Il concilio Vaticano II è all’origine della crisi ecclesiale registrata in Occidente? La ripresa della spinta riformista conciliare da parte di Francesco rafforzerà ulteriormente l’abbandono della fede dei popoli di antica cristianità?
Nel dibattito ecclesiale le due domande si incrociano e confondono. Anche i più convinti sostenitori del concilio non negano le gravi difficoltà pastorali e istituzionali che la de-cristianizzazione sta producendo. Ma neppure i conservatori immaginano che un puro ritorno all’indietro sia garanzia per rovesciare i processi di secolarizzazione. Per questo è buona norma guardare con attenzione le ragioni di quanti argomentano secondo percorsi non consueti o non immediatamente etichettabili.
È stato il caso dell’«opzione Benedetto» proposta nel volume di Rod Dreher. È ora opportuna la presentazione del volume di Guillaume Cuchet, Comment notre monde a cessé d’être chrétien (Come il nostro mondo ha smesso di essere cristiano; ed. Seuil, Paris 2018).
Tutto comincia nel 1965
La tesi è ad un tempo abrasiva e limitata. L’interruttore che ha acceso l’improvviso cedimento della pratica cristiana in Francia è esattamente sovrapponibile alla fine del Vaticano secondo, cioè il 1965. Non quindi il successivo ’68 e neppure l’irritato rifiuto per l’Humanae vitae di Paolo VI, dello stesso anno. Contestualmente si afferma che la coincidenza temporale non significa una causazione diretta, quanto una coincidenza non occasionale.
«Il concilio non ha provocato la rottura (nel senso che non ci sarebbe stata senza di esso), ma che l’ha fatta scattare dandole una intensità particolare». «Anche se il concilio si iscriveva nell’asse di un processo di modernizzazione già ben abbozzato in certi ambienti e contesti, non di meno ha costituito per la massa dei cattolici ordinari uno choc religioso che, in dialettica con la mutazione socioculturale coeva, ha dato avvio a una esplosività particolare».
Per quanti hanno trovato nel concilio una straordinaria esperienza di fede e di amore alla Chiesa, per la continuità del riferimento a esso del magistero (anche quando ne limitava la portata), per la sua centralità nella teologia e nell’esperienza pratica dei credenti anche la semplice sovrapposizione tra concilio e crisi risulta irritante e da rimuovere. Sia l’ermeneutica della continuità come quella della discontinuità alimentano la centralità del riferimento al Vaticano II.
Eppure, la rottura della pratica cristiana c’è stata. «È necessario pensare a un avvenimento dietro questo fenomeno, quanto meno in ordine al suo avvio. La mia ipotesi è che si tratti del concilio Vaticano II. Non si vede in effetti quale altro evento contemporaneo avrebbe potuto scatenare una simile reazione. La cronologia mostra che non è solo il modo di applicazione del concilio dopo la sua chiusura che ha provocato la rottura. Per il solo fatto di essere stato celebrato, nella misura in cui rendeva plausibile la riforma delle norme tradizionali, il concilio è stato sufficiente a distruggerle». Il combinato disposto dei mutamenti socio-culturali e delle riforme ecclesiali ha avviato una frana di proporzioni gigantesche.
Crollo dell’appartenenza
Il volume in esame ricostruisce con precisione le molte inchieste sociologiche sui frequentanti, in particolare fra il 1950 e il 1962 con una particolare attenzione alla «carta Boulard»: una mappa geografica del paese che il sacerdote Fernand Boulard ha costruito con acribia dagli anni ’30 aggiornandola fino agli anni post-conciliari sulle aree di più o meno spiccata adesione alla frequenza e alle credenze di Chiesa.
Ne fa emergere non solo le linee di continuità che datano ancora prima della rivoluzione, ma anche i momenti e le aree di ripresa della vita cristiana, fino al «salto» registrato di malavoglia e non tematizzato: se fra il 1943-1964 la frequenza è sostanzialmente stabile sul 37%, fra il 1966 e il 1972 conosce un improvviso crollo al 25%. Un cedimento trainato dalla generazione giovanile (12-24 anni) che esce e non rientra più nella pratica. Si ridisegna drasticamente la piramide delle età dei frequentanti e la frana interessa progressivamente le giovani e le donne, gli adulti e le famiglie.
Cosa è successo? Perché riferirsi al Vaticano II? Da lì prende avvio la legittimazione della libertà religiosa interpretata come libertà dalla propria fede, il venire meno dell’obbligo della pratica, una liturgia di adesione aleatoria e non di consuetudine, l’impressionante crisi del presbiterio. Un piccolo e significativo segnale riguarda la confessione. Su tre inchieste (rispettivamente del 1952, 1974, 1983) i confessanti mensili passano da 15% a 1% nel 1974, restando tali nel 1983. Quelli che non si confessano mai sono rispettivamente il 37%, il 54% e il 69%.
Le donne fra il 1952 e il 1974 calano dal 23% all’1% nella confessione mensile. Quelle che non si confessano mai passano dal 26% al 47%. Il venir meno dell’imperativo obbligante, la scomparsa del «peccato mortale», l’assenza della predicazione sui «novissimi» (le realtà ultime) e il declino non arginato delle vocazioni ecclesiastiche segnano ancor oggi la difficile testimonianza del credente.
