Quando Jean-Marc Sauvé il 5 ottobre 2021, dopo aver presentato i numeri inquietanti degli abusi ecclesiastici nel Rapporto finale della Commissione Ciase, pose nelle mani dei maggiori responsabili di vescovi e religiosi i molti volumi della ricerca, sembrava che quel peso li schiacciasse.
Il presidente della conferenza episcopale, Eric de Moulins-Beaufort (MB) e soprattutto sr. Veronique Margron (VM), pallidi e coi lineamenti tirati, sembravano avere tra le mani una sentenza inappellabile di condanna.
A quasi due anni da quell’evento i due protagonisti sono stati intervistati da A. Bevilacqua e C. Henning de La Croix (10 giugno) e, in termini pacati ma fermi, rispondono su alcuni dei punti critici che attualmente complicano la prosecuzione dell’opera di rinnovamento ecclesiale allora avviata.
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Anzitutto sul necessario cambiamento di cultura. Le denunce ci hanno obbligati a «riconoscere che ogni posizione d’autorità può sperimentare la perversione» (MB). Davanti a crimini che hanno carattere «sistematico la risposta deve essere sistematica ed esigere una trasformazione» (VM). Si tratta di mettere sotto analisi tutte le dimensioni ecclesiali perché tutte sono state funzionali all’accecamento collettivo.
Alla base degli abusi sessuali e ben oltre questi si registrano gli abusi di potere e spirituali. C’è un’oggettiva difficoltà a definire in maniera precisa e giuridicamente convincente questo aspetto. Tanto più che i vescovi e i superiori non hanno gli strumenti di inchiesta e le competenze per identificarli.
Ma l’intento di fondo è di alimentare tutti, «compresi i fedeli, ad avere il senso della libertà spirituale» a testimoniare che «la Chiesa è anzitutto una terra di libertà» (MB). «Chi può inquisire con competenza e autorità? Si possono ricevere le testimonianze, interpellare le comunità che però restano autonome. È fondamentale fare appello ad altri, ricorrere alle istituzioni pubbliche, alla giustizia, alla società civile» (VM).
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Rispetto alla reiterata indicazione sull’eccessiva sacralizzazione del prete è urgente riconoscere che, nella Chiesa, c’è un esercizio di potere «che viene ignorato perché si parla sempre di “servizio”. Il potere non è riconosciuto con lucidità» (MB). Nella vita religiosa i voti vanno proposti in modo da non soffocare fondamentali diritti come accedere alla corrispondenza, la libertà di coscienza, la libertà di voto» (VM).
Da alcune parti viene registrato un affievolimento dell’impegno, come una sorta di stanchezza. La gente «è lenta a muoversi, ma l’importante è che si muova. È la nostra responsabilità e quella dei nostri successori alimentare il movimento, lasciandoci ferire dalla violenza che le vittime ci hanno raccontato» (MB). «Solo il futuro ci dirà se ci saranno realmente dei cambiamenti generali. Certo, l’ascolto autentico e sconvolgente delle vittime crea un movimento non comprimibile» (VM).
Alcuni commentatori hanno evidenziato la diversa velocità di religiosi e vescovi in merito. I primi sembrano essere più decisi e attrezzati sul tema. La risposta di Margron sottolinea la diversa responsabilità e la maggiore facilità per i consacrati a nuovi indirizzi. «Che la vita religiosa vada più lontano, più rapidamente, che sia più esigente, va molto bene!… Sono contenta che le congregazioni e gli ordini religiosi mettano in opera le decisioni opportune. Aiuteranno tutti gli altri».
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C’è il pericolo dello scoraggiamento? «Dobbiamo essere all’altezza della fiducia dei fedeli che lavorano con noi, la cui grande maggioranza è composta da laici. Sono restati nella barca. È un grande incoraggiamento e, al tempo stesso, una richiesta per noi».
Viene annunciato che, a breve, uscirà un sussidio informativo, firmato da vescovi e religiosi, sulla lotta contro gli abusi: Cosa fa la Chiesa contro le violenze sessuali?. Le tre parti sono riassumibili così: accogliere, riconoscere, riparare; allertare e agire; prevenire.