Il 1° luglio il corpo senza vita del prete François de Foucauld è stato trovato nel bosco di Rambouillet (Versailles, Parigi).
Da pochi mesi privo di missione pastorale, il prete, cinquant’anni, da alcune stagioni si era trovato dentro un conflitto a proposito dei suoi indirizzi pastorali con una parte della comunità cristiana che serviva (Bois-d’Arcy), con le istanze diocesane e i vescovi che si sono succeduti. I molti tentativi di mediazione non hanno risolto il problema aggravando le distanze e la solitudine dell’interessato fino alla tragica conclusione.
Dinamico e fortemente impegnato nell’evangelizzazione fin dalla sua ordinazione nel 2004, affronta le prime difficoltà da parroco a Conflains-Sainte-Honirine nel 2009. Si trasferisce poi come coadiutore ad altra parrocchia, fino ad arrivare a Bois-d’Arcy.
Oltre all’impegno con il catechismo e la liturgia, s’inventa forme nuove come la “messa dei curiosi” per i non frequentanti e i ricomincianti. Capace di intuizioni geniali, anche se talora un po’ frettolose, destabilizza una parte della parrocchia che comincia a manifestare il suo malcontento con il centro diocesano. Non mancano momenti di ostilità, interruzioni durante le omelie e persino minacce. Il prete chiede al vescovo di poter leggere le lettere di critica nei suoi confronti, ma gli viene rifiutato in nome della riservatezza della comunicazione.
Chiede un confronto diretto con i suoi critici, ma questi non si presentano. Si ricorre anche a una mediazione professionale e, su consiglio di un avvocato, domanda che venga steso un rapporto formale sulla situazione della parrocchia. Il rapporto scritto a quattro mani (favorevole e critico) ha parole maldestre sulla sua salute psichica e la cattiva gestione delle finanze, ferendo ulteriormente il prete.
Il nuovo vescovo, Luc Crepy, annulla il rapporto e cerca di chiudere la vicenda imponendo di non ricorrere a ulteriori istanze e suggerendo all’interessato un anno di stage in Canada. Il prete non parte e insiste nel voler conoscere i fatti e gli addebiti precisi che gli sono stati rivolti. Poi, la tragica conclusione nel bosco di Rambouillet.
Tensioni non gestite
Nell’addolorata nota d’informazione, il vescovo manifesta la grande tristezza sua e della diocesi e accenna ai moti di collera, di incomprensione e di aggressione che trovano riscontro fra amici, parenti e parrocchiani.
In un intervento su La Croix l’interessato aveva denunciato una mancanza di governance nelle diocesi: «È impedita la parola. Troppo sovente un piccolo cerchio di chierici e di laici attorno al vescovo si intesta di diritto dell’ultima parola. Questa costrizione al silenzio imposta da qualcuno non è più tollerabile».
La celebrazione delle esequie (8 luglio), non presiedute dal vescovo per espresso desiderio della famiglia, ha conosciuto momenti intensi e di tensione, come l’interruzione dell’omelia, poi ripresa, e la testimonianza imprevista alla fine di uno zio del defunto che ha detto: «Cari familiari e cari parrocchiani… Ci portiamo tutti la stessa domanda: ti sei suicidato o ti hanno suicidato?».
Per molti, dietro un atto tragico come questo vi è un grido da interpretare che martella la coscienza di preti e di comunità: chi si prende cura dei pastori davanti alle enormi sfide della pastorale oggi? Negli ultimi sei anni sono una decina i suicidi dei preti, solo in parte riferibili a denunce relative agli abusi.
«In Francia la pressione sociale sui preti e sui vescovi è enorme» scriveva su SettimanaNews il vescovo G. Daucourt (cf. Francia: il suicidio dei preti, 2020). «La disaffezione della pratica, la scomparsa del cristianesimo nella società sono sfide dure per tutti. Possiamo immaginare quanto siano pesanti per il prete che rappresenta l’istituzione» (I. De Gaulmyn, La Croix, 6 luglio).
