«Die Priester sterben aus» (= I preti scompaiono): è il titolo di un articolo a firma del padre gesuita tedesco, Stephan Kiechle, pubblicato nel numero di maggio 2018 nella rivista Stimmen der Zeit.
La progressiva scomparsa dei preti non è un fenomeno solo della Germania, ma di tutta l’Europa (compresa l’Italia) e, in senso più ampio, del mondo occidentale, ma la Chiesa tedesca registra delle cadute definite drammatiche e persino «catastrofiche», come ha affermato nei giorni scorsi in un’intervista al giornale domenicale Welt am Sonntag il presidente del Comitato centrale dei cattolici tedeschi (ZdK), Thomas Sternberg. «In breve tempo – ha detto – ci mancheranno i preti in misura catastrofica, così che presto per noi non ci sarà altro problema più grave di questo da affrontare».
Il dramma dei numeri
Le cifre sono inquietanti: secondo un sondaggio pubblicato dall’agenzia cattolica KNA, mercoledì scorso, nelle 27 diocesi tedesche quest’anno si ritiene che saranno ordinati 61 nuovi sacerdoti diocesani. Nel 2017 erano stati 74, e nel 2015 (la punta più bassa) 58: comunque pochi, se si tiene conto che, nel 1995, le ordinazioni (escludendo i religiosi) erano state 186.
I sacerdoti in Germania, compresi i religiosi, sono attualmente, secondo i dati più recenti, 13.856 di cui 8.786 in servizio attivo (nel 2015 erano 14.087).
Il dramma della mancanza di preti si riflette non solo sulla vendita di centinaia chiese, ma anche sulle misure con cui si cerca di ovviare ai bisogni pastorali delle comunità. «Nel sud della Foresta Nera, vicino alla mia terra di origine – scrive padre Kiechle – 6 grandi comunità, tra l’altro anche importanti luoghi turistici, sono state accorpate in un’unica unità pastorale. Attualmente c’è un solo sacerdote che cerca di provvedere ai bisogni, tra l’altro, dopo aver superato un infarto».
Come avviene però anche altrove, ci sono dei preti in pensione che cercano di dare una mano, tenuto presente che oggi la medicina viene loro in soccorso, ma – sottolinea il padre – questa situazione «durerà pochi anni».
Il numero delle celebrazioni dell’eucaristia è così destinato a crollare «fino oltre la soglia del dolore». Soltanto nelle città con sede episcopale o con facoltà teologiche ci sono ancora numerosi preti, però «spesso, stranamente, sono poco presenti nelle comunità».
I centri amministrativi – prosegue padre Kiechle – mettono mano con buona volontà «a riforme strutturali». Per esempio, nella diocesi di Treviri, le 863 parrocchie sono state ridotte a 36; e nella diaspora, di oltre 40 parrocchie, se ne fa una sola. Un esempio tipico è Saarbrücken, che è diventata una sola parrocchia per 100 mila cattolici. Il più delle volte una comunità di tale proporzioni ha un «parroco» affiancato da uno o più coadiutori che lo aiutano nella pastorale.
Arriveranno in “viri probati”?
Alcune parrocchie si servono dei laici come amministratori; altre, invece, rifiutano questa scelta che definiscono un «manicheismo pastorale» nel senso che l’aspetto spirituale non può essere separato da quello materiale. È necessario pertanto che, a loro modo di vedere, a guidare la parrocchia ci sia un prete.
Con queste riforme comunque – osserva padre Kiechle – vengono buttate a mare tradizioni pastorali millenarie.
Il padre sottolinea che, anche nel secolo XVI e all’inizio del XIX, non c’era quasi più nessun prete per la cura pastorale dei fedeli. Ma passate le crisi, si era verificata una forte rinascita. «Ma noi oggi non possiamo aspettare per un tempo così lungo» – ha aggiunto.
Attualmente, solo poche grandi parrocchie potranno essere ancora «con fatica» occupate. Per il momento ci sono ancora preti sotto i 40 anni e dei seminaristi. Ma, nel giro di 15-20 anni, anche questa struttura giungerà al collasso. Tuttavia le amministrazioni sembra preferiscano non pensarci.
In questo modo viene a mancare l’eucaristia che rimane sempre «la fonte e il culmine della vita ecclesiale» e della «la struttura sacramentale della Chiesa».
Al posto dell’eucaristia si prevedono delle celebrazioni della Parola, anche se si esita a formare dei laici che dovrebbero gestirle. Tuttavia, molti cattolici, formati allo spirito postconciliare, non le frequentano.
Di fronte a questa drammatica situazione, sia padre Kiechle sia il Comitato dei cattolici tedeschi, interpretando l’intenzione di molti nella Chiesa, affermano che bisogna ora tornare a parlare pubblicamente della possibilità di ordinare dei viri probati.
Padre Kiechle tuttavia osserva che questa scelta, «presumibilmente buona», finirebbe col creare altri problemi. E sono molti a sostenere che non costituirebbe comunque la soluzione del problema.
Thomas Sternberg, si è detto convinto che, «se un vescovo tedesco ordinasse per la prima volta dei viri probati, non troverebbe una forte contrarietà né a Roma né in Germania. «Ciò di cui abbiamo bisogno – ha sottolineato – è che ci sia un vescovo coraggioso che azzardi il primo passo».
Se ne parlerà al prossimo Katholikentag?
In tutte queste discussioni, è riaffiorato anche problema dell’ordinazione delle donne, anche se il discorso appare chiuso dopo l’intervento del 1994 di Giovanni Paolo II. Tuttavia, alcune teologhe e il movimento femminista si domandano se non sia possibile un ripensamento, tenendo conto delle nuove acquisizioni maturate in questi ultimi anni.
Sul tavolo viene posto nuovamente anche il problema del celibato. Padre Kiechle fa notare tuttavia che se cambiassero le norme per l’ammissione al sacerdozio, ci sarebbe da aspettarsi un gran clamore da parte dei reazionari – tra l’altro molto efficienti nell’uso dei media – i quali si metterebbero a gridare che «la dottrina della Chiesa viene sovvertita» e che l’Occidente andrebbe in rovina.
Al di là di tutte queste discussioni, è certo però che la Chiesa non può rimanere senza preti. Sarebbe un’immensa perdita – conclude padre Kiechle – non solo per essa stessa, ma anche per l’umanità intera.
È probabile comunque che il discorso venga ripreso nel corso del Katholikentag – la grande assemblea dei cattolici tedeschi – che inizierà mercoledì prossimo, 9 maggio, a Münster, e si concluderà domenica 13.