Di fronte alla caduta verticale del numero di fedeli, una delle strategie operate da alcune Chiese è quella di abbassare le esigenze e facilitare al massimo l’accesso. Oppure, con segno diametralmente opposto, ci sono Chiese che sostengono che, poiché il cristianesimo è già minoritario, può essere socialmente significativo solo se si presenta con un alto profilo spirituale. Quale modello prevarrà?
La notizia è di qualche mese fa: in una comunità protestante in Germania, i pastori e le pastore hanno messo in piedi un gazebo, con un tavolo e una Bibbia. Una manifestazione evangelistica? Non nel senso classico del termine: accanto alla Bibbia, vi era una bacinella d’acqua e chi lo desiderava poteva chiedere di essere battezzata/o, se già non lo fosse stata/o, o di battezzare il proprio figlio o la propria figlia. Così, seduta stante.
E la catechesi? La preparazione dei genitori, o della madrina, o del padrino? Ridotte al minimo, un breve colloquio prima del battesimo volante. Certo, Lutero, Melantone, Calvino, avrebbero avuto da obiettare. Il senso della proposta, tuttavia, risulta chiaro: se le persone, nell’Europa scristianizzata, non vanno alla Chiesa, la Chiesa va alle persone. Quanto alla preparazione, prosegue il ragionamento, non siamo più nel XVI secolo, non è pensabile proporre gli stessi parametri. Di fronte alla caduta verticale del numero dei battesimi, occorre abbassare le esigenze da parte della Chiesa e facilitare al massimo l’accesso a quest’ultima.
Ho scelto un esempio abbastanza clamoroso e di matrice protestante, ma avrei potuto menzionarne altri, confessionalmente bipartisan, almeno nei Paesi nei quali sono presenti entrambe di quelle che un tempo erano le grandi confessioni dell’Occidente.
Tutta la pastorale dei «riti di passaggio» (non solo il battesimo, anche la prima comunione, la cresima-confermazione, il matrimonio, ma soprattutto il funerale, il cui presupposto minimale, il decesso, continua a presentarsi con sgradevole regolarità anche nella società secolare) tende a muoversi nella stessa direzione; ma si potrebbero aggiungere la difesa dell’insegnamento confessionale nella scuola («comunque, si incontrano dei giovani») e, in generale, quanto resta di presenza ecclesiastica cristiana nelle istituzioni pubbliche, dagli ospedali alle forze armate: si tratta di raggiungere l’utenza più ampia (o meno ristretta) possibile, anche pagando dazio sullo spessore dei contenuti.
Questa idea si pone in continuità con un modello consolidato: una volta, lo si chiamava «Chiesa di popolo», o «di massa». Oggi, tali etichette risultano un po’ umoristiche, ma si potrebbe parlare di «Chiesa diffusa»: un profilo meno esigente, qualificato, selettivo, e dunque un’idea meno forte di appartenenza (membership) dovrebbero permettere di adattarsi alla mutata situazione.
Esiste anche una possibilità che si muove in direziona esattamente opposta. Chi la sostiene ragiona più o meno così: poiché il sistema simbolico cristiano e le agenzie che affermano di rappresentarlo non sono più egemoni nella società europea, un ulteriore annacquamento del messaggio e delle pratiche rischia seriamente di ridurli alla totale irrilevanza, che non può non preludere alla sparizione.
Un cristianesimo che è già minoritario può essere socialmente significativo solo se si presenta con un alto profilo spirituale. Le esigenze che ciò implica opereranno un’ulteriore selezione, forse addirittura accelereranno i processi di contrazione numerica delle Chiese, ponendo con maggiore chiarezza l’alternativa: dentro o fuori.
Ne dovrebbe uscire, tuttavia, una compagine ecclesiale più motivata, in grado di interloquire con la società in termini qualificati e, per questo, più interessanti. In parole povere: meglio una Chiesa più piccola, ma consapevole, che un tentativo, comunque perdente, di rallentare l’erosione abbassando il prezzo (mi viene in mente uno slogan pubblicitario: dare l’Otto per mille a una certa Chiesa «non costa nulla»: appunto; ma essere cristiani sì).
Quale modello prevarrà? Difficile dire. Più semplice prevedere quale ipotesi è certamente destinata a condurre in breve tempo alla dissoluzione delle Chiese che fossero tentate di adottarla. Una Chiesa piccola, di diaspora, che pretenda di ragionare come una Chiesa «ex di massa», considerando normale un profilo di appartenenza basso (impegno finanziario scarso o nullo, partecipazione incostante alla liturgia, basso livello di formazione catechetica), non ha alcuna speranza di resistere all’erosione secolare. Un futuro per le Chiese piccole non è impossibile: ma devono cercare di ricordarsi che significa credere in Gesù.
Pubblicato sul sito della rivista Confronti, 6 giugno 2023. Fulvio Ferrario è docente di Teologia dogmatica presso la Facoltà valdese di teologia di Roma.