Negli ultimi quattro anni sette preti si sono suicidati. È un fenomeno che tocca in particolare i presbiteri francesi? Difficile dirlo, dal momento che informazioni relative al suicidio dei preti ci arrivano anche da altri paesi. I due preti che si sono tolti la vita nella seconda quindicina di agosto avevano cinquant’anni. I due morti due anni prima, a pochi giorni l’uno dall’altro, avevano ambedue 38 anni.
Gli altri, rispettivamente 46, 47, e 79 anni. Due erano di origine africana. La loro storia personale e la loro situazione erano molto differenti. E sono stati chiamati in causa per ragioni altrettanto diverse: due per una denuncia di abuso o comportamento inappropriato verso una donna adulta; tre con l’accusa di abusi o gesti inappropriati con minori; per gli altri due non c’era una questione di costumi, ma si trattava di depressione.
Le accuse e le pressioni dei media
Psicologi e psichiatri competenti offrono chiarificazioni circa le sofferenze, le reazioni e i comportamenti di persone che si suicidano. Ci dicono anche quello che potrebbe essere caratteristico della personalità dei preti suicidi.
Questi ultimi, più fragili di altri, arrivano alla negazione della propria umanità. Non riescono ad assumere le loro debolezze. Avendo desiderato di essere un esempio, implodono davanti alla realtà. Accettarsi nelle proprie fragilità non è semplice per nessuno. Come perdonare a se stessi? Considerazioni certamente valide per tutti i preti e per tutti i paesi.
Si può, in ogni caso, concludere con p. Joël Pralong, superiore del seminario di Sion, che il suicidio non è mai veramente una scelta. Il passaggio all’atto è il risultato di una disperazione profonda che spinge la persona a evitarsi ad ogni costo la sofferenza per ritrovare la pace.
In queste tragedie vi è qualcosa di specifico per la Francia? Senza conoscere con sufficiente precisione la situazione degli altri paesi mi sembra di poter dire che in Francia la pressione sociale sui preti e i vescovi è enorme. Gli abusi sessuali commessi dal clero offrono ai media l’opportunità di abbandonarsi a cuor leggero a denunciare le contraddizioni di una Chiesa moralizzatrice.
Niente di sorprendente in un paese segnato da un anticlericalismo “primario”. È più grave che la stampa di ispirazione cattolica (come anche la radio, così mi si assicura) non rimanga indietro sul tema e spesso si abbandoni ad eccessi di zelo, rilanciandolo ed enfatizzandolo.
Essa contribuisce largamente al sospetto che ora pesa nell’opinione pubblica su tutti i preti e che, in Francia, è avvertita da molti degli interessati come una violenza sociale quasi permanente.
I dossier non si chiudono
Non è facile reagire perché è necessario riconoscere nello stesso tempo che, se i vescovi hanno preso coscienza delle loro responsabilità passate o presenti nell’ambito degli abusi sessuali, è in gran parte merito dei media che non nascondono la verità, dando la parola alle vittime e diffondendo le scoperte della psicologia e della psicanalisi.
Vescovi e preti sono sotto l’alta sorveglianza dei media. Il più piccolo passo falso è segnalato e fatti risalenti a 20 o 40 anni fa sono analizzati con i criteri di giudizio di oggi. È successo che dei vescovi nella fretta di dare risposte pubbliche o di prendere misure censorie hanno lasciato credere – a torto – che non avevano fiducia nei loro preti. Per alcuni giornalisti sembra che i dossier rimangano sempre aperti.
Un prete condannato, che ha espiato la sua pena da due anni, ha intrapreso un cammino di conversione ed è ancora sottoposto a una sanzione canonica temporanea, ha visto recentemente il proprio nome e la propria storia nuovamente proposti al pubblico da una certa stampa di ispirazione cattolica che così lo blocca nel suo passato e lo condanna per sempre.
Il che non significa la pretesa che le autorità giudiziarie o ecclesiali non debbano tenere conto del passato di certe persone, soprattutto quando si tratta di pedofili esposti al rischio di recidiva.
Quello che voglio dire è che, in una atmosfera simile, quando un prete in Francia è messo in causa con ragione o, invece, sottoposto a calunnia, sa di essere condannato dai media. Se si aggiungono altri fattori come la fragilità affettiva e sessuale l’interessato rischia di crollare perché è consapevole che la presunzione di innocenza non è praticamente più riconosciuta, che siamo in una “mediacrazia” e non più in una “democrazia” e che l’accanimento dei media non si fermerà. Avverte che ormai gli verrà rifiutata ogni fiducia e speranza, con una condanna che sarà per sempre.
Misericordia anche per loro
Sono molto rare le parole di misericordia verso i colpevoli o i presunti tali. Non si tratta di sminuire le responsabilità o di mancare di prudenza ma di affermare con chiarezza che, dopo il giudizio e l’eventuale condanna, la porta della misericordia e della speranza proposta dal Cristo ai peccatori è sempre aperta a quanti “fanno la verità” e sono disposti a conversione.
«Riconoscete apertamente i vostri errori. Sottomettetevi alle esigenze della giustizia umana, ma non disperate mai della misericordia di Dio» (Benedetto XVI ai preti d’Irlanda). Perché è così difficile, ad esempio, affermare in verità e carità che i pedofili sono nello stesso tempo delinquenti o criminali, ma anche persone peccatrici segnate da una struttura psichica patologica?
Queste non sono solo impressioni personali ma frutto di quanto ho raccolto da anni presso preti e religiosi a cui ho predicato esercizi spirituali o che ho accolti in associazioni o in luoghi di rinnovamento spirituale. I vescovi francesi sono turbati dai suicidi dei preti.
«Come responsabili abbiamo capito la loro sofferenza?»: così recentemente si interrogava il vescovo di Troyes. Da alcuni mesi, dentro la conferenza episcopale è attivo un gruppo di lavoro che cerca come sostenere rapidamente i preti o i religiosi che attraversano una fase suicidaria dopo la loro messa in causa.
- Mons. Gérard Daucourt è vescovo emerito di Nanterre.