Abbiamo sempre bisogno di eventi straordinari per recuperare l’ordinarietà della vita, di anniversari per offrirle il nostro tributo, di gesti, di segni per ritrovare l’energia necessaria per guardare di nuovo a quello che abbiamo sotto gli occhi tutti i giorni. Quello che abbiamo sotto gli occhi non è sempre gradevole, spesso è doloroso, frammentato, discontinuo, imprevisto.
È radicalmente questo il senso dell’anno giubilare che andiamo a vivere, e anche del segno che collochiamo nella chiesa di San Marco: tornare al quotidiano per vederlo meglio, alle cose così come sono per non perderne i frammenti[1]. La decisione di Papa Francesco di aprire l’Anno giubilare dal carcere di Rebibbia rappresenta in modo inequivocabile la drammatica esigenza di recuperare i pezzi di una umanità frammentata, che rischia giorno dopo giorno di consumarsi, perdendo il senso della propria esistenza.
«Nell’Anno giubilare saremo chiamati ad essere segni tangibili di speranza per tanti fratelli e sorelle che vivono in condizioni di disagio. Penso ai detenuti che, privi della libertà, sperimentano ogni giorno, oltre alla durezza della reclusione, il vuoto affettivo, le restrizioni imposte e, in non pochi casi, la mancanza di rispetto. Propongo ai Governi che nell’Anno del Giubileo si assumano iniziative che restituiscano speranza; forme di amnistia o di condono della pena volte ad aiutare le persone a recuperare fiducia in sé stesse e nella società; percorsi di reinserimento nella comunità a cui corrisponda un concreto impegno nell’osservanza delle leggi[2]».
Per il cristiano l’occasione per raccogliere i frammenti dello straordinario quotidiano che compone il Regno che viene, è quella offerta dalla frazione del pane e dal mistero dei sacramenti della vita cristiana. La contezza dello straordinario – che a rigore quindi in un’ottica eucaristica, dovrebbe essere raggiunta ogni giorno, in ogni frammento della nostra esistenza – viene ravvivata all’interno del corredo simbolico della chiesa di San Marco da un nuovo segno la cui composizione contribuisce ad avviare il processo simbolico prospettato dalle parole stesse con cui Papa Francesco ha indetto l’anno giubilare all’insegna della speranza:
«Tutti sperano. Nel cuore di ogni persona è racchiusa la speranza come desiderio e attesa del bene, pur non sapendo che cosa il domani porterà con sé. L’imprevedibilità del futuro, tuttavia, fa sorgere sentimenti a volte contrapposti: dalla fiducia al timore, dalla serenità allo sconforto, dalla certezza al dubbio. Incontriamo spesso persone sfiduciate, che guardano all’avvenire con scetticismo e pessimismo…Ma in tali situazioni, attraverso il buio, si scorge una luce: si scopre come a sorreggere l’evangelizzazione sia la forza che scaturisce dalla croce e dalla risurrezione di Cristo… È lo Spirito Santo, con la sua perenne presenza nel cammino della Chiesa, ad irradiare nei credenti la luce della speranza: Egli la tiene accesa come fiaccola che mai si spegne, per dare sostegno e vigore alla nostra vita[3]».
«A ben vedere si deve interrogare non la luce ma il fuoco»
In apertura della lettera enciclica Dilexit nos (al n. 26, citando l’Itinerarium di san Bonaventura), Papa Francesco compie una precisazione, presentando una connessione tra il cuore, sintesi delle facoltà e passioni umane, e il fuoco emblema di purificazione interiore.
Interroga non lucem sed ignem totaliter inflammantem et in Deum excessivis unctionibus et ardentissimis affectionibus transferentem. Qui quidem ignis Deus est[4].
L’immagine del fuoco nelle varie discipline viene evocata in diverse occasioni e livelli: all’interno della prospettiva letteraria come ingrediente fondamentale di ogni narrazione, e in quanto tale inconsumabile, originario; nell’universo clinico, in una teoria del soggetto collettivo, come motore del desiderio interpretato in circolarità con il vuoto. In un contesto più spirituale e biblico, Mosé, appare essere legato intimamente al fuoco, al roveto e al monte della rivelazione, cioè ai luoghi della manifestazione di Dio, purificando gradualmente la propria missione nutrendosi di speranza. È lui l’intermediario della proclamazione dell’anno sabbatico (Lv 25, 1-17), l’antesignano dell’anno giubilare il cui scopo fin da subito è stato quello di rimediare allo squilibrio sociale, all’errata distribuzione dei beni e del loro senso all’interno del disegno della Creazione.
