Il card. Christophe Pierre è nunzio apostolico negli Stati Uniti dal 2016 e, su richiesta di papa Francesco, continuerà a ricoprire questo ruolo anche in futuro. Ha concesso alla rivista America un’intervista esclusiva da Roma all’inizio dello scorso ottobre.
Il neo-cardinale, nella conversazione con Gerard O’Connel, ha descritto Francesco come «un uomo di visione» e «un uomo di preghiera» e come uno «scelto dallo Spirito Santo» per guidare la Chiesa in questo momento storico.
Ha parlato anche della sua esperienza come nunzio negli Stati Uniti. Il cardinale Pierre si è detto «scioccato» nel venire a sapere che molti vescovi cattolici statunitensi non erano al corrente che la sinodalità si era sviluppata in Sud America negli ultimi decenni e che si sforzano di capire di cosa si tratta.
«Non possiamo dire che ci siano vescovi di sinistra e altri di destra. Questa è un’analisi falsa». Sono «brave persone», ma «si stanno tutti impegnando» per trovare dei modi di evangelizzare validi in questo nuovo tornante della storia e per far fronte alle ricadute economiche dovute allo scandalo degli abusi.
Una vita complicata
Ho iniziato l’intervista di un’ora al card. Pierre presso la chiesa di San Luigi dei Francesi a Roma, il 2 ottobre, chiedendo al cardinale notizie della sua vita e dei suoi 46 anni di servizio nelle missioni diplomatiche della Santa Sede in tutto il mondo.
«La mia vita è un po’ complicata», ha detto, riferendosi al fatto di aver trascorso 20 anni in Africa e 20 in Sud America. «Sono cresciuto in Madagascar, perché mio padre aveva deciso, quando ancora avevo tre anni, di portare la famiglia in quel paese. Era un avvocato e lavorava in Madagascar. Siamo rimasti là circa 10 anni e poi siamo tornati in Francia».
Dopo essersi diplomato presso la Pontificia Accademia Ecclesiastica, che forma i diplomatici vaticani, nel 1977 Pierre iniziò il suo servizio nella missione diplomatica della Santa Sede in Nuova Zelanda, con successivi incarichi in Mozambico, Zimbabwe, Cuba, Brasile, dove – ha dichiarato – ha imparato molte cose sulla teologia della liberazione – e a Ginevra, in Svizzera, come osservatore permanente della Santa Sede presso le Nazioni Unite. Papa Giovanni Paolo II lo nominò nunzio apostolico ad Haiti nel 1995 e, successivamente, in Uganda nel 1999.
Il 22 marzo 2007, papa Benedetto XVI nominò l’allora arcivescovo Pierre, nunzio in Messico. Egli giunse in questo Paese mentre si concludeva la tappa della Quinta Conferenza del CELAM (Conferenza Episcopale dell’America Latina e dei Caraibi) ad Aparecida, in Brasile. Mons. Pierre fu accolto da Carlos Aguiar Retes, oggi cardinale-arcivescovo di Città del Messico e uno dei presidenti delegati del Sinodo sulla sinodalità.
«Ricordo ancora quando giunsi all’aeroporto, abbiamo parlato di Aparecida perché era appena tornato da là il giorno prima. Mi interessava, perché avevo una buona conoscenza del Sud America. Ero in quel continente ai tempi della teologia della liberazione e molte cose erano accadute dalla caduta del muro di Berlino, il 9 novembre 1989, fino al mio arrivo in Messico».La conferenza di Aparecida – ha detto – era «una specie di cammino sinodale dei vescovi sudamericani». «Questo è l’unico continente che ha realizzato un simile processo sinodale», ha sottolineato.
«I vescovi hanno sviluppato una dinamica di lavoro e di ricerca di soluzioni condivise, per una migliore evangelizzazione, argomento di cui tratta il sinodo [sulla sinodalità]. Nient’altro: una migliore evangelizzazione. E hanno accompagnato le persone nella loro sofferenza, nelle loro difficoltà e nelle loro sfide».Ad Aparecida i vescovi decisero di scrivere un documento per far fronte «alla difficoltà di trasmettere la fede da una generazione all’altra» in un nuovo contesto culturale. L’allora card. Bergoglio, futuro papa Francesco, fu eletto presidente della commissione dei redattori con 112 voti su 130.«Quando sono arrivato in Messico nel 2007, ho letto il documento di Aparecida», ha ricordato il cardinale.
