“Sono allo studio del Governo nuove misure per consentire il più ampio esercizio della libertà di culto”. Le parole del ministro dell’Interno, Luciana Lamorgese, nell’intervista rilasciata lo scorso giovedì 23 aprile ad Avvenire arrivavano dopo un’interlocuzione continua e disponibile tra la Segreteria Generale della CEI, il Ministero e la stessa Presidenza del Consiglio.
Un’interlocuzione nella quale la Chiesa ha accettato, con sofferenza e senso di responsabilità, le limitazioni governative assunte per far fronte all’emergenza sanitaria. Un’interlocuzione nel corso della quale più volte si è sottolineato in maniera esplicita che – nel momento in cui vengano ridotte le limitazioni assunte per far fronte alla pandemia – la Chiesa esige di poter riprendere la sua azione pastorale.
Ora, dopo queste settimane di negoziato che hanno visto la CEI presentare Orientamenti e Protocolli con cui affrontare una fase transitoria nel pieno rispetto di tutte le norme sanitarie, il Decreto della Presidenza del Consiglio dei Ministri varato questa sera esclude arbitrariamente la possibilità di celebrare la Messa con il popolo.
Alla Presidenza del Consiglio e al Comitato tecnico-scientifico si richiama il dovere di distinguere tra la loro responsabilità – dare indicazioni precise di carattere sanitario – e quella della Chiesa, chiamata a organizzare la vita della comunità cristiana, nel rispetto delle misure disposte, ma nella pienezza della propria autonomia.
I Vescovi italiani non possono accettare di vedere compromesso l’esercizio della libertà di culto. Dovrebbe essere chiaro a tutti che l’impegno al servizio verso i poveri, così significativo in questa emergenza, nasce da una fede che deve potersi nutrire alle sue sorgenti, in particolare la vita sacramentale.
Nell’attuale pandemia gli aspetti che Chiesa e Stato nelle rispettive sfere di competenza vogliono governare sono innegabilmente strettamente interconnessi. Premetto che personalmente son cattolico osservante ma devo anche dire che, in questi tempi,se si potesse giustificare l’andar per strada dicendo: “sto andando a messa”, allora sarebbe forse meglio rinunciare a qualsiasi tipo di confinamento lasciando fare a ognuno ciò che gli pare. Al di la della pandemia attuale, certi problemi esistono anche se ignorati. Stando a messa specie nei mesi freddi, è normale che chi ti siede accanto possa starnutire, tossire o soffiarsi il naso. Seguono poi strette di mano e la distribuzione dell’Eucarestia che dal punto di vista igienico qualche problema lo pongono. A volte il celebrante, nelle messe meno frequentate, incoraggia i presenti ad avvicinarsi all’altare e quindi a ridurre le distanze. Nella mia parrocchia, la prima cosa che ha fatto il nuovo parroco appena nominato, è stata l’eliminazione di tutte le sedie per lasciare soltanto le panche e costringere così tutti a serrare i ranghi, sicuramente partendo da lodevoli intenzioni ma con altri inconvenienti (in certe occasioni molti rimangono in piedi). Dirò un’ultima cosa: avendo dovuto sottopormi a chemioterapia, ricordo che il medico mi disse che anche andare a messa presentava qualche rischio. Chi segue determinati trattamenti ha difese immunitarie ridotte e anche un’influenza o un raffreddore possono avere conseguenze nefaste basti ricordare che la banale influenza miete annualmente parecchie vittime. Mi piacerebbe sapere quali rimedi propone la CEI.
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