«Quanto stabilito dalla Legge mosaica è ripreso dal profeta Isaia: Il Signore mi ha mandato a portare il lieto annuncio ai miseri, a fasciare le piaghe dei cuori spezzarti, a proclamare la libertà agli schiavi, la scarcerazione dei prigionieri, a promulgare l’anno di grazia del Signore»[5].
La scultura-fuoco di Mike Nelson (Amnesiac Beach Fire) si inserisce in questo plesso simbolico, presentandosi come riproposizione del quotidiano abbandonato su una spiaggia. Raccolta come oggetto antiestetico, questa reliquia simboleggia il persistere del simbolo anche dopo la sua consunzione; nello specifico l’immagine del fuoco, fonte di caldo e di luce, ottenuto tuttavia da materiali di scarto, precedentemente usati per una combustione: tronchi d’albero assemblati a ritagli di coni stradali che fungono da fiamme di plastica.
ABF è un fuoco potenzialmente sempre acceso ma nel contempo inattivo, da alimentare ogni volta. Nel contesto architettonico di un luogo sacro come la chiesa di San Marco, già avvezza ad accogliere testimonianze dell’arte non solo antica ma anche contemporanea, quest’opera le conferisce tutta la simbologia legata sia alla sorgente (roveto-Spirito), sia al soggetto che prega, ricordando che durante quest’anno occorre riconoscere per un verso il dono (un anno intero di speranza, di misericordia), per un altro l’impegno del soggetto (il cuore) ad alimentare questo dono con i resti del quotidiano, con quanto tendenzialmente saremmo portati ad abbandonare sulle spiagge di tutti i mari. Così facendo, un mondo scartato viene riscattato, tornando a diventare sorgente di calore e di luce[6].
«San Giovanni Paolo II ha spiegato che, offrendoci insieme al Cuore di Cristo, “sulle rovine accumulate dall’odio e dalle violenza, potrà essere costruita la civiltà dell’amore, potrà essere costruita la civiltà dell’amore tanto desiderato, il regno del cuore di Cristo”; questo implica certamente che siano in grado di “unire all’amore filiale verso Dio l’amore al prossimo”… insieme a Cristo, sulle rovine che noi lasciamo in questo mondo con il nostro peccato, siamo chiamati a costruire una nuova civiltà dell’amore… In mezzo al disastro lasciato dal male, il Cuore di Cristo ha voluto avere bisogno della nostra collaborazione per ricostruire il bene e la bellezza»[7].
Il beachcomber/pellegrino e il bisogno del fuoco
Dal punto di vista formale il fatto che Mike Nelson esplicitamente dichiari la sua opera di raccolta come risultato della sua vocazione di beachcomber, cioè di vagabondo che setaccia gli oggetti sulla spiaggia, e dall’altra come costruttore di reliquiari nella scia del suo amico scomparso Erlend Williamson, incontra la funzione tipica degli spazi sacri che sorgono e si esplicitano come custodia di reliquiæ, come esposizione di qualcosa che non può non rimanere in vita anche dopo la sua consunzione.
Per altro il beachcomber si avvicina all’immagine del pellegrino, del viandante di questo pianeta, di questo mondo che vive di ciò che il mare rigetta sulla spiaggia, ma che ancora una volta si impegna a passare al setaccio tutto ciò che, nonostante le apparenze, può ancora mostrarsi come oggetto prezioso da conservare[8].
In questa luce possiamo leggere anche la costruzione di una nuova narrazione – quella visibile in A Forgotten Kingdom – a partire dai frammenti raccolti e risignificati da Mike Nelson, come si trattassero di parti di una singolare forma di canone, analogamente a quello scritturistico. C’è da chiedersi quindi se il beachcomber non sia una delle figure più indicative e rappresentative dell’uomo del nostro tempo all’interno della galassia delle spiritualità.