«Mancavano sei anni all’elezione di papa Francesco. L’ho letto e ho detto: “Mio Dio, questo è una novità! I vescovi hanno finalmente elaborato un piano pastorale come risultato del loro cammino sinodale”».«Il frutto di Aparecida è un nuovo approccio pastorale», ha affermato. «L’ho visto in atto in Messico. La Chiesa cambia».
I vescovi statunitensi e Aparecida
Quando arrivò negli Stati Uniti, nove anni dopo, nel 2016, il card. Pierre disse: «Sono rimasto meravigliato che molti vescovi non sapessero cosa fosse successo ad Aparecida. Non sapevano che la Evangelii gaudium, il primo documento di papa Francesco, aveva lì le sue radici». «Non avevano notato ciò che era successo nel loro continente, in Sud America», ha osservato Pierre. «Questo è molto grave, perché quello che è accaduto non è stato banale. È stato l’inizio di ciò che viviamo oggi. Non sapevano che il papa era uno dei vescovi di Aparecida, né che tutta la Chiesa sudamericana aveva compiuto un formidabile sforzo di sinodalità».
Ad Aparecida, ha spiegato Pierre, «i vescovi hanno affermato che la Chiesa e la società sono cambiate, e la trasmissione della fede non avviene attraverso la cultura come in passato, e quindi bisogna offrire nuove opportunità e modi affinché la gente possa avere un incontro personale con Cristo attraverso una Chiesa che si adatta alla nuova società, un nuovo modo di essere cattolico. Ciò richiede un riadattamento dell’approccio pastorale, cosa molto difficile da fare perché la gente, come tutti noi, siamo fermi alle nostre opinioni, al nostro modo di predicare e di organizzare».
«Sono rimasto stupito che molti vescovi non sapessero cosa fosse successo ad Aparecida». «Ciò è particolarmente vero negli Stati Uniti, dove abbiamo una Chiesa molto ben organizzata, che funziona magnificamente da molti anni», ha affermato il card. Pierre. «In 200 anni abbiamo costruito fantastiche scuole, ospedali, parrocchie e chiese. Ma quasi nessuno viene più [in chiesa]… allora papa Francesco ha detto: “Uscite dalla chiesa”. Ma noi rimaniamo ancora dentro. Perché?»
«Papa Francesco ha affermato: “Voglio una Chiesa missionaria. Voglio una Chiesa dei poveri che va verso i poveri”». Ma il cardinale ha ricordato che, quando arrivò negli Stati Uniti come nunzio nel 2016, rimase «scioccato» nel sentire alcuni nella Chiesa prendersi gioco di quella affermazione e di respingerla come un’«idea di Bergoglio».
Ha aggiunto Pierre: «La realtà è che dietro la visione del papa c’è Aparecida. Bergoglio non è l’inventore di questo approccio. Lo Spirito Santo ha ispirato questo approccio sinodale ad Aparecida». «Sei anni dopo, Bergoglio fu eletto papa per la grazia dello Spirito Santo». «Questo è quello che credo. E il nuovo papa ha seguito le orme di Aparecida».
Ha visto cambiamenti nella chiesa degli Stati Uniti?
Ho chiesto al cardinale se avesse visto dei cambiamenti significativi nella Chiesa negli Stati Uniti da quando è arrivato nel 2016.«Non ne sono sicuro», ha risposto. «Vedo un cambiamento significativo nella società. Il fenomeno analizzato da Aparecida è reale per la Chiesa [anche negli Stati Uniti], nel senso della difficoltà di trasmettere la fede. Sebbene la gente ne sia cosciente, non sono sicuro che questa consapevolezza sia molto forte».
Ha ricordato che papa Francesco l’ha definita una grande sfida per la Chiesa oggi e ha sottolineato: «Dobbiamo rispondervi. Non possiamo semplicemente addormentarci e continuare a dire che abbiamo delle strutture, perché la domanda che si pone è: ma funzionano?»Pierre ha messo a confronto la fase precedente dell’evangelizzazione negli Stati Uniti con la sfida che la Chiesa deve affrontare adesso, nel 21° secolo. L’evangelizzazione rappresentò l’inizio della storia della Chiesa in America. I cattolici erano emarginati, ma si fecero strada lottando per realizzare il sogno americano e proponendo la loro fede.
