Dopo aver parlato – nella prima parte dell’intervista – dei criteri che hanno ispirato la sua opera, dell’evento Gesù Cristo, della sistemazione paolina della Chiesa primitiva e della “svolta costantiniana”, il prof. Giovanni Filoramo affronta ora i dibattiti cristologici nella Chiesa dei primi secoli, l’apparire dello gnosticismo e il monachesimo delle origini.
– Prof. Filoramo, nel libro Storia della Chiesa 1. L’età antica, lei affronta anche alcune questioni teologiche, chiaramente dal punto di vista storico. Scrive della visione teologica duale della figura di Gesù: vero uomo e vero Dio. Non le pare che una certa dualità o pluralità teologica sia costitutiva della storia della Chiesa?
Sono convinto che lo studio delle dottrine teologiche sia fondamentale per lo studio della storia della Chiesa antica. Il mio manuale si propone perciò di introdurre gli studenti ad una visione complessiva della ricchezza delle posizioni. Ho senz’altro privilegiato questo aspetto, perché ritengo che caratterizzi la formazione del cristianesimo come religione e che stia dunque alla base della Chiesa come istituzione.
Normalmente si dice che la grande questione teologica sia quella trinitaria, ossia il rapporto tra il Padre e il Figlio. Questo è vero sin dalle testimonianze più antiche. Forse sin dalla stessa predicazione di Gesù. In Paolo abbiamo già una cristologia “alta”. In Paolo non esiste infatti il Gesù predicatore bensì il Cristo glorioso conosciuto in visione. È una cristologia “alta”, non solo perché presuppone la risurrezione ma anche l’origine divina di Gesù.
Naturalmente, anche nel vangelo di Giovanni abbiamo una cristologia molto “alta”: basti pensare al prologo. Dunque, alla fine del primo secolo, esiste già una cristologia “alta”.
Ma c’erano pure, contemporaneamente, spinte contrarie: a ritornare al Gesù solo uomo.
Dimensione orizzontale e dimensione verticale si sono sempre intersecate: la fede cristiana è davvero rappresentabile con una croce. Se Cristo è questa realtà che preesiste e che sussiste, come si rapporta con Dio Padre che il cristianesimo eredita dall’ebraismo come unico Dio? Come non cadere nel diteismo? Le discussioni, non a caso, si concludono sotto Costantino.
Chiesa antica: i due cristianesimi
La definizione di Nicea è una definizione pure politica. La critica protestante non aveva tutti i torti. La definizione teologica trova luogo nel nuovo scenario politico: Costantino è già divenuto l’unico imperatore e il concilio di Nicea è stato precisamente voluto da lui.
La decisione del concilio non è stata presa autonomamente da gruppi cristiani in conflitto. Costantino, in pratica, ha costretto i padri ad uscire dal concilio con una posizione unitaria. E quindi – quando questa decisione è presa – decide che chi non la firma venga esiliato, mentre lui stesso si sarebbe preoccupato di diffonderla nell’impero.
Formalmente, si può dire che la questione trinitaria, verso la fine del quarto secolo, sia stata chiusa. Nella storia successiva, in effetti, il dogma trinitario risulta più stabile rispetto al problema cristologico. Sarà infatti il problema cristologico, in seguito, a riesplodere con forza e a portare alla divisione delle Chiese, cosa che non è accaduta sul problema teologico trinitario.
Le decisioni del concilio di Calcedonia del 451 hanno portato a divisioni che arrivano sino ai giorni nostri. Dal mio punto di vista storico, la vera questione teologica rilevante è quella cristologica.
– Oriente e Occidente: le divisioni o differenziazioni di natura originariamente teologica hanno storicamente prodotto distinzioni tra (almeno) due Chiese e due mondi culturali. Nel libro si ritorna spesso ad Antiochia e ad Alessandria: sono quelle le due scuole su Gesù?
Io farei entrare sia la scuola di Alessandria sia quella di Antiochia in Oriente. Si possono vedere, infatti, le due scuole come antagoniste oppure come complementari. Siamo comunque nello stesso ambito greco e quindi nello stesso ambito di filosofia e di esegesi di tipo filosofico.
L’occidente latino ha avuto un’altra storia perché è stato meno influenzato dal mondo greco, sino a perdere il contatto con lo stesso. Il rapporto permane in occidente sino ad Ambrogio. Poi cessa. La figura chiave della perdita di rapporto col mondo greco, secondo me, risulta Agostino. Agostino rappresenta per me un corso diverso della storia della Chiesa.
Tuttavia, effettivamente, in Alessandria e in Antiochia, si sono sviluppati due modelli interpretativi diversi, quale esito di personaggi diversi e di scuole di pensiero diverse.