Esiste tuttavia nell’amnesiac hide un aspetto che può apparire contradditorio: il fuoco di ABF non scalda, non produce nessuna combustione, non fa luce, in sintesi non corrisponde alla sua funzione. Questo impedimento rispetto al raggiungimento dell’obiettivo – tratto tipo di Nelson che lo fa essere un trapper – permette ad ABF di non consumare il processo simbolico[9], di non esaurirlo, lasciando al soggetto il compito di perlustrare le coste della propria esistenza per recuperare le «huge sentences» del linguaggio degli oceani. In questo senso è veramente una traduzione efficace dell’immagine del roveto di Mosè, che non si consuma, non si esaurisce perché è il processo stesso di Rivelazione che non può mai esaurirsi.
È fatta
Il fuoco, ancora una volta, ha penetrato la terra.
Non è caduto rumorosamente sulle cime,
come la folgore nel suo fragore.
Il Maestro forza forse le porte per entrare in casa propria?
Senza scossa, senza tuonare,
la fiamma ha tutto illuminato dal di dentro.
Dal cuore del più piccolo fra gli atomi
Fino all’energia delle leggi più universali,
essa ha così naturalmente invaso
singolarmente e nel loro insieme,
ogni elemento, ogni risorsa, ogni legame del nostro cosmo,
che esso, si potrebbe credere,
ha preso fuoco spontaneamente.
Nella nuova umanità che si genera oggi,
il Verbo ha prolungato l’atto senza fine del suo nascere;
e, in virtù della sua immersione in seno al mondo,
le grandi acque della materia, senza alcun brivido,
si sono caricate di vita.
Niente in apparenza ha tremato
sotto l’ineffabile trasformazione.
E tuttavia, misteriosamente e realmente,
a contatto della Parola sostanziale,
l’universo, ostia immensa, è divenuto carne.
Ogni materia è oramai incarnata, mio Dio,
a opera della tua incarnazione.
Pierre Teilhard de Chardin
L’opera di Mike Nelson sarà esposta e presentata ai fedeli nel corso della Messa di Mezzanotte di Natale nella chiesa di San Marco a Milano.
[1] Per Papa Francesco l’unificazione di frammenti avviene nel cuore: «Il cuore rende possibile qualsiasi legame autentico, perché una relazione che non è costruita con il cuore è incapace di superare la frammentazione dell’individualismo…Il cuore è anche capace di unificare e armonizzare la propria storia personale, che sembra frammentata in mille pezzi, ma dove tutto può avere un senso». Papa Francesco, Dilexit nos, 17-19.
[2] Papa Francesco, Spes non confudit, Bolla di indizione del Giubileo straordinario dell’anno 2025, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano, 2024, 22.
[3] Papa Francesco, Spes non confudit, Bolla di indizione del Giubileo straordinario dell’anno 2025, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2024, 8-11.
[4] «Interroga non la luce, ma il fuoco che brucia tutto e trasporta in Dio attraverso l’unzione dell’estasi e l’ardore dell’amore. Questo fuoco è certamente Dio». Bonaventura da Bagnoregio, Itinerario della mente verso Dio, BUR, Milano 2002, 171.
[5] Papa Francesco, Spes non confudit, Bolla di indizione del Giubileo straordinario dell’anno 2025, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano, 2024, 23.
[6] «La riparazione cristiana non può essere intesa solo come un insieme di opere esteriori, che pure sono indispensabili e talvolta ammirevoli. Essa esige una spiritualità, un’anima, un senso che le conferiscano forza, slancio e creatività instancabile. Ha bisogno della vita, del fuoco e della luce che vengono dal Cuore di Cristo». Papa Francesco, Dilexit nos, 184.
[7] Papa Francesco, Dilexit nos, 182.
[8] «Non a caso il pellegrinaggio esprime l’elemento fondamentale di ogni evento giubilare. Mettersi in cammino è tipico di chi va alla ricerca del senso della vita. Il pellegrinaggio favorisce molto la riscoperta del valore del silenzio, della fatica, dell’essenzialità». Papa Francesco, Spes non confudit, Bolla di indizione del Giubileo straordinario dell’anno 2025, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano, 2024, 14.
[9] «Il verbo symballein (da cui “simbolo”) significa ponderare, riunire due cose nella mente ed esaminare sé stessi, riflettere, dialogare con sé stessi», Papa Francesco, Dilexit nos, 19.