Francia: resistere all’antisemitismo

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Il 1° febbraio 2021 nella sede della Conferenza episcopale francese a Parigi è stata firmata e presentata ai massimi rappresentanti del giudaismo d’Oltralpe una dichiarazione contro il risorgente antisemitismo: Lottare insieme contro l’antisemitismo e l’antigiudaismo sarà la pietra di paragone di ogni fraternità reale.

La firma è quella del presidente, mons. Éric de Moulins-Beaufort, dei vescovi vicepresidenti (Dominique Blanchet e Olivier Leborgne) e dei vescovi responsabili delle relazioni con l’ebraismo (Didier Berthet e Thibault Verny). Da parte ebraica erano presenti il gran rabbino di Francia, Haïm Korsia, e il presidente del consiglio rappresentativo delle istituzioni ebraiche, Francis Kalifat. Ecco il testo.

«All’indomani degli omicidi terroristi di Samuel Paty e di tre persone nella basilica Notre-Dame-de-l’Assomption di Nizza, i vescovi di Francia, riuniti in assemblea plenaria, hanno interpellato la nostra società francese sul rispetto reciproco. Riprendendo l’appello di papa Francesco alla fraternità universale, insistevano sul dovere esigente di ciascuno di tenere insieme la libertà di espressione con il rispetto fraterno dell’altro, anche di colui di cui si vuole criticare un errore.

Un appello tanto più urgente dopo alcuni anni in cui assistiamo a una inquietante banalizzazione della violenza, con la moltiplicazione di parole e gesti carichi di discriminazione e razzismo. Le reti sociali che, in sé, rappresentano un’opportunità straordinaria di comunicazione e trasmissione, sono anche uno spazio di espressione individuale e collettivo che non conosce limiti, beneficiando dell’anonimato e propiziando troppo spesso i peggiori eccessi.

La fraternità universale e la Torah

In tale contesto i vescovi invitano ad essere particolarmente attenti all’inquietante risorgenza dell’antisemitismo in Francia. Riaffermano con forza oggi quanto la lotta all’antisemitismo debba essere compito di tutti e sottolineano la loro volontà di lavorare con tutti e tutte che si impegnano in merito.

Per noi cattolici, tale preoccupazione ha la sua origine nel nostro “legame spirituale” unico col giudaismo. Più che mai è necessario ricordare l’importanza delle radici ebraiche del cristianesimo. “Non possiamo considerare il giudaismo semplicemente come un’altra religione: gli ebrei sono i nostri ‘fratelli maggiori’ (san Giovanni Paolo II), i nostri ‘padri nella fede’ (Benedetto XVI)”.

Ricordiamoci che Gesù, il Verbo di Dio ha pregato con i salmi, letto la Legge e i profeti. Nel cuore stesso delle nostre azioni liturgiche e della nostra preghiera personale, attraverso la recezione e la proclamazione dei testi dell’Antico Testamento, con l’apostolo Paolo, ci ricordiamo che “i doni e la chiamata di Dio sono irrevocabili” (Rm 11,29). Se la fede in Gesù ci distingue e ci separa, ci obbliga anche, nella memoria delle ore terribilmente oscure della storia e guardando al ricordo delle vittime della Shoah e delle uccisioni antisemite degli ultimi decenni, a riconoscere: guarire dall’antisemitismo e dall’antigiudaismo è il fondamento indispensabile di un’autentica fraternità a livello universale. Tale guarigione è un cammino esigente in cui tutti gli umani devono impegnarsi. Essa comincia dalla “resistenza spirituale all’antisemitismo”.

Siamo “impegnati a vivere una fraternità autentica con il popolo dell’Alleanza”, perché speriamo di avere appreso da lui: che gli esseri umani, di qualsiasi origine, lingua e cultura sono chiamati a vivere sempre nella comunione, ove ciascuno sarà aperto a tutti e tutti a ciascuno. Per questo i vescovi di Francia esortano non solo i cattolici ma anche i loro concittadini a lottare energicamente contro ogni forma d’antisemitismo politico e religioso in se stessi e attorno a sé».

La dichiarazione di Drancy (1997)

La presa di posizione dei vescovi risponde ai casi già ricordati, ma soprattutto all’ambiente sociale complessivo. Come ha ricordato nel suo discorso introduttivo il presidente Moulins-Beaufort: «L’antisemitismo ha ritrovato un vigore inatteso. Lo sappiamo, non era mai sparito del tutto; trova alimento nei vasi di espansione delle reti sociali che non hanno controlli. Il nostro paese è diviso, fratturato. Alcuni hanno il sentimento di essere derubati del loro destino.

La tentazione di cercare una causa è alta. Trovare un capro espiatorio è una grande tentazione e la Chiesa cattolica, nella sua lunga e drammatica storia, ha imparato che il popolo ebreo, il popolo eletto, il popolo dei fratelli maggiori dell’Alleanza, che sostiene l’Alleanza a nome di tutti gli altri e in favore di tutti, è facilmente indicato per questo ruolo».

Su dieci atti di violenza e odio, quattro riguardano gli ebrei, che sono l’1% della popolazione francese. In dieci anni il 10% degli ebrei di Francia è emigrato. Gli insulti sui social rinnovano i pregiudizi antichi che ritornano.

La dichiarazione si ricollega a quella del 23 novembre 2015 (Dichiarazione per il giubileo della fraternità futura), e soprattutto alla dichiarazione di pentimento di Drancy, firmata dai vescovi nel 1997: un’organica e ampia riflessione sulle responsabilità dei vescovi e della Chiesa cattolica nel favorire e nel non apporsi alle leggi anti-ebraiche del 1940-’41.