Luci e ombre
Non mancano nel Paese momenti di grande intensità relativamente al clero come la canonizzazione di Charles di Foucauld (15 maggio 2022) alla cui discendenza appartiene la vittima. C’è stata anche la luminosa testimonianza di generosità del monfortano p. Olivier Maire, ucciso l’8 agosto 2021 da un rifugiato che ospitava nel convento.
È però difficile sottrarsi al clima complessivo di ex-culturazione del cristianesimo e al peso delle conclusioni della Commissione Sauvé sugli abusi. Essa ha ricordato che le stimate 216.000 vittime sono in capo a 2.900 – 3.200 preti nell’arco temporale fra il 1950 e il 2020. E, cioè, il 3% del clero. Come non è possibile non vedere la crescita del giovane clero conservatore, apparentemente forte ma incapace di affrontare la situazione, che potrebbe in pochi anni arrivare al 40% dell’intero presbiterio nazionale, facilmente esposto anche a percorsi formativi assai dubbi come mostra il recente blocco vaticano all’ordinazione di una decina di preti al seminario di Fréjus-Toulon.
Da tempo, i vescovi si sono interrogati sulla salute e sull’equilibrio dei propri preti. In un’inchiesta del 2020 erano apparse emergenze preoccupanti: il 2% esposto al burnout, un consumo significativo di alcol e un certa esposizione agli stati depressivi.
Chiunque fosse in situazione di sofferenza o disagio interiore può contattare Telefono Amico ai seguenti numeri: 02 23272327, oppure 324 0117252.
Non conoscendo a fondo la vicenda del fratello François, mi rivolgo due pensieri:
Dal racconto, molto parziale, non emerge la posizione e la presenza del presbiterio, vicariale e diocesano, che sicuramente avrà agito con la vicinanza e la carità presbiterale;
L’altra posizione così espressa dal fratello: «È impedita la parola. Troppo sovente un piccolo cerchio di chierici e di laici attorno al vescovo si intesta di diritto dell’ultima parola. Questa costrizione al silenzio imposta da qualcuno non è più tollerabile». i vescovi succedutesi alla guida della diocesi, nel racconto non fanno bella figura.
Spesso il vescovo, da come si pone, non sembra che venga dal presbiterio, perché ignorano di essere ancora preti (molti amano farsi chiamare ancora “don”) e mancano nel loro primo compito: “curare il presbiterio, relazione fraterna: incontrare “informalmente” sul campo i preti e interessandosi della vita feriale di ognuno di loro, richiamare all’ortodossia chi va per strade proprie e diserta gli incontri diocesani, favorire la fraternità che alcuni unisce e valorizzare i “carismi” che ognuno ha ricevuto dal buon Dio, come propria “corona” di ignaziana memoria.
Da ciò che si legge….un sacerdote dinamico e molto impegnato , come tanti altri che dalle 6 del mattino fino a sera inoltrata , non smettono di lavorare , e spesso si trovano da soli ad affrontare le sfide che gli si presentano , convinti di fare il meglio possibile…ma ci sarà sempre qualcuno pronto a criticare e accusare quello che “non va bene ” .
Un vescovo che dovrebbe informarsi su quello che ha da svolgere in una giornata un prete e mettersi nei suoi panni…. ma quello che trovo veramente vergognoso è che gli hanno vietato di affrontare gli accusatori e di sapere i veri motivi delle critiche , condannandolo senza un perchè ….. è questo che lo ha ucciso …. io spero almeno che questa morte resti nella coscienza dei responsabili….
la parte scandalosa della vicenda è che al prete è stata negato, almeno per un tempo notevole, di conoscere nel dettaglio le accuse che gli erano state lanciate, e di poter confrontarsi con gli accusatori
Un fenomeno strano nella Chiesa è voler “difendere la dignità e l’onore delle persone” condannandole senza dire il perché, lasciando aperta la porta a 1000 speculazioni che alla fine sommergono di sterco il condannato.
Almeno se si sapessero pubblicamente i motivi uno potrebbe difendersi… lo si è visto anche in Italia con il caso della Familia Christi di Ferrara prima e di Enzo Bianchi dopo: condannati per vaghi motivi.