Gli immigrati irlandesi, ad esempio, giunsero con insegnanti, suore, preti e suscitarono vocazioni. Si fece un investimento fenomenale nell’istruzione, nell’assistenza sanitaria e così via, con schiere di suore come in nessun’altra parte del mondo. La trasmissione della fede negli Stati Uniti ha funzionato attraverso una sorta di consonanza tra l’organizzazione della Chiesa e quella della società… Ma le suore sono scomparse. Una volta c’erano vocazioni e seminari in 200 località, ma ora i seminari sono vuoti. Quindi, oggi la Chiesa si trova ad affrontare nuove domande e nuove sfide, e una di queste deriva dalla migrazione ispanica.
La migrazione ispanica, una sfida per l’evangelizzazione
Molti immigrati ispanici che arrivano oggi negli Stati Uniti sono cattolici, ha sottolineato il cardinale. Ma, «a differenza degli immigrati irlandesi dei tempi passati, i cattolici ispanici non vengono con i loro preti. Arrivano come poveri. Bussano alla porta e vengono respinti perché l’America oggi non è più un’America che accoglie la gente, perché anche qui c’è la crisi». Secondo il cardinale, questa è «anche una crisi di identità: chi siamo? Siamo ancora il paese degli immigrati che può dare ad essi la speranza di realizzare il sogno americano?».
La Chiesa negli Stati Uniti si trova di fronte al problema di evangelizzare i migranti ispanici: «Si sta facendo molto», ha ammesso. «La Chiesa offre loro la Messa, ma poi? Noi come Chiesa li aiutiamo a compiere il passaggio, ad esempio, dall’essere cattolici in Messico all’essere cattolici negli Stati Uniti?».
«Ho trascorso 20 anni in Sud America e ho visto che il modo di essere cattolico per un messicano è molto diverso dal modo di esserlo per un irlandese a New York». La sensazione è diversa. A suo parere, il problema dell’evangelizzazione è una questione molto più profonda della semplice offerta della Messa e ha affermato di applaudire lo sforzo compiuto da Encuentro, un processo pluriennale di consultazione e di costruzione di comunità guidato dalla Chiesa ispanica negli Stati Uniti.
I vescovi americani e il papa
Quando gli ho chiesto come interpretava l’apparent disconnect, l’evidente distacco tra molti vescovi statunitensi e papa Francesco, il cardinale ha osservato: «Questo è un aspetto che dobbiamo approfondire un po’ di più [per capire]». Ma – ha proseguito – «non mi concentrerei tanto su Francesco, perché oggi Francesco è visto da alcuni come il grande peccatore. Ci sono alcuni sacerdoti, religiosi e vescovi che sono aspramente contro Francesco, come se fosse il capro espiatorio di tutti i fallimenti della Chiesa o della società».
«Siamo nella Chiesa in un cambiamento di epoca», ha affermato. «La gente non lo capisce. E questo potrebbe essere il motivo per cui la maggior parte dei giovani sacerdoti oggi sognano di indossare l’abito talare e di celebrare la Messa nel modo tradizionale [pre-Vaticano II]».
«In un certo senso, sono smarriti in una società che non ha sicurezza, e tutti noi, quando ci sentiamo smarriti, cerchiamo un po’ di sicurezza, ma che tipo di sicurezza?» Il cardinale ha ricordato che papa Francesco ha dichiarato: «La mia sicurezza è Gesù». E ha aggiunto: «Non è la Chiesa che mi proteggerà. Non è l’abitudine».
Quanto ai cattolici che si concentrano sulla vecchia liturgia, ha sottolineato: «Dicono che piace alla gente, piace ai giovani. Quindi, perché no?» Ma ha aggiunto: «La liturgia è [solo] qualcosa che ti piace? È un rifugio? La Chiesa è un rifugio? Se lo considerate come un rifugio vi isolate». Ha precisato: «La Chiesa è missionaria. Non è un gruppo di persone che stanno bene insieme».
