentalità sempre più plurali e diversificate fino al rischio di contraddizione.
Alcune tensioni sembrano, a volte, raggiungere il punto di rottura un caso estremo le cui conseguenze devastanti colpirebbero ben oltre i diretti interessati e gli immediati vicini.
La tentazione della strumentalizzazione populistica che fa leva sulle paure è sempre la risposta più pericolosa, nonché la più dannosa per il cammino di unificazione. Il compito paradossalmente più urgente e più lento, per i tempi richiesti, è l’educazione del cittadino europeo. Esso non può essere assolto che attraverso un processo di presa di coscienza frutto di un impegno di tutti gli attori in gioco in un clima di dialogo e di confronto costruttivo. La Chiesa può offrire in tal senso un contributo decisivo, come ha mostrato di essere consapevole l’assemblea che ha svolto il colloquio su Ri-pensare l’Europa.
La comunione ecclesiale è evidentemente qualcosa che supera di gran lunga i compiti storici di un’epoca e processi sociali contingenti, e tuttavia non per questo rimane avulsa dal cammino dell’uomo. Essa costituisce un fermento per esso, e perciò anche un fattore di unità civile. La vera sfida in tal senso è lanciata alle comunità ecclesiali e alla loro capacità di ricomporre in unità l’originalità e le differenze che inevitabilmente le caratterizzano.
La Comece può offrire un contributo in tale direzione, con la sua finalità statutaria non solo di interloquire con le istituzioni europee ma anche di portare all’attenzione degli episcopati nazionali il senso e le trasformazioni del cammino dell’Unione.