Due inchieste raccontano la reazione delle Chiese e dei credenti ai mesi di confinamento dovuto alla pandemia.
La prima riguarda il Belgio ed è stata condotta fra settembre e novembre 2020. I suoi risultati sono stati resi noti il 28 gennaio 2021.
La seconda si riferisce sia alla Francia che al Belgio ed è stata somministrata fra marzo e maggio 2020. La presenta Arnaud Join-Lambert su La Maison-Dieu (n. 4, 2020). Ambedue si riferiscono al primo lockdown. Un qualche parallelo per l’Italia in Settimananews: Franco Garelli, “Virus e religiosità degli italiani” e Piotr Zygulski, “Nel cambiamento ecclesiale”.
L’inchiesta belga nasce nella commissione episcopale per la diaconia e la carità e ha raggiunto 397 individui, congregazioni, uffici pastorali e gruppi di credenti.
Le risposte evidenziano l’ampiezza dei drammi vissuti, personali, sociali, economici e spirituali. Con un’attenzione a quelli in atto nel vasto mondo. Si registra anche il coraggio mostrato da molti nel servizio sanitario e nell’ambito della sicurezza e dell’alimentazione.
È cresciuta la coscienza di partecipazione personale alla vita cristiana, in particolare nelle liturgie familiari e domestiche. Spesso favorita dall’uso dei media e delle reti sociali, oltre ai contatti personali. Si riconoscono anche le tensioni irrisolte fra chi sottolinea in particolare il ritorno alla funzionalità liturgica e chi invece evidenzia la solidarietà con le persone più esposte; fra chi ritiene che ci sia stata poca creatività e chi afferma il contrario.
Lockdown e Chiesa in uscita
Fra i segni positivi di una Chiesa «in uscita», si sottolinea il deposito umanistico della fede, la scelta dei poveri, la conversione ecologica richiesta dalla Laudato si’, la testimonianza di molti e la forza dello Spirito. Sul fronte delle debolezze, si nota la tentazione di ripiegarsi, l’impotenza davanti ai drammi degli anziani nelle case di riposo, gli scandali della Chiesa e l’emarginazione delle donne.
Sono positivamente avvertiti il ricorso alle reti sociali e al web nella comunicazione e nelle celebrazioni, gli appelli alla solidarietà e i servizi concreti ai poveri (pacchi alimentari), la preghiera in famiglia e l’apertura delle chiese.
Si lamenta la gestione un po’ confusa delle parrocchie e unità pastorali e l’accesso ineguale alle nuove tecnologie.
Fra le occasioni mancate: una maggiore apertura dei luoghi di culto, l’eccessiva discrezione della Chiesa nel prendere la parola in pubblico, la scarsa valorizzazione del volontariato anziano.
Nei confronti dei responsabili politici e amministrativi si lamenta il mancato riconoscimento del culto come «attività essenziale» e si sottolinea l’importanza delle comunità cristiane nella rete dei legami sociali e una più marcata valorizzazione di tutte le attività di cura alle persone. «Una democrazia che non prende coscienza dell’importanza della trascendenza come uno degli elementi per assicurare la solidarietà e fraternità necessarie per superare la crisi, non è all’altezza della sfida».
Nelle conclusioni, in cui si elencano forze, debolezze e minacce, riprendo le indicazioni relative alle opportunità: la testimonianza di una Chiesa povera e profetica, le domande di relazioni fraterne, la riscoperta delle liturgie domestiche, l’uso dei nuovi strumenti web, il dialogo coi responsabili politici sul ruolo del culto e delle fedi.
La messa sullo schermo
Mentre l’inchiesta belga sviluppa un puntuale elenco delle convinzioni dei singoli intervistati, quella presentata da A. Join-Lambert è una rielaborazione organica di una ricerca su 1.200 persone nei mesi di giugno e luglio 2020. Il suo intento è più preciso e riguarda il culto e, in particolare, le liturgie domestiche che il tempo del confinamento ha propiziato.
Gli intervistati erano tutti praticanti, distribuiti in tre gruppi: quanti hanno usufruito degli strumenti tecnologici, quanti invece li hanno ignorati, e alcuni appartenenti a uno specifico movimento che alimenta le celebrazioni in famiglia. In maggioranza donne (67%), ma secondo un’età spalmata su tutte le stagioni della vita.
Va tenuto conto che i frequentanti abituali in Francia sono il 5% e in Belgio sono 9,42%. La pratica domenicale è stata mantenuta dal 74,4%, più irregolarmente dal 16,6% e, ignorata dal 9% (non per rifiuto, ma per impreparazione).