In questo contesto di Chiesa missionaria, il cardinale ha messo in risalto l’importanza della sinodalità per il rinnovamento della Chiesa negli Stati Uniti in questo momento storico. «La sinodalità non è cambiare la dottrina. È un metodo», ha spiegato. «Il problema è che i giornalisti, anche negli Stati Uniti, continuano a parlare di dottrine divergenti, parlano solo di omosessualità e di matrimonio dei preti, e così favoriscono l’ambiguità. Ma non è di questo che stiamo parlando. Lo dico da sette anni ai vescovi». Gli era difficile credere che ancora oggi «qualcuno possa dire che il Sinodo è un vaso di Pandora». «Certo, alcune persone hanno una falsa idea della sinodalità, ma non il papa».
Alla domanda su dove vede oggi i segni di speranza nella Chiesa negli Stati Uniti, il cardinale ha detto: «Penso che non possiamo separare le buone e cose cattive. Penso che la Chiesa sia così. Non si può dire che ci siano vescovi di sinistra e altri di destra. Questa è una falsa analisi. Lo dico perché conosco i vescovi. Stanno tutti impegnandosi. Stanno tutti lottando nel proprio ambito. Sono tutte brave persone. Il loro desiderio è di evangelizzare. Alcuni lo sentono in un modo, altri in un altro. Sono oberati da grossi problemi. Hanno quello degli abusi, e ora gli avvocati stanno svuotando le casse delle loro diocesi. Molti vescovi sono alla bancarotta. Quindi, stanno lottando. Non è facile per loro.
«D’altra parte – ha proseguito il card. Pierre – penso che tutti, in qualche modo, sentano di dover evangelizzare, ma non sempre trovano il modo per farlo. E spesso sono circondati da persone che dicono semplicemente: “Fai questo, fai quello”». A suo parere, «hanno bisogno di fare una pausa, di fermarsi e di riflettere insieme. Non tenere solo riunioni sull’amministrazione, ma ascoltarsi l’un l’altro. Osservare la realtà. Pregare insieme, discernere e decidere».
Continuerà come nunzio?
Quando ho chiesto al cardinale, oggi 77enne, se sarebbe rimasto nunzio per un tempo come quello trascorso in Messico, cioè nove anni, ha risposto: «Non lo so. Il papa mi ha chiesto di continuare. Non sono giovane, sono anziano, ma mi ha chiesto di continuare. Non ha posto un limite di tempo. Quindi obbedisco. Sono molto obbediente al papa. Per tutta la vita sono stato obbediente».
Poiché il card. Pierre ha incontrato papa Francesco molte volte in questi anni, gli ho domandato: qual è l’impressione più profonda che ha avuto da questi incontri? La sua risposta: «È un uomo di visione. Ammiro la sua visione. Ed è un uomo di preghiera. Ha una profonda serenità. È l’uomo che lo Spirito Santo ha voluto per questo tempo. È il papa che lo Spirito ha voluto per questo tempo. Ne sono convinto. Ho servito quattro papi, quindi non sono un ammiratore di un papa soltanto. Tutti i papi che ho servito, li ho serviti con lo stesso entusiasmo, come con Francesco».
- Pubblicato il 2 novembre sulla rivista dei gesuiti statunitensi America.
La Chiesa cattolica americana potentissima, ricchissima è sì conservatrice o addirittura tradizionalista, ma in questi venti anni è investita da scandali senza fini. Ad agosto scorso la Diocesi di San Francisco ha dovuto dichiarare bancarotta non per mala gestione ma a causa di risarcimenti alle vittime di abusi. La Chiesa Cattolica americana deve stare sempre in guerra culturale con il resto della società per non guardare i propri mostri. La difesa strenua di alcuni prncipi non ha impedito gli scandali sessuali, per cui la chiesa americana come il resto della chiesa cattolica deve ritornare a formare le coscienze più che a fare guerre culturali.
Bella intervista: è un uomo di grande fede e saggezza. Merita ascoltarlo
Il problema è l’ateismo, la mancanza di Dio, la onnipotenza umana che vuole sostituirsi a Dio nel giudizio di se stesso e delle cose. Il Papa non da sufficiente valore a chi crede e a chi non crede. Gesù è ridotto ad un uomo e non è più Dio! Questo è quello che sento da tanti che si dicono cristiani. Non credo che possa esistere un Cristianesimo senza Gesù Dio.