Semplificando molto, Alessandria vuol dire soprattutto Origene, cioè un autore geniale profondamente inserito nel filone della cultura classica e della filosofia greca. La riflessione cristiana antica è stata una riflessione esegetica sul testo sacro, come aveva insegnato Filone ebreo di cultura greca. Per certi versi Filone è il primo teologo cristiano. Origene è un discepolo straordinario di Filone. Origene legge dunque il testo sacro sotto l’influenza del pensiero greco. Basti pensare alle dottrine dell’apocatastasi o della preesistenza delle anime: sono temi che hanno portato alla crisi origenista e alla condanna di queste dottrine nel concilio di Costantinopoli del 553.
Origene è un esegeta allegorico. Tutta la sua scuola tende a leggere il testo in chiave allegorica. Per tutto ciò Origene è portato a sviluppare una cristologia “alta”.
La scuola di Antiochia invece esprime, specie con Ireneo, una cristologia più “bassa”, secondo la quale Cristo senza la carne non può essere il Cristo. Il cristiano, secondo la scuola di Antiochia, deve sempre in qualche modo partire “dal basso”, dall’umanità di Cristo. Si tratta dunque di due visioni in tensione che possono essere viste come conflittuali, oppure come forze complementari. Di fatto, sono state tenute insieme ma in un equilibrio sempre precario, influenzato dai contesti e dai momenti storici. L’occidente dipende da queste riflessioni. Ma, ad un certo punto, vorrà darsi fondamenti propri.
– La Chiesa ortodossa e la Chiesa cattolica oggi quanto sono ancora influenzate da queste origini del pensiero cristiano?
La risposta formalmente è chiara: i primi sette concili hanno fissato un patrimonio dogmatico che gli ortodossi hanno in comune con i cattolici. Poi i cattolici hanno avuto altri concili. Gli ortodossi non hanno più toccato il patrimonio dogmatico comune della rivelazione.
Se penso al variegato mondo ortodosso, penso ora a figure recenti – di sovente laici – che hanno certamente approfondito ma che hanno sostanzialmente conservato questo patrimonio. Se dovessi dire qual è l’elemento forte di identità ortodossa, non avrei dubbi nel sostenere che è l’elemento liturgico, perché nella liturgia, secondo il pensiero ortodosso, meglio si conserva l’eternità e meglio si partecipa alla vita eterna di Gesù.
La liturgia viene dalla storia di queste Chiese durante il periodo dei bizantini che, dopo la separazione e la caduta dell’occidente, si sono ritenuti i veri eredi della romanità e soprattutto della tradizione liturgica cristiana. Non che questo non sia avvenuto anche in occidente, ma, dal punto di vista storico comparativo, si nota bene come la tradizione liturgica in oriente non solo abbia saputo meglio conservarsi ma persino arricchirsi. Si è conservata anche dopo la caduta dell’impero bizantino – in una situazione di estrema pluralità – quale elemento di unione di Chiese che avrebbero altrimenti preso vie molto diverse.
Ora gli ortodossi polemizzano in modo persino veemente, ma su questioni di autorità e di primazia: sono comunque accomunati da una liturgia che ha conservato la caratteristica metastorica che probabilmente era la caratteristica propria delle fasi più antiche. In occidente la storia della liturgia mi sembra sia stata veramente diversa.
– Passiamo allo gnosticismo (cristiano). Nella Gaudete et exsultate papa Francesco indica lo gnosticismo (insieme al pelagianesimo) quale deriva del cristianesimo. Cos’era lo gnosticismo cristiano antico ed è storicamente legittimo richiamarlo ora?
Dal punto di vista generale di storia del pensiero, la gnosi, nella tradizione cristiana, è alternativa alla pistis, cioè alla fede. Sto parlando della gnosi come di una forma religiosa che salva. La forza della continuità della gnosi sta in un modo di rapportarsi alla realtà trascendente alternativo alla fede. La fede è, in definitiva, un abbandonarsi. In fondo, la fede non ha bisogno di conoscenza. I modi della conoscenza e della fede sono diversi. Non si può sostanzialmente essere fedeli e gnostici allo stesso tempo. Anche se la gnosi antica presupponeva certamente una fede, ma una fede particolare, non la pistis dell’abbandono con fiducia a Dio.
Gnosi
Penso che, secondo il magistero, il rischio per il cristiano di oggi, in una cultura come quella attuale, è di dimenticare che, alla base del credere, non sta la gnosi che auto-salva, bensì la fede. Oggi la nuova forma di gnosi, per me, è, ad esempio, la realtà virtuale. Un pericolo gnostico nella cultura contemporanea effettivamente esiste.
– Non ritiene che la gnosi antica abbia inteso affrontare e risolvere un’altra grande questione, sempre attuale, ossia quella dell’origine del male?