Molto seguita la messa in televisione, ma grandemente cresciuto l’uso di internet: sia rispetto alle parrocchie di appartenenza (24,9%) sia di altre parrocchie o comunità religiose (26,2%). Internet ha reso possibile una mobilità inesplorata fino ad allora. L’8% è ricorso alla messa alla radio.
La grande maggioranza ha avvertito una maggiore povertà nella celebrazione a distanza (68,7%). Per questi cristiani praticanti il riunirsi è un chiaro costitutivo della loro fede personale. Sorprendentemente meno avvertita l’assenza della comunione delle specie eucaristiche (65,3%). Fra i pastori c’è chi ha spinto molto sui nuovi strumenti comunicativi e chi ha scelto di non celebrare durante il confinamento.
Quanto alle celebrazioni domestiche, si registra la permanenza delle devozioni popolari come il rosario o l’angelus e, più raramente, della liturgia delle ore. Quest’ultima, particolarmente sostenuta all’indomani del concilio, è riemersa nel lockdown, legata all’utilizzo delle nuove tecnologie. In particolare con collegamenti con comunità religiose o monastiche, fra cui Taizé.
Più delicata la celebrazione dell’adorazione in linea (9,3%) che meglio si comprende quando è collocata dentro un atto liturgico o quando l’immagine non è fissa sull’ostensorio ma comprende, almeno in parte, l’assemblea orante. Il caso più citato è la preghiera solitaria di papa Francesco sulla piazza San Pietro il 27 marzo.
I santi segni nelle case
Le liturgie domestiche sono state celebrate in maniera più autonoma all’interno della famiglia o dei congiunti, con invenzioni che sarebbero state maggiori senza la presenza dei nuovi media. Gli adattamenti sperimentati riguardavano in particolare le famiglie con adolescenti e bambini.
È il caso specifico dei riti della settimana santa, dal venerdì (70,8%) alla Pasqua (75,5%). Fra questi la lavanda dei piedi, praticata dalla mamma o dal papà, il pasto del giovedì santo celebrato secondo assonanze della tradizione ebraica, la via crucis pregata a tappe negli appartamenti e il ricorso alla luce delle candele più volte sperimentato in quei giorni. Riti che, nella loro semplicità, affondano in radici spirituali e antropologiche molto consistenti.
L’inchiesta permette di stabilire chiaramente un legame fra la creatività e la presenza di bambini, in particolare fino al primo ciclo scolastico (elementari).
A livello più personale, si registra un maggior ricorso alla lettura della Scrittura (50,7%), al rosario e al nome di Gesù (39,6%), alla preghiera di intercessione (31,3%), alla lettura spirituale (29,1%). Solo l’1,9% afferma di non aver percepito alcun approfondimento spirituale. Non casualmente le parole che connotano la vita liturgica personale conoscono tratti negativi (solitudine, sofferenza, mancanza), ma in prevalenza parole positive (scoperta, arricchimento, fraternità). Tonalità parallele nei confronti del proprio vissuto spirituale, mentre maggiori critiche nei confronti di quello ecclesiale. In ogni caso sono praticanti che nel confinamento hanno scoperto altri luoghi e altre forme di preghiera.
Ecclesiolae
Un primo passaggio significativo è quello dalla messa radio-tele trasmessa al moltiplicatore dei social e del web. Continuando a pagare una riduzione al senso della vista e dell’udito rispetto al gusto, odorato e tatto.
Ormai la domanda non riguarda più ciò che vi è oltre il video, ma su chi è davanti allo scherma di internet e le sue relazioni, sia fisiche che affettive. Di quale assemblea si può parlare? Andiamo incontro a un soggettivismo disordinato? Seppur va rimarcato lo sforzo attivo di collegarsi.
Un secondo passaggio è la netta prevalenza della celebrazione liturgica della messa. A distanza si può celebrare solo la messa o è possibile immaginare altre comunicazioni spirituali e liturgiche? Non è un caso che la presenza dei bambini costringa a una maggiore creatività.
In terzo luogo va sottolineato l’emergere sia pur fragile delle piccolo chiese domestiche. Casi non numerosi, ma non irrilevanti. Trasformarle da fatto temporaneo a struttura permanente è un compito di Chiesa. È bene investire il ministero presbiterale di alimentare queste esperienze. «Il confinamento ha messo in luce un deficit di responsabilizzazione dei cattolici nella celebrazione della loro fede, ma anche la capacità da parte di parecchi di assumersi questa dimensione. È l’insieme della pastorale liturgica ad essere convocata a nuovi orientamenti. Senza rinnegare ciò che è stato fatto, i cattolici sono invitati a riscoprire la preghiera rituale in piccoli gruppi, in fraternità di prossimità, in ecclesiolae (piccole chiese)».