- Padre Zollner, dieci anni fa lei ha fondato il Centro per la protezione dei bambini che da poco è divenuto un istituto di antropologia per la dignità umana e la cura delle persone vulnerabili. Che cosa l’ha spinta a fare del terribile tema degli abusi il suo compito di vita?
Le ragioni essenziali sono state sicuramente il grade disagio, il caos iniziale, l’incapacità di parola e la paralisi nella Chiesa. La domanda fondamentale era: Come si affronta il dolore dei sopravvissuti, come ci facciamo loro incontro? Come si mette tutto questo insieme alla formazione del personale ecclesiale?
- Ma si tratta anche di incontro con le persone, con le vittime degli abusi?
Come psicoterapeuta mi sono trovato di fronte agli abissi umani in molti modi. L’abuso sessuale non è l’unica forma. A partire da qui, mi è divenuto subito chiaro che si poteva percorrere questo cammino solo con i sopravvissuti. Solo in questo modo, nel nostro lavoro, possiamo farci un quadro adeguato della realtà delle cose – nella vita delle singole persone come nell’istituzione.
- Lei ha iniziato nel 2012 a Monaco e, nel 2014, il Centro è stato trasferito a Roma. Dove ha trovato sostegno e dove resistenze?
I miei superiori nella Compagnia di Gesù mi hanno immediatamente sostenuto. Il padre generale e il rettore della Gregoriana ci hanno subito aiutato. Anche da parte di molti vertici della curia vaticana abbiamo ricevuto consenso.
- Resistenze, opposizione?
Resistenza in forma diretta, concentrata, non ne abbiamo ricevuta. Quello che noto è che molti provano un grande disagio davanti al tema degli abusi. Ritengono che non si debba infangare la Chiesa, ma difenderla. Ma personalmente a me questo modo di sentire non viene mai espresso direttamente.
- Si parla molto di cause sistemiche per gli abusi. Quali sono quelle che si possono constatare nella Chiesa?
Sistemico significa che fattori singoli si influenzano vicendevolmente: formazione, modo di esercizio del ministero, disponibilità alla riforma, suddivisione delle risorse disponibili e molto altro. Un esempio: non abbiamo nessuna sicurezza giuridica per quanto riguarda il modo di procedere. Perché qualcuno viene dimissionato in un caso e un altro no in un altro caso?
Non sufficientemente chiari sono anche i diritti di tutti coloro che sono coinvolti nel processo: accusati, vittime, superiori… Chi può dire e sapere qualcosa – in merito non vi è alcuna definizione chiara.
- Sono necessari quindi dei cambiamenti nel diritto penale ecclesiale?
Certo. E poi c’è la questione della divisione dei poteri nella Chiesa. Che nel vescovo confluiscano il legislativo, l’esecutivo e il giudiziario rende estremamente difficile la trasparenza e il dovere di rendere conto dell’operato.
In ogni caso, nel 2019 si è fatto un passo avanti per ciò che concerne il dovere e l’obbligo di rendere conto da parte dei vescovi. Inoltre, il sistemico e il personale si mischiano tra di loro. Per molti, anche fra i credenti comuni, l’immagine di una Chiesa immacolata ha un grosso significato. Il coraggio della trasparenza, di assumersi le responsabilità, di comunicare in maniera aperta, tutto questo manca ancora troppo spesso nella Chiesa cattolica.
- Che ruolo gioca il clericalismo?
Il clericalismo si può trovare tra i preti come tra coloro che non lo sono. La tendenza al prestigio e il sentimento di essere intoccabili non dipendono solo dall’ordinazione. Come si sceglie e si forma il personale ecclesiastico? Come si diventa vescovi? Quali sono le qualità che giocano veramente un ruolo in tutto questo? Come è la formazione nei seminari? Si seguono i documenti pontifici per i quali la formazione umana è la base per tutto il resto? A me non sembra.
