La terza monografia del 2024 di Presbyteri è dedicata al tema delle fraternità presbiterali, ovvero delle esperienze diverse che alcune diocesi stanno portando avanti di vita comune tra i presbiteri. «La monografia desidera riflettere sui fondamenti e le motivazioni della fraternità e dell’amicizia tra presbiteri e raccogliere esperienze diverse per descrivere un fenomeno in evoluzione e in crescita, mosso da necessità e bisogni nuovi». Riprendiamo qui l’editoriale.
La “fraternità presbiterale” sia come tematica di riflessione che come esperienza di vita è tornata a godere di una reale attualità che risponde pienamente alle attese della Chiesa di oggi circa la vita dei preti. Essa è innanzitutto il frutto della prima chiamata di Gesù nei confronti dei suoi discepoli: «Ne costituì Dodici – che chiamò apostoli – perché stessero con lui e per mandarli a predicare» (Mc 3,14).
Allo stesso tempo è anche un dono particolare dello Spirito e un segno specifico di quella comunione che è l’essenza del volto interiore di tutta la Chiesa. Di fatto, lungo i secoli, questa forma di vita si è molto attenuata, nonostante le testimonianze di figure significative e i richiami del magistero. Oggi, già a partire dalla riflessione inaugurata dal Concilio Vaticano II, essa viene riscoperta e riproposta sotto nuova luce.
La vita del presbitero, fatta di relazioni molteplici, riceve impulso e vigore da una fraternità del tutto “nuova” che deve realizzarsi anzitutto nella sua vita concreta di relazione con gli altri presbiteri. Davanti alle sfide della nuova evangelizzazione, l’immagine evangelica ed apostolica di un presbiterio capace di vivere intensamente la propria fraternità può essere un segno di aiuto, se non di profezia, per le donne e gli uomini di questo nostro tempo, stretto nella morsa di tante divisioni e conflitti.
Le tracce di riflessione proposte in questa monografia possano essere stimolo ad ogni presbitero per una revisione convinta della propria vita e per scelte coraggiose e coerenti, dalle quali non è più possibile esimerci.
La ricchezza della diversità
Papa Francesco, nella recente lettera ai parroci scrive: «Vorrei raccomandarvi di porre alla base di tutto la condivisione e la fraternità fra voi e con i vostri Vescovi (…) Non possiamo essere autentici padri se non siamo anzitutto figli e fratelli. E non siamo in grado di suscitare comunione e partecipazione nelle comunità a noi affidate se prima di tutto non le viviamo tra noi»[1].
I vari presbitèri della Chiesa italiana hanno certamente storie e sensibilità diverse sul tema della fraternità e sarebbe semplicistico e riduttivo voler omologare le diverse modalità che connotano l’esperienza della vita fraterna. Si può dire, però, che la fraternità fra preti viene riconosciuta da tutti come un valore insostituibile e prezioso. C’è chi la percepisce e la vive come un elemento costitutivo e fondativo del ministero; chi si preoccupa di meno di questo aspetto, ma ne vive con attenzione e cura la dimensione concreta e pratica: gli impegni di zona, vicariali e diocesani e l’attenzione agli altri preti nelle scelte pastorali; chi ne sottolinea in modo particolare qualche aspetto, frutto di sensibilità diverse: l’amicizia, la condivisione pastorale, l’aiuto nelle scelte o nei momenti difficili, l’argine alla solitudine.
Una realtà … umanissima
Eppure c’è un aspetto da cui la sensibilità attuale non può prescindere: la dimensione esistenziale della fraternità presbiterale.
«Non prego solo per questi, ma anche per quelli che crederanno in me mediante la loro parola: perché tutti siano una sola cosa; come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch’essi in noi, perché il mondo creda che tu mi hai mandato» (Gv 17,20-21).
La vita comunitaria tra presbìteri, che si sta diffondendo in varie esperienze sul territorio, è forse il modo più concreto e convincente di testimoniare la fraternità presbiterale. È proprio da questa vita comunitaria che proviene quel segno efficace e “parlante” della presenza del Signore Gesù Via, Verità e Vita.
È una fraternità presbiterale il cui stile non può prescindere da due atteggiamenti essenziali: la stima e la franchezza.
C’è bisogno di stima reciproca; è uno dei desideri che torna con maggiore insistenza negli incontri tra i preti. Spesso, una delle espressioni più richiamate è quella che San Paolo propone nella lettera ai Romani: «Amatevi gli uni gli altri con affetto fraterno, gareggiate nello stimarvi a vicenda» (Rm 12,10). L’insistenza su questo aspetto da una parte segnala la necessità di imparare a stimarsi, dall’altra rivela che spesso siamo dei presbitèri feriti proprio in questo ambito. Se non ci si aiuta a stimarsi a vicenda, non si può costruire fraternità.
