Papa Francesco ha fatto numerosi e rivoluzionari cambiamenti durante i primi quattro anni del suo pontificato, ma è difficile eguagliare la svolta attuata con il Collegio dei cardinali.
Infatti, ha cambiato il sistema in modo tale che il papa in carica possa formare il collegio con vescovi che supportano le sue posizioni. Questo cambiamento avrà un impatto sulla Chiesa per i secoli a venire.
Non è la prima volta che il collegio dei cardinali è stato cambiato in modo significativo da un papa, e probabilmente non sarà l’ultima. Uno dei cambiamenti più frequenti è stato l’incremento del numero dei cardinali.
Un po’ di storia
Il ruolo del Collegio dei cardinali nell’elezione dei papi risale al 1059 quando il collegio era costituito da anziani diaconi e preti di Roma con l’aggiunta dei vescovi delle diocesi della periferia di Roma.
Nel dodicesimo secolo, all’interno del collegio si contavano circa 28 cardinali preti e 18 cardinali diaconi a Roma, con l’aggiunta di 7 cardinali vescovi per un totale di 53. Nel 1586, Sisto V fissò il tetto massimo di cardinali a 70, a imitazione dei 70 scelti da Mosè (Es 24,1) e da Gesù (Lc 10,1).
Giovanni XXIII ignorò il limite dei 70 membri, e il collegio arrivò ad oltre 80 cardinali.
All’inizio degli anni ’70, Paolo VI riformò il Collegio dei cardinali incrementando il numero degli elettori a 120, non contando gli over-80, esclusi dall’elezione.
L’esclusione degli ultraottantenni fu all’epoca considerata così rivoluzionaria che il conclave che elesse Giovanni Paolo I tenne una votazione a conferma dopo che egli aveva ricevuto il voto dei 2/3 dei presenti, in modo da essere sicuri che i 2/3 di tutti i cardinali avessero votato per lui, addirittura contando gli assenti. Non volevano che alcuno potesse contestare l’elezione.
Giovanni Paolo II ignorò il limite dei 120 e il numero dei cardinali raggiunse i 135 nel 2001, sebbene si fosse ridotto a 115 all’epoca della sua morte, nel 2005.
Oltre a incrementare il numero dei cardinali e a limitare gli elettori sotto gli 80 anni, i papi hanno anche cambiato l’area di riferimento da cui sono scelti i cardinali.
Verso un respiro più ampio
All’inizio, i vescovi cardinali erano i vescovi delle sette diocesi che circondavano Roma. I cardinali preti e i cardinali diaconi erano i preti e diaconi più eminenti a Roma, pastori di Chiese significative o direttori di opere di carità della Chiesa. Dato l’aumento del loro impegno nella curia romana, il lavoro pastorale e sociale che essi avrebbero dovuto compiere era rilevato da altri.
Alla fine, la distinzione fra i tre tipi di cardinali divenne più onorifica che reale, e papa Giovanni XXIII fece vescovi tutti i cardinali.
Nell’undicesimo secolo, Leone IX (1049-1054) iniziò a eleggere prelati di terre lontane come cardinali. A questi veniva di solito richiesto di dimettersi dalla loro sede e di prendere residenza con il papa.
Durante lo scisma d’Occidente, divenne prassi comune per questi cardinali risiedere con il papa senza rassegnare le dimissioni dalla loro sede. La loro diocesi era amministrata da qualcun altro, mentre il cardinale incamerava le rendite. Il concilio di Trento dichiarò fuori legge questo abuso.
All’inizio del sedicesimo secolo, all’ingrandirsi del Collegio dei cardinali, divenne prassi ordinaria che i cardinali mantenessero la residenza nelle proprie diocesi.
Sebbene i cardinali fossero scelti da ogni parte d’Europa, la maggioranza proveniva da Roma.
Nei secoli diciassettesimo e diciottesimo, approssimativamente l’80% dei cardinali eletti erano italiani. Pio IX (1846-1878) e Leone XIII (1878-1903) iniziarono ad ampliare il parco degli eletti limitando al 58% il numero di quelli italiani. A seguire i cardinali francesi (13%) e spagnoli (8%). Nel 1875, Pio IX elesse il primo cardinale nell’emisfero occidentale, John McCloskey di New York. Dal 1903 al 1939 i cardinali italiani rimasero stabili ad una percentuale del 53%.
La vera internazionalizzazione del Collegio dei cardinali iniziò sotto Pio XII, che fu eletto nel 1939 da un collegio costituito per il 57% da italiani e dal 32% da cardinali provenienti dal resto dell’Europa.
La percentuale di italiani eletti da Pio XII scese al solo 25%, con un terzo proveniente da fuori Europa. Elesse i primi cardinali con sede in Africa, India e Cina, sebbene il cardinale africano fosse portoghese. Alla sua morte, solo un terzo dei cardinali del collegio era italiano, con un altro 31% dal resto dell’Europa. Il paese vincente sotto Pio XII fu l’America Latina, che dal 3% di rappresentanti passò al 16%.
Paolo VI continuò l’opera di internazionalizzazione iniziata da Pio XII, ma fu decisamente più facile per lui, visto che innalzò il numero dei cardinali a 120.
