Le vicende della Chiesa cattolica statunitense si attestano, al momento, tra la soap opera patinata e il gossip hollywoodiano.
Il tenore del confronto scade di livello giorno dopo giorno, mettendo a repentaglio la credibilità già esigua di una Chiesa lacerata, che non ha alcuna volontà di anche solo immaginarsi un qualche processo di riconciliazione. Almeno per quanto riguarda i vescovi, i cattolici comuni sono chiamati a ingurgitare il rospo di un’istituzione oramai inguardabile.
Solo di qualche giorno fa è il comunicato stampa del vescovo di Cincinnati, mons. D. Schnurr, in merito alla presenza del presidente Biden a un incontro della municipalità cittadina ospitato dalla Mount St. Joseph University.
Schnurr sottolinea come l’Università, di proprietà delle Suore della Carità, non gli abbia richiesto il permesso per invitare Biden a un incontro che si sarebbe tenuto al suo interno, affermando che non lo avrebbe concesso – senza specificare le ragioni di questo suo ipotetico diniego.
Dopodiché è esploso l’affare Burril, segretario generale della Conferenza episcopale statunitense – costretto a rassegnare le dimissioni in seguito a un reportage del sito online The Pillar nel quale, grazie alla raccolta di dati di una app installata sul cellulare di Burril, quest’ultimo veniva collegato a un giro online di incontri di carattere omosessuale.
La rivista dei gesuiti statunitensi America afferma che con l’affare Burril “la Chiesa americana è pericolosamente entrata in una nuova realtà” (Z. Davis) – per la forma di giornalismo implicata, per l’uso che viene fatto di informazioni personali, per la strumentalizzazione che tutto questo comporta nella vita della Chiesa locale.
Nella guerra tutti contro tutti, che è la condizione del cattolicesimo statunitense odierno, si è pronti a smantellare ogni limite etico, professionale, di privacy e di semplice decenza.
Z. Davis, conclude il suo articolo, avanzando la domanda più seria e gravosa – ossia quella della ricattabilità trasversale dell’episcopato americano, dove ci si tiene in ostaggio reciproco sotto la minaccia di una pubblicazione di comportamenti personali, reali o presunti, compromettenti.
Mentre la Conferenza episcopale statunitense si fa paladina per la difesa della libertà religiosa nel mondo, essa sembra essere del tutto incapace di un minimo rispetto personale tra i suoi componenti – rischiando il ridicolo.
Ma di questa degenerazione larga parte del corpo episcopale e ampie fette del cattolicesimo americano non sembrano preoccuparsi, tanto sono impegnati nel vincere la loro guerra contro i loro due grandi nemici: papa Francesco e il presidente Biden.
Costi quel che costi, senza ben sapere poi che cosa se ne guadagna – se non una misera e triste vittoria di Pirro (eventualmente).