Forza e debolezza del cattolicesimo italiano

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Giochiamo un azzardo, che però a mio avviso ha una sua buona ragion d’essere: la condizione di salute del cattolicesimo italiano è di gran lunga migliore di quella che noi stessi sovente percepiamo.

Se si getta uno sguardo trasversale, capace di cogliere la realtà del cattolicesimo nostrano nelle sue molte ramificazioni, ci si accorge che esso è attraversato da un vivacità, un’intelligenza e una consapevolezza evangelica del tutto all’altezza dell’ora presente. Dentro la Chiesa, al tempo di Francesco, e davanti al mondo, nell’ora fatidica in cui si decide del futuro della forma democratica della coesistenza umana.

Le variabili cattoliche

Finanche la sua polarizzazione, speculare a quella complessiva conosciuta dalla Chiesa cattolica dal Vaticano I in poi, racchiude una potenziale virtuosità: quella di intercettare gli umori del vivere umano contemporaneo lungo tutto lo spettro delle sue possibili variazioni.

Se poi riuscissimo a far incrociare tra di loro queste disseminazioni, e potremmo arrivare a ciò anche in tempi relativamente brevi, allora il cattolicesimo italiano si troverebbe in una posizione strategica per mettere mano a un’intelligenza civile del contemporaneo innestata sulla più alta sensibilità umana racchiusa nel vangelo del Regno.

Comunque stiano le cose con i futuribili del compito che dobbiamo ancora svolgere, la situazione di partenza vede un cattolicesimo italiano tutt’altro che al lumicino o in via di estinzione.

Una vivacità feconda

Basta fare una passeggiata lungo gli scenari della rete, intercettare qualche informazione sui processi in atto a livello locale nelle varie diocesi italiane, oppure prestare attenzione alle miriadi di iniziative di sicura qualità nelle quali si può inciampare quasi per caso sul territorio nazionale, per avvedersi dell’esistenza di una forza inaspettata che scorre nelle maglie relazionali della fede nel nostro paese.

Nella gran parte dei casi, le redini di questa forza che il cattolicesimo italiano sta facendo circolare nelle pratiche di vita del paese sono saldamente in mano ai cristiani comuni (laici e laiche, se vogliamo usare il linguaggio clericale da cui non riusciamo ancora a prendere congedo).

Sovente, poi, il tutto accade in fraterna e ospitale reciprocità con il ministero ordinato – che, molte volte, è disponibile alla felice riuscita del legame comunitario fra tutti, quale senso del proprio stesso esercizio, più di quanto non si voglia concedergli nel pourparler quotidiano.

Insomma, sono abbastanza convinto che ciascuno di noi potrebbe nominare, con una certa facilità, una qualche figura esistente di buona esperienza di cattolicesimo: capace della misura evangelica del desiderio di Dio sulla contemporaneità della Chiesa e del paese italiano.

Cattolicesimo maturo e depressione post-parto

Appunto, siamo messi meglio di quello che ci raccontiamo ogni giorno. È vero, ci sono venuti a mancare i due amplificatori politici ed ecclesiali che generavano in noi una sorta di inebriamento da occupazione dello spazio civile (e mediatico) nella vita del paese. Ossia, la Democrazia Cristiana e la CEI.

Tanto rivendichiamo il diritto di una maturità della fede comune, tanto viviamo ancora dell’infatuazione di una tutela che ci impediva una riuscita emancipazione dell’essere cattolici in Italia (una condizione, questa, senza paralleli nel mondo).

Se usciamo da questa crisi post-parto della stagione adulta della fede, non vedo molte ragioni per continuare a lamentare una condizione di crisi del cattolicesimo italiano. Anzi, siamo più che attrezzati per far fronte alle temperie del momento presente.

Se invece pretendiamo di riuscire ad organizzare l’intero ecclesiale del cattolicesimo italiano secondo la buona esperienza di cristianesimo che noi pratichiamo (tra le molte in atto), allora vuol dire che non ci siamo ancora liberati da quella pretesa di egemonia e totalizzazione che andiamo criticando da decenni.

Uscire dalla provincia, entrare nel mondo

Quello che ancora non ci riesce, è di uscire da una sorta di provincialità (tra il geloso e l’orgoglioso) che sembra attanagliare questa multiformità inattesa di buone esperienze di cattolicesimo italiano – proprio nella loro stessa vivacità e fecondità.

Tutti un po’ convinti di avere in tasca la formula magica per riorganizzare il complesso, oggi francamente traballante, della Chiesa italiana. Tendenzialmente poco disponibili a rinunciare a un filo di egemonia locale per intessere, invece, buone relazioni sul piano nazionale in vista di un rilancio verso l’alto della presenza del cattolicesimo nella vita pubblica del paese.

Eppure, manca davvero poco (stante anche l’estrema debolezza complessiva dello scenario italiano attuale) per iniziare a scrivere una pagina letteralmente storica del cattolicesimo nostrano, perché non più corporativa o di rappresentanza di parte.

Abbiamo tutti gli ingredienti necessari per mettere mano a questa impresa, ci manca solo di smettere di discutere su quale sia la ricetta migliore e iniziare a preparare qualcosa che tutti possano assaporare. Le loro suggestioni ci diranno poi quello che dobbiamo tenere fermo e quello che dobbiamo ricalibrare – affinché tutti possano essere sfamati dalla buona Parola a cui la fede aderisce con spassionato affetto.

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