Un secondo atteggiamento imprescindibile è quella della franchezza (la “parresia” paolina). È il coraggio di parlarsi liberamente e sinceramente, non con quello stile un po’ arrogante che usano gli adolescenti quando dicono: “certo che glielo dico in faccia!”. Non possiamo dimenticare che siamo perennemente discepoli quando si tratta di imparare l’arte delle relazioni personali. Un’arte che è fatta di una comunicazione sincera; che si basa sulla capacità di esprimere sentimenti ed emozioni, oltre che le proprie ragioni; che si fonda su uno sforzo costante per essere costruttori di rapporti vissuti in maniera onesta, positiva e non disfunzionale.
La fraternità presbiterale si colloca sempre ad un livello umanissimo del proprio vissuto, in cui servono la delicatezza e la cura delle attenzioni più semplici, ma proprio per questo più necessarie e più vere. Gesti buoni di umanità, in cui anche le differenze non sono guardate come stravaganze, ma vengono viste con uno sguardo accogliente perché fraterno.
È tutta questione di stile
La fraternità, come già anticipato, è davvero una questione di stile. Nei limiti del possibile, è bello poter coltivare una conoscenza personale e diretta dell’altro, da cui deriva la disponibilità e il desiderio di farsi carico di quel fratello, nel modo in cui il proprio ministero lo consente. Ricordo l’espressione di un prete che in un incontro disse: «La fraternità non è un tema, ma una metodologia, che vale in qualunque situazione e di fronte a qualsiasi argomento». Se così fosse come sarebbe più semplice ricostituire vere e proprie comunità di presbiteri, che non lasciano indietro i più fragili.
La fraternità non si impone né si improvvisa, perché spesso nel cammino di una comunità presbiterale ci sono intenzioni buone ma anche ferite e sofferenze che vanno curate e sanate. Per questo è necessario mettere in campo anche persone e strutture, metodi e forme che favoriscono il crescere della fraternità, sia a livello umano personale che a livello pastorale. Senza mai dimenticare che la “fraternità” non è un punto di partenza, ma è semmai una meta, un punto di arrivo da cui rilanciare il cammino.
Quando non ci lasciamo troppo frastornare dalla tentazione dell’efficientismo, quando non presumiamo di poter fare tutto da noi stessi, quando riusciamo a divenire suggeritori di positività nel creare un clima di rispetto reciproco, solo allora le nostre relazioni saranno in grado di riattizzare quel fuoco della fraternità che spesso sembra assopito sotto la cenere.
È la via della semplicità dell’essere, che significa “povertà di mente” perché c’è sempre molto da imparare dagli altri e “povertà di cuore” per creare quello spazio di calma interiore dove accogliere chi vuole riposarsi un po’, senza che abbia a ferirsi negli spazi troppo angusti e ristretti del cuore.
«Spirito del Signore, dono del Risorto agli apostoli del cenacolo, gonfia di passione la vita dei tuoi presbiteri. Riempi di amicizie discrete la loro solitudine. Rendili innamorati della terra e capaci di misericordia per tutte le sue debolezze. Confortali con la gratitudine della gente e con l’olio della comunione fraterna. Ristora la loro stanchezza, perché non trovino appoggio più dolce per il loro riposo se non sulla spalla del Maestro»[2].
[1] Francesco, Lettera ai Parroci, Roma, San Giovanni in Laterano, 2 maggio 2024.
[2] A. Bello, Convivialità delle differenze. Omelie crismali, prefazione di B. Forte, La Meridiana, Molfetta 2006, 91.
Le categorie chiuse : proprio quelle che uccidono la partecipazione di tutte e tutti . Si fa una bella cerchia di presbyteri , che diventa il nuovo think tank , e gli altri sono fuori . Comunione fra presbyteri ( il nome stesso fa sorridere 🙂 ) = clericalismo della peggior specie , perché travestito da “comunità di eletti” . NO , grazie !
Nonostante il tanto tempo speso per parlare di fraternità presbiterale, mettiamoci il cuore in pace, perché è una realtà che non esiste e mai sarà possibile costruirla appieno. Il cristiano deve vivere la fraternità con ogni creatura di questo mondo: se si comincia a pensarla come relazione tra categorie chiuse, perde la sua caratteristica e diventa una modalità per escludere e alzare muri; in questo tipo di fraternità si nasconde il clericalismo.