Alla sua morte, il 50% del collegio era europeo, incluso il 24% italiano. Il carattere europeo del collegio non subì cambiamenti significativi sotto Giovanni Paolo II (49%) e Benedetto XVI (52%), sebbene il numero degli italiani fosse sceso al 16,5% sotto Giovanni Paolo II e risalito al 24% sotto Benedetto. Giovanni Paolo II tagliò il numero dei cardinali italiani in modo da poter creare più cardinali dell’Europa dell’Est.
La svolta di Francesco
Quali i cambiamenti di Francesco?
Francesco ha continuato ad incrementare il carattere non-europeo del collegio dei cardinali. Nel più recente gruppo di eletti, solo due dei cinque cardinali sono europei. Gli europei rimangono sulla soglia del 44% di seggi nel collegio, il minimo storico per gli europei.
La percentuale di italiani è ora al 20%, che è comunque maggiore di quella presente alla morte di Giovanni Paolo II. Questa situazione potrebbe cambiare in modo significativo il prossimo anno, quando cinque dei sette cardinali che compiranno 80 anni sono italiani. Nessun italiano è stato eletto quest’anno.
Sorprendentemente, il contingente latinoamericano non è cresciuto in maniera significativa sotto Francesco. Dal 16,2% presente al conclave della sua elezione si è saliti al 17,4%, comunque più basso del 18% del conclave del 2005. A differenza dell’elezione di cardinali dall’Est Europa da parte di Giovanni Paolo, Francesco non ha favorito l’America Latina.
L’Africa e l’Asia sono state favorite da Francesco. Ora hanno più cardinali elettori di prima. La loro percentuale nel collegio è salita al 12,4% per ciascun continente sotto Francesco, dal 9,4% del conclave della sua elezione. L’Asia e l’Africa insieme hanno ora, per la prima volta, più cardinali che l’Italia.
Ma la vera rivoluzione nella selezione fatta da papa Francesco la si è vista nel trascurare il tradizionale bacino delle sedi cardinalizie e semplicemente nello scegliere ogni vescovo di suo gradimento, persino un vescovo ausiliare. In passato solo gli arcivescovi delle maggiori sedi metropolitane erano selezionati come cardinali. Alcune sedi hanno avuto cardinali in modo così consistente nel tempo che i loro arcivescovi venivano considerati naturalmente avviati al cardinalato. Francesco ha ignorato questa regola non scritta fin dalle sue prime selezioni.
Non si esagera nel definire rivoluzionario questo comportamento. È di sicuro il cambiamento più radicale nel Collegio dei cardinali dalle riforme di Paolo VI.
Perché ciò è importante? È importante perché dà al papa la libertà totale di scegliere qualsiasi vescovo che egli desidera come cardinale. Se avesse seguito la tradizione, molte delle sue scelte si sarebbero indirizzate verso arcivescovi eletti da Giovanni Paolo II o da Benedetto XVI. Molti di costoro gli sarebbero sopravvissuti e avrebbero pesato sulla scelta del suo successore.
Francesco li ha consapevolmente by-passati, optando per altri vescovi, alcuni provenienti da sedi “insignificanti”. Sceglie la persona piuttosto che la sede. Cerca vescovi che supportino il suo stile pastorale e la sua visione di Chiesa. Questo assicura che coloro che lui elegge garantiranno continuità al prossimo conclave, invece di modificare la direzione di marcia della Chiesa. Il conclave sarà pieno di pastori che sentono l’odore delle pecore loro affidate.
Con l’ultimo gruppo di eletti, Francesco avrà raggiunto la selezione del 40% del collegio dei cardinali, di poco inferiore al 44% di Benedetto XVI. Il rimanente 16% sono quelli rimasti dai tempi di Giovanni Paolo II.
I cattolici progressisti stanno senza dubbio inneggiando al papa per la scelta dei nuovi cardinali, mentre i conservatori stanno digrignando i denti.
È bene ricordare ai miei amici progressisti che ogni cambiamento ha sempre delle conseguenze non previste. Se, per caso, un cardinale conservatore riguadagnasse il papato, potrebbe fare le stesse cose che Francesco sta facendo ora. Oppure si provi ad immaginare se Giovanni Paolo II o Benedetto XVI avessero provato a fare la stessa cosa di Francesco.
Tutto questo ci ricorda che non esiste un sistema elettorale perfetto. Nei secoli, la Chiesa ha introdotto cambiamenti nella procedura dell’elezione dei papi e, nell’ultimo secolo, ha probabilmente funzionato meglio che nel precedente. Ma non ci sono garanzie.
Questo modo di elezione mi fa preferire il sistema copto, dove un giovane bendato sceglie il nome del papa da un’urna di vetro contenente tre nominativi.
[Il testo è stato pubblicato il 25.5.2017 su National Catholic Reporter]
Mannó il Papa ha scelto dei cardinali non pastori ma artigiani.
Un falegname, un muratore, un imbianchino e, soprattutto, un elettricista.
Ecco l’elettricista è il suo preferito.
Peccato che non ne abbia ancora trovato uno che paga le bollette.
Francesco non ha scelto dei vescovi cardinali progressisti: la distinzione fra progressisti e tradizionali è reale ma non evangelica: posizionarsi in una delle due categorie è un modo per affermare le proprie idee. Francesco ha scelto secondo un criterio che tiene conto della dimensione pastorale ed evangelica dei percorsi personali ed ecclesiali. La verità del vangelo , fra contraddizioni e ostilità, si fa comunque avanti nella storia e illumina in modo nuovo le varie epoche e società; ci si può opporre e ritardarla, ma è inarrestabile.