Il contenuto di questo piccolo libro è prezioso. Se avessi potuto conoscerlo all’inizio del mio ministero, cinquant’anni fa, avrei accolto diversamente i genitori dell’adolescente che si era suicidato perché aveva scoperto la propria omosessualità. Avrei preso la difesa di quel curato di trentotto anni che, anche lui, si è suicidato perché, a causa di certi suoi atteggiamenti un po’ effeminati, veniva preso in giro pubblicamente, dicendolo omosessuale, senza avere alcuna prova che lo fosse. Sarei stato senza dubbio più attento a un membro del mio entourage, murato nel suo silenzio, annodato interiormente, che cercava di placare le sue sofferenze in una lunga terapia, fino al giorno in cui poté rivelare la sua omosessualità ai genitori.
Sì, malgrado i miei peccati, le debolezze, le fragilità e l’insieme di domande nella mia vita cristiana (celibato compreso, comunque scelto per il Cristo), non mi sono spesso trovato a mio agio nei confronti dell’omosessualità. Per sfuggirne o per sentirmi sicuro, mi attenevo a discorsi moralistici o accondiscendenti senza annunciare e proporre innanzitutto l’amore di Cristo per ogni persona. È ciò che capita, ci dice papa Francesco, «quando si parla più della legge che della grazia, più della Chiesa che di Gesù Cristo, più del papa che della parola di Dio» (Evangelii gaudium, n. 38). Progressivamente, il Signore mi ha aperto gli occhi e il cuore, nel corso degli anni, mediante diversi e numerosi incontri.
L’omosessualità resta, in parte, un mistero. Per la quasi totalità di coloro che ne sono interessati, comporta sofferenze che hanno molteplici cause. Non è più considerata come una malattia o una perversione, né le scienze umane hanno detto l’ultima parola sulle sue origini e sulle sue cause. La Chiesa deve restare in ascolto.
Oggi, so meglio che devo prima accogliere e ascoltare, senza barare con la parola di Dio e l’insegnamento della Chiesa, accompagnando con discernimento e speranza. Per ogni cristiano che si rivolge a me, fragile o forte nella sua fede, omosessuale o eterosessuale, peccatore comune o grande peccatore, cerco di essere uno strumento di Cristo, volto misericordioso del Padre.
È ciò che cerca anche l’associazione «Devenir Un En Christ» (Divenire uno in Cristo), che propone queste riflessioni pastorali e queste testimonianze rivolgendosi sia alle persone omosessuali, sia alle loro famiglie e ai loro amici, sia ai vescovi, ai diaconi, ai preti e a ogni cristiano. Quelle e quelli che qui si esprimono vogliono semplicemente condividere le loro domande, le loro scoperte, le loro sofferenze e le loro gioie, ma sempre alla luce della fede cristiana. Non pretendono di essere un esempio. Non sono affatto chiusi per sempre nelle loro posizioni. Pongono fiducia in Cristo e domandano il dono dello Spirito. In «Devenir Un En Christ» hanno trovato fratelli e sorelle cristiani con i quali meditare la Parola, pregare, sostenersi gli uni gli altri per meglio seguire Gesù, del quale sono i discepoli. Avanzano su strade talvolta caotiche e dolorose, talvolta piacevoli e gioiose. Il motivo è che a «Devenir Un En Christ» tutte le situazioni sono accolte nella discrezione e senza giudizi. Cristo non ci accoglie forse così come siamo, non appena ci rivolgiamo a lui con fiducia? E questo mai per dirci: «Stai benissimo come sei», ma piuttosto per assicurarci che ci ama e che, con il suo amore, può farci avanzare nella vera vita e trasformarci, aiutandoci con il suo Spirito ad avanzare nel compimento della sua volontà. Inoltre, vediamo nel vangelo che Gesù ha sempre prima ammirato ciò che c’era di buono in coloro che incontrava: «Non sei lontano dal regno di Dio» (Mc 12,34); «Neanche in Israele ho trovato una fede così grande!» (Lc 7, 9); «Sono perdonati i suoi molti peccati, perché ha molto amato» (Lc 7, 47). «Devenir Un En Christ» è anche una comunità di incoraggiamento che valorizza ciò che è bello e buono nella vita delle persone omosessuali e lotta perché non siano considerate solamente a partire dal loro orientamento sessuale. Quale sostegno per coloro che soffrono per raggiungere l’ideale evangelico! Ma non siamo così anche noi, in una maniera o nell’altra, nel corso della nostra vita cristiana? Non siamo tutti chiamati a «divenire uno in Cristo»? Non cerchiamo tutti con la grazia di Dio di unificare il nostro essere? «Tieni unito il mio cuore, perché tema il tuo nome» (Sal 86,11). La strada è talvolta faticosa e la lotta talvolta dura, ma «se l’ultimo giorno non ti troverà vincitore, ti trovi per lo meno ancora combattente» (Agostino, Discorsi 22,8).
Tutti i battezzati hanno bisogno gli uni degli altri per combattere il male in se stessi e attorno a essi e crescere in santità. L’appello che lanciano i membri di «Devenir Un En Christ» si rivolge a tutta la Chiesa, a tutte le comunità e particolarmente alle loro guide. È un appello che interroga e può disturbare, ma è certo che ci invita ad accogliere senza pregiudizi e ad ascoltare, a sbarazzarci della rigidità e della durezza (e forse delle nostre paure!) per aprire più largamente le porte alla verità e alla misericordia.
Il testo di Gérard Daucourt, vescovo emerito di Nanterre, che qui riprendiamo è la Prefazione del volume di Francesco Strazzari (a cura di), Fede, omosessualità, Chiesa. Riflessioni pastorali e testimonianze, EDB, Bologna 2018, pp. 112, euro 11.00.