In essa si diceva: «La maggioranza delle autorità spirituali, invischiate in un lealismo e una docilità che andava molto al di là della tradizionale obbedienza al potere costituito, sono rimaste rintanate in un atteggiamento di conformismo, di prudenza e di astensione, in parte dettato dal timore di rappresaglie contro le opere e i movimenti cattolici giovanili. Esse non si sono rese conto del fatto che la Chiesa, allora chiamata a giocare un ruolo di supplenza in un corpo sociale smembrato, deteneva di fatto un potere e una influenza considerevoli e che, nel silenzio delle altre istituzioni, la sua parola poteva con la sua eco fare da barriera all’irreparabile».

Non sono certo mancati fra i vescovi e il popolo cristiano testimoni coraggiosi, ma va riconosciuto «il ruolo, se non diretto almeno indiretto, giocato dai luoghi comuni antiebraici, colpevolmente alimentati nel popolo cristiano nel corso del processo storico che ha condotto alla Shoah».

«Oggi confessiamo che questo silenzio fu una colpa. Come pure riconosciamo che allora la Chiesa in Francia venne meno alla sua missione di educatrice delle coscienze, e che per questo essa porta insieme al popolo cristiano, la responsabilità di non aver prestato soccorso sin dai primi momenti, quando la protesta e la protezione erano possibili e necessarie, anche se in seguito vi furono innumerevoli atti di coraggio».

Crescenti simpatie a destra

Ma forse dietro all’attuale dichiarazione vi è anche un movimento che interessa la Chiesa di Francia oggi: il peso crescente dei tradizionalisti. Non parlo del nucleo dei tradizionalisti puri e duri, dei fondamentalisti, ma di un’area di tradizionalisti classici, conservatori sotto il profilo dottrinale, disciplinare e spesso anche politico. I fondamentalisti di destra sono da sempre un motore dell’antisemitismo, ma la contiguità d’area fra i due settori potrebbe rivelarsi permeabile al nuovo clima antisemita.

Ai conservatori classici va la simpatia di molti, anche fra i vescovi. È l’orientamento delle nuove leve del cattolicesimo che provengono soprattutto dalla borghesia e dal ceto benestante e cittadino. Così anche il clero. Nelle grandi città le chiese si riempiono ancora e le parrocchie sono attive, dopo aver perso, purtroppo, le campagne e il mondo operaio.

Sono i tradizionalisti classici che hanno avuto il coraggio di adire al Consiglio di stato e vincere la causa della partecipazione alle messe al tempo del primo lockdown. Hanno deriso la conferenza episcopale che si era attenuta al dialogo con le autorità governative. Queste ultime hanno inteso il dialogo come debolezza, per poi ricredersi quando l’iniziativa è partita dai vescovi che hanno vinto nei tribunali.

La vicinanza delle aree conservatrici si è vista nelle manifestazioni e nelle preghiere sui sagrati delle chiese dove non si poteva entrare. C’era gente ben motivata e convinta, ma i presenti sono stati facilmente manipolati da attivisti politici delle destre che di fede e pratica religiosa non avevano nulla.

Fra i vescovi sono chiaramente di destra tre o quattro, mentre le comunità legata alla Commissione Ecclesia Dei (per i lefebvriani) e ora alla IV sezione della Congregazione per la dottrina della fede, si sentono rinverdire dal nuovo clima. Trovano appoggi crescenti, in particolare da frange sempre più militanti che fanno capo ai preti della Comunità Saint Martin, che ha il vento in poppa quanto a vocazioni.

Il loro seminario a Évron è strapieno, mentre i seminari diocesani languono. Hanno un’identità ecclesiale parallela non solo quanto al rito, ma anche relativamente alla teologia, alla disciplina ecclesiastica, allo stile spirituale. Anche se è assai poco credibile la loro pretesa di essere esenti da scandali e soprattutto da abusi spirituali.

Diverso l’orientamento del laicato che è più interessato alla missione che non alla rivendicazione. Esso avrebbe bisogno di un sistematico accompagnamento. Non è occasionale che un fenomeno come il Congrès Mission riunisca ormai quasi tutte le espressioni del laicato. Anche le communautès nouvelles, che si stanno riprendendo dopo l’onda delle accuse sugli abusi, e una rete di oltre 400 parrocchie seguono questo indirizzo. Mentre le organizzazioni sessantottine come Golias, Conferenza dei battezzati, Cristiani di Vaucluses e alcuni settori dell’azione cattolica sono in estinzione per ragioni anagrafiche.

Molte religioni: una benedizione

Tornando al discorso di mons. Éric de Moulins-Beaufort si capiscono le opportunità e i rischi di un nuovo contesto di Chiesa di minoranza. «I cristiani hanno imparato dalla storia che è temibile essere il gruppo dominante, perché rischia di diventare oppressivo: la forza di coesione del gruppo sopporta malvolentieri ciò che la disturba.

È tentato di esigere da tutti che interpretino il deposito ereditario nella stessa maniera. Alla luce della storia possiamo dire oggi che è un bene per l’umanità essere attraversata da religioni diverse: esse devono essere accettate, il gioco delle loro relazioni disegna l’avventura spirituale di ogni essere umano e dell’umanità intera. Esse ci obbligano a cercare la nostra unità, non in somiglianze superficiali, esteriori, ma nel lavoro interiore che propiziano. Impediscono di credere che siamo arrivati al culmine, che l’umanità abbia terminato il suo lavoro e che l’opera di unificazione si possa concludere nel presente storico».

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