La gnosi antica certamente si è posta il problema del male. Come ha risposto? Ri-scoprendo l’origine divina dell’uomo, ossia interpretando a proprio modo il famoso versetto biblico: «E Dio creò l’uomo a sua immagine». C’era un fondo pessimistico nella gnosi antica, per cui si guardava al male del mondo e si cercava caparbiamente una risposta. Questa si è trovata nella riscoperta della dimensione divina da cui proviene l’uomo gnostico e a cui solo l’uomo gnostico può tornare.
Nelle riletture moderne della gnosi, il problema del male non è più così centrale. Si è affermata una posizione immanentista, positivista e progressista.
La gnosi non è mai scomparsa e si è persino affermata, ad esempio, nelle varie forme della New age o in altre che tendono a riscoprire una dimensione divina già presente nell’uomo, da riconnettere o meno a una divinità originaria.
La gnosi (specie contemporanea) è sostanzialmente ottimistica. Tolto di mezzo un involucro umano negativo, rimane solo un nucleo di conoscenza illuminata della realtà più profonda dell’umano, senza più bisogno di un Dio a cui abbandonarsi con fede. Siamo all’oggi a cui accenna il magistero di papa Francesco: siamo all’individualismo, al solipsismo e alle spiritualità senza Dio. Mi sembra un paradigma interpretativo molto attuale.
– Nella teologia processuale di Origene c’è qualcosa di gnostico, benché contrapposto alla gnosi?
Il pensiero di Origene, così come prima di lui di Clemente, ha in comune con gli gnostici un certo tipo di formazione filosofico-teologica. L’orizzonte è comune. Gli gnostici con cui si confronta Origene sono dei cristiani che hanno dato risposte che a lui non sono parse accettabili.
Quali erano gli elementi del conflitto? Intanto il monoteismo. Gli gnostici erano sostanzialmente diteisti anche se non volevano esserlo. Avevano, per certi versi, una posizione analoga a quella di Marcione.
Origene è costretto dagli gnostici ad affrontare la questione trinitaria. Ma poi ad affrontare la questione del male. Egli è tra coloro che punta tutto sulla libertà umana. Uno dei grandi temi che differenzia Origene dagli gnostici è proprio questo: il male è per lui la conseguenza del dono di libertà che Dio ha fatto all’uomo. L’uomo può usare la libertà bene o male. Ma l’uomo è sempre libero.
Origene lotta quindi con determinazione contro la concezione di predestinazione sostenuta dagli gnostici. Egli non divide gli uomini in classi predestinate, come han fatto gli gnostici. Gli uomini sono per lui creati tutti uguali. Sta a loro usare di questo dono straordinario che Dio ha dato.
– L’aspetto della “processualità” di Dio che si trova ancora in Origene viene dagli gnostici? Non abbiamo perduto qualcosa perdendo il pensiero gnostico?
Il tema delle potenze mediatrici non è presente solo in Origene. Questo era un tema diffuso. Gli gnostici precedenti ad Origene, ad esempio Valentino, hanno riflettuto molto sul mistero della vita divina. Lo hanno fatto come facevano i platonici: riflettendo sul mistero interno al primo principio e quindi sul mistero esterno al primo principio. Gli gnostici sviluppano una riflessione audace. Cercano di interpretare il mistero della generazione eterna di Dio – necessariamente pensata attraverso la complessità della vita umana – portandola a un livello di astrazione notevole.
Il Dio unico ha assunto al suo interno una vita molteplice che non intacca la sua unità ma che aiuta a spiegare la genesi del male. Il Dio unico resta. Non c’è qualcuno distinto da Dio che spieghi la realtà ontologica del male. Il male si spiega dunque con qualcosa che è avvenuto all’interno di Dio stesso. Non è un pensiero poi così stravagante.
Il monachesimo cristiano
Anche questo, in fondo, è un pensiero che ritorna costantemente nella filosofia teologica sino ad oggi: Dio sconfigge il male – che non può che avere origine in sé – con un suo atto supremo di libertà. Gli gnostici cristiani hanno sostanzialmente detto questo con un linguaggio mitico molto complesso. Origine non lo accetta. Ma ha pure evidentemente imparato la lezione di riflettere sul mistero divino, benché abbia molto semplificato il processo di manifestazione di Dio.
La vera grandezza degli gnostici sta, dunque, nell’aver sviluppato la riflessione sul mistero interno di Dio. Origine lo ha di molto semplificato per mantenere l’abisso ontologico tra il creatore e la creatura in funzione dell’affermazione della piena libertà dell’uomo.
– Nel libro lei presenta il monachesimo cristiano come un fenomeno del tutto singolare. Ma fenomeni “monastici” sono noti in tutte le religioni. Da storico delle religioni qual è la singolarità del monachesimo cristiano?