- A quale punto è con le sue ricerche sugli abusi spirituali? Si tratta di uno degli ambiti del nuovo Istituto, se non sbaglio.
Certo. Per la Chiesa si tratta di un tema importante. Quello che sorprende, è che esso sia emerso nell’ambito pubblico solo negli ultimi due/tre anni.
- Quali sono gli scopi fondanti del nuovo Istituto?
Importante è una revisione del nostro Blended-Learning-Program – uno strumento essenziale per agire su ampia base. Per quanto riguarda i contenuti, ci lavoriamo sopra in continuazione – anche perché emergono nuovi temi e ambiti.
Poi abbiamo iniziato alcuni progetti di ricerca, anche per rendere più solida la nostra reputazione a livello scientifico. Un progetto riguarda le aspettative spirituali dei sopravvissuti nei confronti della Chiesa. Questo progetto cade nel quadro della fondazione “Spes et salus”, voluta dal card. Marx, che si è fatta carico di questo tema per il nostro Istituto.
- E per quanto riguarda il personale dell’Istituto?
Finalmente non sono più l’unico professore, da poco lavora con noi anche l’ex vicario generale di Monaco Peter Beer. Poi avremo una persona che si dedicherà in maniera particolare alla ricerca. Da ultimo, abbiamo tutta una serie di giovani persone che proseguono la loro carriera accademica nel nostro Istituto e che potranno diventare docenti da noi. Ci siamo dati un paio di anni per fare tutto ciò.
- Il futuro personale dell’Istituto rimarrà dunque interno?
Non solo, sempre di nuovo entrano in contatto con noi persone qualificate esterne all’Istituto. Dalla diocesi di Stoccarda-Rottemburg abbiamo ottenuto una prospettiva di finanziamento per un posto da post-dottorando nell’ambito della pedagogia della prevenzione.
Un tema importante è la prevenzione degli abusi in Internet – che è oggi il fattore di massimo rischio per bambini e adolescenti. In un’antropologia interdisciplinare dobbiamo imparare a connettere le discipline del diritto, del diritto canonico, della psicologia, della psichiatria e della teologia. Solo così possiamo comprendere e garantire meglio la dignità della persona e la cura per i vulnerabili – e anche garantire una migliore prevenzione.
- Ma non avete bisogno di esperti di informatica e di docenti?
In senso stretto non abbiamo bisogno di esperti di informatica, ma di persone che sanno cosa significhino gli abusi in Internet, che danni provocano, come procedono gli sviluppi nella Rete. In primo luogo, devono sapere che mezzi si devono applicare affinché le imprese di social-media ci diano ascolto.
Pubblicato sulla KNA (nostra traduzione dal tedesco).
Mi stupisce che in questa intervista, condivisibile e molto interessante, non ci sia un benché minimo accenno al ruolo dei laici. Che ruolo possono (e per molti versi debbono) avere i laici in una materia così delicata? Oltre a pensare di formare/sensibilizzare i sacerdoti/consacrati – tanto certi corsi li possono seguire solo loro -, occorre che vengano formati/sensibilizzati i laici, altrimenti la protezione, la prevenzione e la sorveglianza non potranno mai essere implementate con forza.
I laici NON ESISTONO nella chiesa cattolica, Fabio, perchè ti ostini? Non l’hai ancora capito???
Esisteranno quando si tireranno fuori perchè vedranno che le contraddizioni sono ormai insostenibili e penseranno a una Chiesa diversa, lasciando gli alti prelati a contemplare i loro inutili e contorti documenti
Tanto Fabio quanto Lorenzo hanno centrato il problema. Dov’è ad oggi la riforma della Curia voluta da papa Francesco. Dov’è la “tolleranza zero” di San Giovanni Paolo II che si è trasformata in “tolleranza quasi zero”.Perché l’unico membro laico dell’apposita commissione papale sugli abusi ha dichiarato di essere stato costretto ad abbandonare?
Perché?