
©Francesca Cavalli
Fin dal primo annuncio, papa Francesco ha chiesto la preghiera del popolo dei credenti e delle credenti per l’incontro dei presidenti delle conferenze episcopali di tutto il mondo sulla protezione dei minori nella Chiesa. Con l’approssimarsi della data, la sua domanda si è fatta non solo più accorata ma anche più urgente.
Come se lui sentisse l’esigenza evangelica di sapersi portato e custodito dalla preghiera dei suoi. Solo che questa volta non lo fa valere unicamente per sé, ma anche per la rappresentanza universale del ministero episcopale nella Chiesa. Non è, dunque, solo questione di «biografia» di un pontefice un po’ stravagante che (scelleratamente, per alcuni) lo Spirito si è andato a prendere dall’altro capo del mondo – no.
Questa volta è proprio questione di struttura della Chiesa: il potere dell’intercessione è rimesso, dal papa a nome di tutto l’episcopato, alla cura spirituale del popolo di Dio, dei cristiani e delle cristiane comuni. Questo in un passaggio in cui ne va della Chiesa, almeno qui siamo tutti d’accordo (dal conservatore più incallito e intransigente, al liberale più astioso ed eternamente insoddisfatto).
Come se sul monte a intercedere presso Dio, affinché preservi Mosè e i sacerdoti intorno a lui, ci salisse il popolo tutto (magari un po’ malandato e ancora inebriato dalla prima esperienza di libertà dell’Alleanza). Il riaffidamento del potere spirituale nella Chiesa alla fede di tutti e di tutte è l’inedito sorprendente già prodotto da questo incontro prima ancora di cominciare.
La cosa è tremendamente seria, anche se probabilmente non ce ne rendiamo pienamente conto. I vescovi si riuniranno sotto questo potere che i battezzati e le battezzate esercitano su di loro, e a loro favore, come intercessione presso il Dio di Gesù: per la Chiesa tutta, che gioca la partita della sua reale aderenza al Vangelo nell’invenzione di pratiche (non solo giuridiche e disciplinari, ma anche liturgiche e rituali) e di linguaggi capaci di rendere davvero giustizia alle vittime.
L’evidenza dell’inversione del soggetto del potere spirituale nella Chiesa cattolica è direttamente proporzionale al silenzio tombale che l’ha accompagnata. Se il popolo dei discepoli e delle discepole del Signore ne ha avuto qualche sentore è perché ne ha trovato cenno in una nota minore della comunicazione pubblica, non certo perché le comunità cristiane in tutto il mondo sono state chiamate a riunirsi per pregare per i convocati e per la convocazione intorno al vescovo di Roma.
E questa resistenza non è da ascrivere ai nemici corrosivi di Francesco; la disattenzione rispetto alla consegna della Chiesa tutta al potere spirituale della preghiera del popolo di Dio si annida, infatti, proprio fra i più entusiasti e sinceri sostenitori di Bergoglio. Che probabilmente non ne comprendono la portata.
A questo punto, è davvero bene che la comunità dei credenti e delle credenti prenda in mano, senza tergiversare ulteriormente, il compito oneroso di intercedere presso Dio per la Chiesa, che si riunisce intorno al proprio peccato e al riconoscimento di avere fatto delle vittime tra coloro che avrebbe dovuto custodire a ogni costo.
Corrispondendo così al principio cristallino che Francesco ha saputo rimettere potentemente in esecuzione: l’esercizio del potere spirituale nella Chiesa è questione di fede comune e non di grado gerarchico.