A monte c’è una questione fondamentale che è il rapporto tra ascetismo e monachesimo. Dobbiamo tornare al contenuto ascetico della predicazione e della persona stessa di Gesù. C’è una corrente di pensiero che riconduce il monachesimo cristiano alle condizioni prodottesi, ad un certo punto, in una Chiesa che si stava facendo mondana. Questa interpretazione francamente non mi convince.
Il monachesimo nasce prima di Costantino. La radice è nel monos, ossia nel tentativo di realizzare una scelta personale originariamente eremitica. Sono attestate forme di vita monastica eremitica prima di Costantino. Il caso tipico è costituito da Antonio che la tradizione considera il padre del monachesimo orientale. Antonio lascia la famiglia e i beni secondo il modello che Gesù aveva suggerito al giovane ricco. Siamo verso il 270.
Anche nelle storie scritte da Girolamo vediamo attestate forme eremitiche di piccoli gruppi già verso la fine del terzo secolo. L’intento di imitare Cristo risulta piuttosto evidente: è la scelta di imitare Cristo con radicalità. C’entra l’ascetismo. C’entra il fatto che bisogna confrontarsi con gli elementi negativi presenti in sé: da cui la lotta con i demoni nel deserto sostenuta anche da Gesù.
All’origine è una scelta solitaria o di piccoli gruppi di asceti. Tuttavia, ancora all’inizio del quarto secolo, prima della svolta costantiniana, nasce pure il monachesimo cenobitico di Pacomio. La lettura per reazione ad una Chiesa mondana, anche qui, non regge.
Pacomio dà una regola come espressione della volontà di Dio in Cristo. Questa idea di dare una regola a dei laici alternativa alla legge mondana è fondamentale. Non è semplicemente una risposta alla Chiesa imperiale. È un’invenzione. È una via del tutto originale e alternativa. Io vedo perciò nell’istituzione del monachesimo cenobitico un’invenzione religiosa del tutto nuova e originale del cristianesimo mostratasi capace di attraversare i secoli.
– Lo studioso classico è lo studioso obiettivo che non lascia trasparire posizioni personali circa la materia di studio. Lei ha scritto e affermato in passato di essere partito da tale immagine ideale dello studioso e di sé, ma poi ha rivelato la consapevolezza di tradire continuamente l’ideale…
L’elemento dell’oggettività è stato uno dei capisaldi della dottrina della conoscenza contemporanea. Il rischio del soggettivismo o il rischio di scrivere solo quel che si pensa peraltro esiste. Si tratta di capire sino a che punto si può essere oggettivi.
In questo testo, su tutta una serie di questioni di fondo, io fatto inevitabilmente delle scelte condizionate dal mio modo di vedere la storia della Chiesa.
Uno dei grandi problemi, ad esempio, è come trattare il sorgere della Chiesa imperiale costantiniana, divenuta poi il modello fondamentale per tutto lo sviluppo della Chiesa successiva. Ecco, da un lato, ho sottolineato il condizionamento delle strutture politiche romane, dall’altro, ho cercato di trasmettere l’idea che non ci sia stata e forse non ci sia solo quel tipo di Chiesa.
Ho cercato di mettere in evidenza tanti personaggi e tanti gruppi che hanno portato e tuttora sottopongono altri modelli di Chiesa.
il professore vede ben nel rilevare l’apporto di Filone e di Paolo AL CRISTIANESIMO e nel cogliere il valore della paideia greca, del platonismo e del neoplatonismo connessi con lo gnosticismo nel didaskaleion di di Alessandria specie al momento delle formulazioni di un Origenefiloniano, all’atto della teologia dell’Agia Trias e specie del Christos uomo-dio. La sua indagine è difettosa, comunque, nello studio del concilio di Nicea e del Regno di Costantino e di Teodosio in quanto Filoramo non ha chiaro il significato teologico di Padri cappadoci e specificamente di Gregorio di Nazianzo e dei patriarchi alessandrini Atanasio Teofilo e Cirillo in quanto gli sfugge il fenomeno ariano nel cristianesimo cattolico, non avendo approfondito la sostanziale differenza tra Regno dei cieli, aramaico e regno di Dio, ellenistico. Infine non avendo storicamente approfondito il sistema politico bizantino catholikos, non rileva la sostanziale cultura occidentale connessa col papato romano di Damaso, con Girolamo e la sua vulgata oltre che col pensiero di Ambrogio e di Agostino e trascura il grande contributo di Massimo il confessore che dà sostanza alla chiesa cattolica occidentale anicia, a seguito del II Concilio di Costantinopoli e della successiva conquista di Alessandria da parte islamica ne corso della lotta religiosa monotelita.
La chiesa non è evangelica, non è seguace di Gesù il Cristo.