Conclusioni indebite
Il volume si ferma qui, ma basta citare un commento sul fronte ortodosso per capire quale conseguenza si può indebitamente trarne: «La triste evoluzione della Chiesa cattolica post-conciliare… dovrebbe mettere in guardia i prelati ortodossi che hanno sognato e sognano ancora di convocare per la Chiesa ortodossa un grande concilio paragonabile a quello cattolico. Essa ha voluto compiere il proprio aggiornamento, ma avuto come effetto principale quello di provocare la disgregazione interna e la drammatica emorragia di un gran numero dei suoi fedeli» (Jean-Claude Larchet).
Il passaggio alla ripresa del concilio e del processo di riforma di Francesco è molto facile. Le accuse di provocare confusione nel popolo cristiano e di modificare il deposito della tradizione sono diventate uno stanco ritornello delle voci anti-papali. Volutamente ignare della radice evangelica, della pazienza storica («avviare processi»), dell’estraneità a ogni modello di razionalismo sistemico e della dimensione testimoniale gioiosa del suo magistero.
Tutta la Scrittura ispirata da Dio è utile per insegnare per riprendere , per correggere e per disciplinare nella giustizia , affinché l’uomo di Dio sia pienamente competente del tutto preparato PER ogni opera buona . ( Seconda lettera di
S. Paolo a Timoteo cap. 3 versetti 16 / 17 ) I veri Cristiani si devono far guidare dalla Parola di Dio .
L’ Apostolo Paolo nella Sua missione ha imitato alla perfezione il più grande Maestro per eccellenza : Gesù Cristo ,
Il Capo dei Cristiani , perché, come Gesù, nella predicazione Ragionava facendo uso delle Scritture : Atti degli Apostoli , cap. 17 versetti 1 — 4 . In questo tempo turbolento della storia umana che la Bibbia chiama ” ultimi
giorni ” è sempre più evidente che abbiamo bisogno del Regno di Dio venga perché si compia la Sua volontà anche in Terra , come è in Cielo , come ci ha insegnato Nostro Signore Gesù Cristo ..
Mi sembra che ci sia una dimenticanza fondamentale; la Profezia. Il Concilio, i papi e ora in particolare Francesco, sono dati a noi come profeti, non di sventura, ma indicatori della volontà del Padre, il quale credo non sia preoccupato dei sondaggi e della quantità di presenze ma di qualità di figli autentici. Ricordiamo il resto di Israele.
I miei cinquant’anni di sacerdozio sono coincisi con il post concilio. Sono sempre più convinto che Il cambiamento d’epoca, la fine della ‘Cristianità’, è precedente al Vaticano II. Il Concilio è stato la risposta. Frutto, non dimentichiamolo, dell’intervento dello Spirito Santo. E qualche indizio lo rivela anche chiaramente: i Padri conciliari hanno sentito il bisogno di mettere a fuoco per la prima volta nella vicenda cristiana la realtà della Chiesa (Lumen Gentium) e il suo rapporto con il mondo (Gaudium et spes); rivedendoli alla luce del paradigma fondamentale della Chiesa apostolica e utilizzando per necessità un linguaggio ancora poco maturo (Sequeri). Passando comunque dalla concezione piramidale della Chiesa gerarchica al recupero della nozione di Popolo di Dio (di cui poi la gerarchia avrebbe avuto paura, tornando a nasconderla). E dalla Chiesa città sul monte al servizio che nasce dalla condivisione di “gioie, speranze, tristezze, angosce … di tutto ciò che è autenticamente umano”. Ma il clericalismo è duro a morire (Papa Francesco) e la Gaudium et spes è stata subito messa in discussione come espressione principale di un Concilio pastorale e non dogmatico: raccomandazioni opinabili, tutto sommato. Il Concilio è stato onorato in America Latina e non a caso di lì è venuto papa Francesco. Dalle nostre parti molto meno: alle nuove situazioni storiche sono mancati sale e lievito per farne fiorire le potenzialità positive. Come potrebbero essere i rapporti Chiesa-mondo lo vedi nella Comunità di Sant’Egidio. La Liturgia almeno a Bose. E’ troppo attendersi dai nostri Vescovi l’avvio di qualche percorso in più? don Erminio
Quando si riduce il cristianesimo e la Chiesa a una statistica, credo che bisogna rivedere la propria idea di fede, e la propria esperienza di fede: il regno è un seme che germoglia e cresce e solo il Signore de regno conosce i modi e i tempi.
Il senso di liberazione percepito dai contemporanei del concilio Vaticano II, e attualmente trasmesso da Papa Francesco porterà i suoi frutti; è l‘esperienza
Fondamentale che proviene dalla Buona Novella che non può perdersi nella storia complicata degli uomini.
” Volutamente ignare della radice evangelica, della pazienza storica («avviare processi»), dell’estraneità a ogni modello di razionalismo sistemico e della dimensione testimoniale gioiosa del suo magistero.”
Secondo me tra i “profeti di sventura” e quelli che ” I ristoranti sono sempre pieni” ci sarebbe la via di mezzo di un realismo un po’ concreto.
Nella fattispecie: se sta cominciando a passare all’estrema destra anche il Sudamerica si vede che qualche cosa nella “dimensione testimoniale gioiosa” non passa alle persone comuni. Del resto si sapeva da anni che alla proposta “liberazionista” della Chiesa cattolica molti fedeli preferivano la teologia della prosperità protestante ,non serviva la Civiltà Cattolica per scoprirlo.
Forse aggiustando un po’ il tiro si otterrebbe di più.
Facile giudicare. Se pensassimo di più al nostro modo di vivere da cristiani e cercassimo di amare l’altro capiremmo meglio il messaggio conciliare e del papa.